di Lorenzo Lozzi Gallo
Il 16 febbraio di quest’anno abbiamo celebrato la figura di Giordano Bruno in occasione dei quattrocento anni dalla sua morte. Giordano Bruno è giustamente considerato un martire del libero pensiero da tutti gli atei del mondo; eppure, non tutti sanno che ancora oggi la chiesa cattolica produce martiri contro di essa. È il capolavoro della chiesa cattolica, creare le condizioni per uccidere senza che nessuno possa accusarne i vertici di aver materialmente ordinato la cosa. Eppure, nessuno può negare che spesso i suicidi di omosessuali e di altre persone che il Vaticano utilizza come capri espiatori non possono essere imputati ad altro che a questa campagna omnipervasiva: soprattutto tra i giovani omosessuali, i più esposti agli influssi dell’educazione cattolica, il numero di tentativi di suicidio, secondo le statistiche, è nettamente superiore rispetto a quello dei loro coetanei eterosessuali. Ma non sono solo gli adolescenti a cadere vittime di questo pogrom silenzioso: la storia che stiamo per raccontare è esemplare, e insieme eccezionale, per il carattere eccezionale della persona coinvolta.
Alfredo Ormando era nato e cresciuto in Sicilia, in un ambiente da lui stesso definito bigotto e provinciale. Discriminato dalla più tenera età a causa del suo essere omosessuale, a 39 anni Ormando decise di farla finita con le discriminazioni, a modo suo. Martedì 13 gennaio 1998 Ormando arrivò in piazza S. Pietro intorno alle sette e mezza di mattina, portando con sé una tanica di benzina. Arrivato al colonnato, si tolse il soprabito, si cosparse di liquido e appiccò il fuoco ai vestiti che portava. Riuscì a fare ancora qualche passo in direzione della basilica, poi cadde. I carabinieri in servizio in piazza S. Pietro lo soccorsero e fu trasportato d’urgenza all’ospedale. Aveva ustioni sul 90 per cento del corpo. Morì dopo undici giorni di agonia, senza mai riprendere coscienza.
Alla sua morte, il portavoce del Vaticano, Ciro Benedettini, negò che esistesse una qualunque connessione tra l’omosessualità dell’uomo e il luogo scelto per mandare ad effetto il suo gesto, affermando: «Nella lettera trovata addosso a Ormando, non si afferma in nessun modo che il suo gesto sia determinato dalla sua presunta omosessualità o da protesta contro la Chiesa». In realtà, Alfredo Ormando aveva con sé due lettere in cui spiegava le sue ragioni; le aveva lasciate nel soprabito che si era tolto. Furono confiscate. Ma Ormando era un uomo previdente: ne aveva mandato copia anche all’ANSA di Palermo, prima di prendere il treno per Roma.
La prima delle due lettere era indirizzata al fratello. In essa l’autore si sfogava in questi termini: «Non hai idea di come ci si sente quando si è trattati in questo modo; non si riesce mai ad abituarsi ad accettarlo, perché è la nostra dignità che viene brutalmente vilipesa. Anche il marito di “E” (una sua sorella, nda) e suo figlio si sono vergognati in pubblico di me, anche quella santa donna di tua suocera si è permessa di deridere la mia omosessualità. Forse non ti è noto l’odio caino di nostro fratello “E” nei miei confronti? Fino a giungere a dire di fronte ad un estraneo (tu eri presente): “Se potessi ucciderlo con le mie mani lo farei”. Non voglio rifare queste bruttissime esperienze, so che si ripeteranno sempre fino a quando sarò vecchio e prossimo alla morte. Non permetterò più che si continui ad umiliarmi: non lo potrei più sopportare».
Nell’altra, indirizzata genericamente «ai posteri», Ormando cominciava con tono amaro: «Chiedo scusa per essere venuto al mondo». Questa seconda lettera è pervasa da un’esaltazione che si può spiegare considerando che è stata scritta da un uomo che aveva già fermamente deciso di uccidersi.
Ma la spiegazione del suo gesto emerge dolorosamente chiara in un’altra lettera, datata al natale del 1997, indirizzata ad un amico, in cui scrisse: «Penseranno che sia un pazzo perché ho deciso Piazza San Pietro per darmi fuoco, mentre potevo farlo anche a Palermo. Spero che capiranno il messaggio che voglio dare: è una forma di protesta contro la Chiesa, che demonizza l’omosessualità, demonizzando nel contempo la natura, perché l’omosessualità è sua figlia».
A questo punto, credo che nessuno avrà dubbi sulle ragioni di Ormando. Era un intellettuale, un uomo colto anche se provato, ormai esausto, e negli ultimi febbrili giorni prima della fine si è preoccupato di lasciare sufficienti testimonianze che ci permettono ora di erigergli il monumento che si è meritato come martire sull’altare delle libertà civili, l’unico cui tutti i cittadini italiani devono rendere omaggio. È triste dover riportare come questo gesto di grande valore morale sia andato totalmente sprecato per la chiesa: il papa stesso non ha voluto nominare Alfredo Ormando, neanche per dire una civile parola di cordoglio.
Da allora, la comunità omosessuale e i suoi sostenitori celebrano ogni anno il 13 gennaio in memoria di Alfredo Ormando. Quest’anno, l’appuntamento è stato particolarmente amaro per i cristiani, dato che nell’anno del Giubileo già si sapeva che il papa non avrebbe chiesto scusa agli omosessuali per le persecuzioni di cui li aveva fatti oggetto, e il rappresentante del coordinamento dei gruppi omosessuali cristiani in Italia, Andrea Ambrogetti, se ne era lagnato con la stampa. Ma anche per i laici ci sono stati segnali a dir poco inquietanti: come già raccontato nel numero 1 di quest’anno (Criticare la chiesa cattolica è reato di Pierangelo Bucci) il sit-in avvenuto in Campidoglio, nei giorni in cui il sindaco di Roma riceveva il papa, si è concluso con la repressione violenta di una libera e pacifica manifestazione, e con la denuncia di due ragazzi colpevoli di aver scritto in uno striscione un’opinione («Chiesa assassina») che nessuno può ritenere tecnicamente scorretta, nel caso di Ormando, ma che in Italia, a quanto pare, è proibito esprimere. Un bell’inizio Giubileo… Certo, a giudicare dalle polemiche di questi giorni, si può affermare con sicurezza che né il comune di Roma né il Vaticano hanno intenzione di proseguire diversamente da come avevano cominciato. Da questi avvenimenti d’inizio anno, e da quelli che abbiamo vissuto nei giorni scorsi, risulta chiaro che la Repubblica Italiana nei confronti delle minoranze sessuali usa metodi non democratici, in palese contrasto non solo con i diritti civili, ma anche con quelli umani. La vicenda di Alfredo Ormando, e le polemiche di questi giorni, mostrano a tutti noi atei, agnostici, o semplicemente cristiani liberi, l’importanza dei diritti delle minoranze sessuali come «cartina tornasole» del tasso di democraticità e di rispetto dei diritti umani in una nazione. La memoria stessa di chi è morto per la mancanza di questi diritti ci impedisce di dimenticare uno dei primi slogan del movimento omosessuale americano: «I diritti dei gay sono diritti umani - Gay rights are human rights!».