Paolo Dune, in margine all’ultimo libro di Antonino Zichichi.
Il fisico Antonino Zichichi prova a fare il teologo col suo ultimo Perché io credo in Colui che ha fatto il mondo (Rizzoli, Milano 1999), saggio divulgativo, a metà strada tra scienza e religione. Lo stile vi appare poco o punto scientifico: prolisso, ripetitivo e con una serie di sentenze («L’uomo che ha Fede è fortunato» o «La verità è ben diversa. Eccola») che andrebbero bene in bocca a un messia, ma stridono in bocca ad uno scienziato. E soprattutto l’opera risulta priva di elementi di sostanziali novità nella dialettica credenti-non credenti.
Si parte dalla tesi che la scienza sia nata da Galileo Galilei, e che sia frutto di un suo atto di fede nel creato poiché voleva trovare negli oggetti volgari le impronte del Creatore. Oltre al termine creato, poco opportuno dal momento che la scienza non ha ancora dimostrato l’origine divina del mondo, la conclusione che senza la religione la scienza non sarebbe mai nata (p. 180) costituisce una notevole estremizzazione del ragionamento. Non si capisce perché si sia dovuto aspettare Galileo per tale nascita. Singolarmente l’autore dimostra di considerare «scienza» solamente la Fisica, e non fa alcun riferimento ad Ippocrate, padre della scienza medica, o ad Epicuro o a Lucrezio, che studiarono la natura, o ad altri autori non credenti. Con poca considerazione nei confronti di colleghi contemporanei arriva a sostenere che tutti i grandi scienziati sono stati credenti (p. 45). In realtà, se anche Galileo scoprì il metodo sperimentale con un atto di fede, ciò fu solo una circostanza occasionale. Anche Cristoforo Colombo scoprì l’America per un errore di navigazione. Ma le scoperte vivono di vita autonoma rispetto agli scopritori, e non ha alcun senso indagare sulle opinioni religiose di Galileo o quelle marinare di Colombo: ciò che conta sono i risultati e non le motivazioni che li ispirano. Neanche l’idea che la sperimentazione costituisca un «bussare alla porta di Dio» convince, dal momento che per bussare alla porta di Dio è sufficiente pregare. La sperimentazione costituisce invece un tentativo di conoscere il mondo con le proprie forze, senza bisogno di rivelazioni.
Ma nonostante ciò Zichichi vede nella natura, nella assolutezza e nell’ordine delle leggi di fisica, le impronte del creatore. «Studiando la parte materiale della nostra esistenza, l’uomo scopre le Leggi fondamentali della Natura. E non può non porsi la domanda: chi ha fatto queste leggi?» (p. 147). Zichichi confonde le leggi di fisica con quelle umane. Mentre infatti quelle umane sono di natura precettiva, impongono cioè un dover essere e presuppongono un legislatore, quelle di fisica sono meramente descrittive, si limitano a descrivere come un fenomeno è, senza presupporre altro. Zichichi rifiuta l’idea che il mondo possa derivare dal Caos, concetto ambiguo, che tuttavia non si cura di definire. E sorprende che nel libro non menzioni mai il secondo principio della termodinamica, conosciuto anche come entropia o «tendenza al disordine», che evidentemente non si armonizza con tale idea. Afferma: «La natura è un libro scritto seguendo un preciso disegno» (p. 119), ma non spiega mai quale sia questo disegno, e conclude: «Nessuno scienziato potrà mai capire fino in fondo il Grande Disegno» (p. 162); probabilmente perché non esiste alcun disegno da capire… E del resto, se anche la realtà fisica fosse «ordinata», ciò non presupporrebbe affatto un Artefice: l’ordine potrebbe essere un principio insito nell’universo, magari legato alla sua funzionalità. L’argomentazione della Causa Prima, che l’autore riprende, porta inevitabilmente al paradosso di presupporre sempre una nuova Causa Prima, in un processo di Cause Prime infinite, come scatole cinesi. Infine appare discutibile anche il legame tra il concetto di Dio e il concetto di Ordine: i miracoli delle religioni, ad esempio, nella loro totale discrezionalità ed arbitrio, e nella violazione delle leggi «ordinate» di fisica, sembrano più esprimere una volontà di caos che non di ordine.
In ogni caso Zichichi, dopo aver ribadito che la scienza non ha mai negato l’esistenza di Dio, segue due strade: da un lato affermare che l’esistenza di Dio è indimostrabile «per definizione» (p. 160), liberandosi in questo modo dall’onere della prova, dall’altro sostenere che l’ateismo è una costruzione contraddittoria perché non riesce a dimostrare l’inesistenza di Dio. A sostegno della prima tesi ricorda che vi sono verità in ambito matematico indimostrabili, e quindi non ha senso cercare la dimostrazione dell’esistenza di Dio. Ma questo, oltre a valere anche per la dimostrazione della sua inesistenza, sembra mettere sullo stesso piano i concetti astratti matematici con le esistenze reali. Inoltre cita Gödel per concludere che «Non è vero che una costruzione logica debba necessariamente portare a una conclusione o alla sua negazione. È altrettanto rigorosamente logico che venga fuori la conclusione: è impossibile decidere» (p. 137). Tale deduzione, lungi dal dimostrare la validità della fede, legittima invece l’agnosticismo: se non si può decidere, è più corretto non prendere posizioni! Da notare, invece, che Zichichi ignora completamente l’agnosticismo, al punto da non citarlo mai nelle sue argomentazioni; tra credere e non credere non vede sfumature intermedie. La sua conclusione è che, per arrivare a Dio, la scienza dovrà prima conoscere e spiegare tutto l’immanente, e tale traguardo è ancora lontano (p. 145); pertanto l’unica soluzione possibile appare l’atto di fede. La fede, qualunque fede, come divinizzazione dell’impotenza umana! Dio viene nascosto nel Trascendente, luogo metafisico la cui esistenza è «fuori discussione» (p. 20), e che viene anch’esso dimostrato dalla fede. Non è chiaro se Zichichi consideri la fede «derivata dalla Ragione», quindi fenomeno naturale, oppure «dono di Dio», quindi legato a una rivelazione (p. 153). Sulla contraddittorietà dell’ateismo, l’autore insiste che l’ateismo nasce «dalla negazione di Dio» e che quindi è tenuto a fornire la relativa prova. Ma, a parte il fatto che l’ateismo non parte dalla negazione di Dio, bensì giunge alla negazione di Dio, l’autore sembra suggerire che tutti coloro che negano l’esistenza di qualcosa, come ad esempio delle streghe, dovrebbero fornire la relativa prova!
È evidente l’aspetto discutibile delle teorie di Zichichi: il fare di Dio la premessa di ogni ragionamento, e non invece il risultato, il punto di arrivo di una ricerca. Con un dogmatismo da Pascal, afferma: «Il miracolo è destinato ad essere creduto da coloro che hanno avuto il dono della fede. E a non esserlo, da coloro che questo dono non l’hanno avuto» (p. 146). Come sapere se si è verificato un miracolo, non lo spiega. Da un lato ammette che «è vero che esistono prove concrete e sicure che corroborano la validità dell’evoluzione biologica in numerosissime forme di materia vivente» (p. 89), dall’altro, con atteggiamento velatamente specista, nega l’evoluzionismo poiché la specie umana è «l’unica dotata di un privilegio straordinario: quello di sapere decifrare la Logica di Colui che ha fatto il mondo» (p. 90). Una vanità che nessun’altra specie può contestargli. Ancora: se da un lato Zichichi svaluta le filosofie, lamentando che sono tutte diverse e contraddittorie tra loro (pp. 117, 119, 123), non è capace di ripetere lo stesso ragionamento per le religioni. Se cerca di conciliare fede e scienza, non spiega quale fede tra tutte le esistenti sia da scegliere e perché. Ringrazia il Creatore per aver dato all’universo una temperatura adatta all’uomo (p. 33), come se uno tanto onnipotente non avesse potuto creare l’uomo diversamente. E infine pretende di applicare il metodo sperimentale galileiano al marxismo per dimostrare la sua falsità, come se la fisica potesse essere applicata alle ideologie! Chissà, se si applicasse il metodo sperimentale al cristianesimo, che non si verificasse come in 2000 anni non sia riuscito a cambiare nulla…
In conclusione, alla fine del libro non si comprende quale sia il disegno di Dio, ma si comprende bene quale è il disegno dell’autore: sottomettere la scienza ai valori cattolici e al controllo religioso mediante la strumentalizzazione delle opinioni di Galileo e delle scoperte scientifiche. Giova ricordare quello che disse Albert Einstein, da Zichichi considerato credente: «Non posso immaginare un dio che premi e punisca gli oggetti della sua creazione, i cui fini siano modellati sui nostri. Un dio, in breve, che non è che un riflesso della fragilità umana. Né posso credere che un individuo sopravviva alla morte del suo corpo, sebbene gli animi deboli nutrono tali opinioni per paura o per ridicolo egoismo». Zichichi è sicuramente un valido scienziato, ma di quell’umiltà intellettuale che predica nel libro dovrebbe dare un migliore esempio, magari evitando di intervenire in materie che non gli sono proprie, o imparando l’arte del dubbio, che da Galileo ad oggi ha costituito il più grande stimolo di ricerca e di progresso.