(l’originale si trova sul sito dell’ADUC, rubrica «La pulce nell’orecchio» dell’1/4/2002 a cura di Annapaola Laldi. Fare riferimento a tale sito anche per le tabelle e gli allegati)
L’otto per mille (OPM) è il frutto del nuovo Concordato (1984) fra la Repubblica italiana e la Santa Sede, e fu ideato dalla Commissione paritetica chiamata a stilare la bozza della legge che doveva regolamentare le questioni economiche e finanziarie fra i due Stati. L’unico scopo dell’OPM è quello di garantire il finanziamento statale alla Chiesa cattolica come tale. A tanto non si era spinto il Concordato del 1929 che, pur riconoscendo a questa numerosissimi privilegî - che, peraltro, non sembrano venuti meno - non la finanziava direttamente, ma si limitava a pagare lo stipendio (congrua) ai preti titolari di una parrocchia.
Questa realtà va tenuta ben presente, perché solo così possiamo capire il movente di quell’assurdità per cui lo Stato trasforma sé stesso in elemosiniere e assegna a sé stesso una parte delle tasse, che ha riscosso dai suoi contribuenti, per destinarla a «scopi d’interesse sociale o di carattere umanitario» come si legge all’art. 47 (comma 2) della L. 222/1985.
È per assegnare alla Chiesa cattolica una sovvenzione sicura, mascherata da libera scelta dei contribuenti, che lo Stato ha dovuto assumere la parte di pseudoconcorrente della Chiesa. Il fatto che, in seguito, siano state ammesse a beneficiare dell’OPM anche altre Confessioni religiose si deve (come mi fa notare il direttore di Riforma, il settimanale delle Chiese evangeliche battiste, metodiste e valdesi) a un emendamento proposto dai Radicali - e accolto dalle Camere - in sede di discussione della L. 222/1985.
Parlavo di assurdità di uno Stato che si trasforma in elemosiniere. Infatti, che cosa ci starebbe a fare lo Stato se non proprio per affrontare tutti i problemi che sorgono quotidianamente a livello nazionale e internazionale, e fra i quali, certo, si annoverano a buon diritto, la fame nel mondo, le calamità naturali, l’assistenza ai rifugiati e la conservazione dei beni culturali - i quattro settori, cioè, in cui è utilizzabile l’OPM che lo Stato assegna a se stesso?
Questo dubbio deve forse avere sfiorato anche le menti di chi preparò la bozza della legge, se con l’art. 48 si circoscrisse l’utilizzazione dell’OPM statale a «interventi straordinari», concetto ribadito nel DPR 76/98, all’art. 2 (c. 6), dove si precisa che questi interventi «sono considerati straordinari (…) quando esulano effettivamente dall’attività di ordinaria e corrente cura degli interessi coinvolti e non sono per tale ragione compresi nella programmazione e nella relativa destinazione delle risorse finanziarie». Ma viene subito da notare che, così facendo, si è caduti in un’altra assurdità. Infatti, che cosa può mai esserci di straordinario in quei quattro settori, quando la fame nel mondo è endemica, le calamità naturali all’ordine del giorno, l’assistenza ai rifugiati un’urgenza quotidiana, la conservazione dei beni culturali un’ordinaria necessità?
Credo che, se ci si volesse attenere rigorosamente a queste indicazioni, paradossalmente, non si dovrebbe mai assegnare niente a nessuno, tanta è l’ordinarietà di tutti questi problemi.
DAL DPR 76/98 IN POI
Nell’utilizzazione dell’OPM statale vi è uno spartiacque rappresentato dal DPR 10/3/1998, n. 76, che detta regole e fissa scadenze per la ripartizione. Questo decreto stabilisce anche i requisiti che devono avere i soggetti che desiderano accedere alla ripartizione (è sempre escluso il fine di lucro) e, in attuazione di tutto ciò, è stata emanata dalla Presidenza del Consiglio la circolare 14/2/2001, n. 1619.
Le informazioni essenziali sul periodo 1991-1997 sono inserite in un puntuale articolo apparso su Riforma del 23/3/2001.
Qui preferisco soffermarmi sul periodo dal 1998 in poi, le cui fonti sono le seguenti:
- la documentazione gentilmente messami a disposizione dalla redazione dello stesso settimanale per l’anno 1998 e riferimenti agli anni precedenti,
- il sito della Presidenza del Consiglio dei Ministri per i Decreti 1999, 2000, 2001, sul quale si può “pescare” il Decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri (DPCM) dell’ultimo anno (non ho trovato su questo sito un archivio che contenga i decreti degli anni precedenti).
COME SI FORMA L’OPM DELLO STATO…
- L’art. 47, comma 3 della L. 222/85 precisa che le destinazioni OPM «…vengono stabilite… sulla base delle scelte espresse dai contribuenti in sede di dichiarazione dei redditi. IN CASO DI SCELTA NON ESPRESSA da parte dei contribuenti, LA DESTINAZIONE SI STABILISCE IN PROPORZIONE ALLE SCELTE ESPRESSE…».
È questo il meccanismo in base al quale CHI NON SCEGLIE, in realtà SCEGLIE TUTTI (salvo, per ora Valdesi e ADI, che hanno rinunciato, a favore dello Stato, alla quota non espressa che spetterebbe loro).
Un esempio: nel 1998, i contribuenti sono stati circa 25 milioni e mezzo; hanno espresso la destinazione OPM poco meno di 10 milioni, cioè il 38,93%. La preferenza allo Stato l’ha data il 13,36% di questi 10 milioni, che, però, rispetto al totale, rappresentano solo il 5,03%. Per il meccanismo vigente, allo Stato è andato il 13,36% di tutto l’OPM, e inoltre dovrebbe essersi assegnato anche la percentuale delle quote non espresse lasciatagli da Valdesi e ADI (per il 1998 un +1,83%).
Il Ministero dell’Economia e delle Finanze (ex Tesoro) stanzia quindi un importo iniziale su un capitolo di spesa dello stato di previsione.
- La disponibilità del punto precedente viene successivamente rideterminata in sede di assestamento del bilancio dello Stato.
…E COME VIENE SPESO
- LA FALCIDIE DEI DECRETI-LEGGE (DD.LL.)
Per lo meno dal 1993 è invalso l’uso di destinare una parte cospicua dell’OPM con DD.LL. Questa prassi continua anche adesso che è in vigore il DPR 76/98, che stabilisce un preciso iter per la ripartizione OPM, in cui non si fa menzione della possibilità di usare i decreti-legge. Anzi. Sulle singole iniziative sono richieste preventive valutazioni da parte delle amministrazioni competenti e del Ministero dell’Economia e Finanze, e sullo schema del DPCM sono richiesti i pareri delle Commissioni parlamentari, anche se non in forma vincolante.
Nella TABELLA A si vede la formazione della quota OPM, la destinazione con DD.LL e la somma che resta per la ripartizione effettuata con DPCM, ai sensi dell’art.5 del DPR 76/98. Va tenuto presente che, nella cronologia dei passaggi, la spesa per DD.LL. avviene sulla cifra del bilancio preventivo, prima, quindi, dell’assestamento definitivo, cosa che nella tabella non emerge, allo scopo di facilitare il confronto diretto fra le percentuali delle spese fatte coi DD.LL. e quella della cifra finale a disposizione del DPCM.
Si nota che le spese fatte con DD.LL. assorbono sempre un’altissima percentuale del gettito OPM, e inoltre vanno in gran parte a finanziare la partecipazione militare italiana a missioni internazionali di pace, destinazione molto dubbia quanto a legittimità rispetto al DPR 76/98. Proprio a questo proposito, il sen. Alberto Monticone, nella seduta della Commissione Pubblica Istruzione del 12/10/2000 faceva presente, peraltro invano, che «..la partecipazione militare italiana a missioni internazionali di pace, benché faccia senz’altro onore al nostro paese, potrebbe essere più opportunamente finanziata a carico di altri capitoli del bilancio».
Nella TABELLA B sono riportati gli estremi dei DD.LL. e delle leggi di conversione con le cifre stanziate e le destinazioni di ciascun intervento.
- …CON QUEL CHE RESTA
Ciò che rimane dopo la sforbiciata dei DD.LL., viene ripartito con il DPCM fra i progetti accolti dopo il vaglio dei ministeri competenti, come mostrano le TABELLE C.
A questo proposito è giocoforza sottolineare che l’impossibilità dichiarata dal Ministero Affari Esteri di valutare la validità degli 11 progetti relativi alla fame nel mondo presentati nel 2000 ha fatto sì che quell’anno lo stanziamento per questa voce sia stato pari a ZERO (la motivazione è riportata nella nota 1 della TABELLA C/2000).
Per restare a questa voce, va detto che essa non ha mai rappresentato una spesa significativa rispetto alla somma ripartita col DPCM, che è già, come si è visto, esigua rispetto al totale OPM. Si va, infatti, dallo 0,44 del 1999 al’1,51 del 2001, e solo nel 1998 si arriva a un 11,69%.
Neppure l’assistenza ai rifugiati ha brillato granché, almeno fino al momento in cui non è sceso in campo il Ministero dell’Interno con un suo progetto-pilota che ha assorbito 26 miliardi fra il 2000 e il 2001 (24,17% nel 2000 e 9,08% nel 2001). La legittimità dello stanziamento di 100 miliardi effettuato con il D.L. 110/99 a favore dei rifugiati del Kosovo in Albania resta dubbia, perché il DPR 76/98 parla di rifugiati che siano nel nostro paese e non altrove.
La voce Conservazione dei beni culturali (in cui rientrano tanto i restauri di edifici, di opere d’arte o di documenti, quanto la sistemazione di archivi e biblioteche) riporta in primo piano la Chiesa cattolica, destinataria di interventi il cui costo, in percentuale, arriva fino al 48,34% del 1998.
Una timida novità nel 2000: accanto alla Chiesa cattolica ha fatto la sua comparsa l’assegnazione di uno smilzo 0,11% a favore della Comunità ebraica, e, nel 2001 è stato devoluto un 1,20% anche ai Valdesi, e un ulteriore 0,60% agli Ebrei.
Ciò non toglie, tuttavia, che l’uso dell’OPM dello Stato a favore delle Confessioni religiose, che già usufruiscono di un loro OPM, risulti quanto meno singolare, se non proprio irrispettoso, nei confronti dei contribuenti che hanno scelto esplicitamente lo Stato al posto, appunto, delle Confessioni religiose.
È vero che un altissimo numero di beni culturali in Italia è legato alle Confessioni religiose, in particolare alla Chiesa di Roma, ed è anche giusto che, in quanto testimonianza della nostra storia e cultura, tutto ciò sia tutelato e conservato al meglio, ma a questo proposito, mi sembra legittimo parafrasare l’osservazione del sen. Monticone riportata poco fa: la conservazione di opere di matrice religiosa, benché faccia certo onore al nostro paese, potrebbe essere opportunamente finanziata a carico di altri capitoli di bilancio.
APPENDICE
L’art.4, comma 2, del DPR 76/98 prevede che sia possibile finanziare per un nuovo progetto i soggetti che hanno già usufruito di un finanziamento, a patto che presentino una nuova, documentata istanza.
A partire dal DPCM 26/11/1999 viene dato conto di questa realtà, rispecchiata nella TABELLA D con alcune avvertenze.