Sono senza parole di fronte a questa meravigliosa impresa di Piergiorgio Odifreddi: ridare vita al De rerum natura di Lucrezio: con una nuova traduzione in prosa e con un commento che mostra i legami dell’opera lucreziana con la cultura e con la scienza contemporanea.
Perché la prosa: perché “per noi contemporanei, i versi attirano […] troppo l’attenzione su se stessi, e la distraggono da un contenuto che, nel caso della scienza, è preponderante sulla forma” – ma a mio avviso la scelta è molto valida anche sul piano formale, in quanto i versi e la metrica costringono mentre la prosa consente una più accurata scelta di parole scorrevoli e sonore, significative, sensate per una traduzione al tempo stesso moderna e più rispettosa del testo antico (“i traduttori [in versi] fanno sempre ciò che possono e spesso ciò che vogliono”). Ad esempio, è più facile dar conto fedelmente delle invenzioni linguistiche e delle “espressioni nuove” secondo Lucrezio necessarie per adeguare il nostro vocabolario povero alla ricchezza della natura.
Perché il commento: perché duemila anni fa Lucrezio “guardò alla cultura del futuro e ne anticipò una buona parte […]. Tutte le grandi teorie scientifiche di oggi (l’atomismo chimico-fisico, il materialismo psicologico, l’evoluzionismo biologico) sono esposte e difese nei suoi canti”. E anche qui occorre una certa libertà nella traduzione: “bastano anche piccole accortezze, quali identificare Venere con una spinoziana Dea, sive Natura, o l’animo e l’anima con le funzioni del cervello e del sistema nervoso, per illuminare di luce nuova questi versi antichi, che una lettura troppo letterale rischierebbe di far apparire antiquati, offuscandone la visionaria attualità”. Come precisa Odifreddi, “il valore scientifico dell’opera di Lucrezio non risiede comunque negli specifici dettagli delle sue più o meno corrette anticipazioni, bensì nella sua generale visione divulgativa. Nell’aver capito, cioè, che gli argomenti scientifici sono fonti pure a cui abbeverarsi, per imparare grandi cose e ‘sciogliere i nodi annodati nell’animo dalla religione e dalla superstizione’” (ve l’ho detto, sono senza parole: perciò pesco a piene mani dall’introduzione).
Odifreddi dedica questa sua impresa “[…] ai professori di scienze, perché diffondano il contenuto scientifico del poema di Lucrezio. E ai professori di lettere, perché non lo rimuovano nascondendolo dietro la forma letteraria” e calca ulteriormente la mano su questa sua (ricorrente) polemica nei confronti dei “letterati” con una citazione tratta da La ricerca delle radici di Primo Levi: “Se avessi letto Lucrezio in Liceo me ne sarei innamorato, ma Lucrezio non si legge volentieri nei licei: ufficialmente perché è troppo difficile, di fatto perché dai suoi versi ha sempre emanato odore di empietà”. Devo dire che la mia esperienza è molto diversa: il liceo classico e i professori di lettere mi hanno fatto conoscere il De rerum natura (la mia classe lo portava alla maturità), mostrandomi quell’autentico “spirito scientifico” che permea quest’opera e che ho poi ritrovato con gioia in Spinoza, in Galileo, in Diderot, in Giacomo Leopardi – e sì, da ultimo in Raymond Queneau e in Italo Calvino, per ripercorrere l’ideale galleria degli “eredi moderni” di Lucrezio tracciata da Odifreddi nell’introduzione. Una gioia che è a un tempo il sollievo per la liberazione dalle paure, secondo il programma epicureo (paura dei fenomeni naturali minacciosi, cui viene data una spiegazione razionale; paura della morte, naturalisticamente accettata; paure indotte da superstizioni e religioni, criticate a fondo e confutate), quel piacere intellettuale che deriva dalla conoscenza (dalle “idee chiare e distinte”, dai conti che tornano, dalla soluzione dei misteri) e quel godimento estetico della forma che non occulta, Odifreddi, ma esalta e “addolcisce” (per dirla con Lucrezio) l’argomentazione razionale.
E c’è un altro grande piacere nell’incontro con gli autori menzionati: il piacere del condividere una visione del mondo, del riconoscersi in un modo di pensare e di sentire, tanto più prezioso in quanto appartiene ancora a una minoranza, a una “corrente sotterranea” – così il filosofo francese Louis Althusser definisce il materialismo.
Ringrazio dunque di cuore Piergiorgio Odifreddi per questa rinnovata gioia.
Maria Turchetto
ottobre 2013