Otto per mille: attenti a quella firma

(Le sottrazioni ai contribuenti moltiplicano le entrate della CEI)

di Raffaele Carcano, Milano

Genesi della tassa di religione

Chiariamo subito un concetto: in Italia è sempre esistita una tassa di religione. Qualunque veste abbia assunto, ogni contributo destinato alla Chiesa Cattolica ha sempre sottratto fondi al bilancio statale causando un disavanzo, ripianato solo grazie al prelievo fiscale su tutti i contribuenti. Perché un cittadino non credente debba finanziare l’attività di un’organizzazione religiosa resta un indovinello del quale i nostri legislatori, sempre proni ai voleri del Vaticano, non vogliono svelare la soluzione. La risposta è, purtroppo, assai semplice e amara: la gigantesca struttura burocratica creata dai successori di san Pietro fagocita annualmente migliaia di miliardi, con una sempre minore capacità d’autofinanziamento. Mano a mano che la secolarizzazione avanza, diminuiscono le entrate e, parallelamente, aumentano le esigenze di spesa per frenare il fenomeno. Mentre i commercianti sull’orlo del lastrico finiscono nelle mani degli usurai, la Chiesa può invece fiduciosamente rivolgersi allo Stato italiano, pronto a soddisfare le richieste più incredibili senza chiedere nulla in cambio.

 

I sacerdoti italiani sono sempre stati retribuiti dal munifico bilancio statale: il supplemento di congrua ha garantito loro per decenni un’entrata sicura, anche quando l’Italia era sull’orlo della bancarotta. Un privilegio che all’inizio degli anni Ottanta ha cominciato ad apparire quantomeno inopportuno, tanto da richiedere una soluzione «politicamente corretta». Il brillante escamotage elaborato dalla Chiesa, e subìto passivamente dal governo Craxi, è stato la creazione di un sistema di finanziamento legato alla volontà del cittadino. Un meccanismo apparentemente trasparente e democratico. Cosa hanno da ridire, allora, gli atei impenitenti?

Una legge di parte, volutamente ambigua

Gli accordi per le modifiche del Concordato, stipulati nel 1984, comprendevano anche un nuovo sistema di finanziamento della religione non più di Stato: una nuova legge avrebbe destinato l’8 per mille dell’intero gettito IRPEF alla Chiesa Cattolica (per scopi religiosi o caritativi) o allo Stato stesso (per scopi sociali o assistenziali), in base alle opzioni espresse dai contribuenti sulla dichiarazione dei redditi. La nuova legge (n. 222 del 20 maggio 1985) si dimostra faziosa fin dal titolo: Disposizioni sugli enti e beni ecclesiastici in Italia e per il sostentamento del clero cattolico in servizio nelle diocesi [1]. Composta di 75 articoli, solo il titolo II è dedicato all’argomento, e la sua lettura è sinceramente esilarante.

 

Il legislatore comincia prendendo atto della costituzione, in ogni diocesi, di un Istituto per il sostentamento del clero: e prosegue constatando che lo scopo di questi Istituti è quello di «assicurare, nella misura periodicamente determinata dalla Conferenza Episcopale Italiana, il congruo e dignitoso sostentamento del clero che svolge servizio in favore della diocesi», continuando poi in una noiosissima elencazione dei diritti del povero sacerdote a vedersi riconosciuto un giusto stipendio dal proprio datore di lavoro. Fin qui niente di male, salvo chiedersi «ma lo Stato che c’entra?». Lo Stato entra in campo soltanto con l’art. 47, secondo comma, nel quale è però nascosto il trappolone: sarà lui a fornire i fondi al datore di lavoro! Si noti che nel testo della legge non compare alcun riferimento alle confessioni religiose di minoranza: questo provvedimento è stato concepito per le esigenze della Chiesa Cattolica, e solo successivamente esteso alle altre confessioni di minoranza che ne hanno fatto richiesta.

 

In pratica, ogni cittadino che presenta la dichiarazione dei redditi può scegliere la destinazione dell’8 per mille del gettito IRPEF tra diverse opzioni, attualmente sette: Stato, Chiesa Cattolica, Unione Chiese Cristiane Avventiste del 7° giorno, Assemblee di Dio in Italia, Unione delle Chiese Metodiste e Valdesi, Chiesa Evangelica Luterana in Italia, Unione Comunità Ebraiche Italiane. In realtà nessuno destina il «proprio» gettito: il sistema adottato assomiglia molto di più ad un gigantesco sondaggio d’opinione, al termine del quale si «contano» le scelte, si calcolano le percentuali ottenute da ogni soggetto, ed in base a queste percentuali vengono poi ripartiti i fondi. Come se non bastasse, la mancata formulazione di un’opzione non viene presa in considerazione: l’intero gettito viene ripartito in base alle sole scelte espresse. «Un’autentica anomalia… la utilizzazione delle scelte non espresse, secondo il calcolo matematico di quelle espresse, intacca il principio di volontarietà: il non avere manifestato la propria scelta comporta, a prescindere dalle motivazioni, rifiuto del nuovo sistema o volontà di non parteciparvi» [2].

Soldi, soldi, soldi, quanti soldi…

Il governo motivò la percentuale prescelta in base ad alcune sue previsioni, secondo le quali la cifra destinata alla Chiesa Cattolica sarebbe rimasta sostanzialmente invariata. Pochi temerari sostennero pubblicamente i propri dubbi. Le previsioni di questi ultimi si rivelarono invece azzeccate. Con il vecchio criterio lo Stato stanziava 406 miliardi: oggi la cifra, dopo soli 15 anni, si è quasi quadruplicata. Gli ultimi dati ufficiali e definitivi forniti dal Ministero delle Finanze si riferiscono alle dichiarazioni dei redditi del 1996 (redditi 1995) [3]. Oltre 30 milioni di contribuenti si sono così espressi:

 

54,51% nessuna scelta [4]
37,56% Chiesa Cattolica
6,56% Stato
0,67% Valdesi
0,70% Altre confessioni evangeliche

Solo un contribuente su tre ha quindi deciso di devolvere l’8 per mille alla Chiesa Cattolica. Tuttavia, grazie al perverso meccanismo della legge, quest’ultima si è assicurata ben l’82,56% dei fondi a disposizione, pari a 1.454 miliardi! [5]

 

Come gestisce poi questi fondi, ottenuti anche grazie ad una martellante campagna pubblicitaria che le costa più di 10 miliardi?: 555 miliardi servono per pagare gli stipendi al clero, 229 vengono affidati direttamente alle diocesi, 143 finanziano la costruzione di nuove chiese (non se ne sentiva la mancanza), 135 non meglio precisate «iniziative di rilievo nazionale», 100 sono destinati alla tutela dei (propri) beni artistici, 10 alle colf dei sacerdoti, e solo 283 miliardi sono lasciati ai tanto strombazzati interventi caritativi e umanitari, oggetto quasi esclusivo della propria azione di marketing (si sa, i bambini poveri del terzo mondo inteneriscono anche i cuori più duri, tanto chi controlla che i soldi arrivino loro veramente?) [6].

Perché è importante la firma sulla dichiarazione dei redditi

Spero di aver chiarito un po’ le idee sull’argomento: il meccanismo è subdolo, ed è stato adottato apposta per trarre in inganno il contribuente [7]. Che sia una partita truccata lo si nota facilmente: non solo uno dei giocatori (lo Stato) accetta le regole dell’altro, ma addirittura evita di giocare, rifiutando accuratamente di fornire qualunque informazione sull’argomento, nonché di fare propaganda a proprio favore. Come se non bastasse, più del 10% delle somme a sua disposizione vengono destinate comunque alla Chiesa Cattolica sotto forma di sovvenzioni di progetti sociali cattolici o restauri di edifici religiosi. Uno scandalo bello e buono, insomma: che deve spingere però tutti i cittadini atei a soffermarsi maggiormente sull’elevatissimo grado di clericalismo presente all’interno della classe politica italiana, e a cosa fare in prima persona per operare un cambiamento. La firma per lo Stato garantisce quantomeno che gran parte di questi fondi vengano destinati a scopi umanitari «laici», ed è comunque un segnale ben preciso di non accettazione di questo stato di cose.

 

Ricordiamoci quindi di firmare la casella «Stato» sulla dichiarazione dei redditi, oppure (qualora non ricorrano le condizioni per la presentazione della dichiarazione) di effettuare ugualmente la scelta della destinazione dell’8 per mille consegnando il modello in una busta chiusa agli enti preposti alla raccolta (poste, banche, ecc.).

 

In Germania il finanziamento alle religioni avviene in modo molto più onesto: i fedeli sono tenuti a pagare in favore della Chiesa a cui appartengono una sovraimposta nella misura dell’8-9% dell’imposta sul reddito [8]. «Si può quindi dire che il sostentamento economico delle Chiese è effettivamente assicurato dai loro fedeli e non grava sul bilancio statale» [9]. Per noi atei, ma anche per tutti coloro che hanno a cuore le sorti della laicità dello Stato, è forse questa la strada da perseguire a livello legislativo.

Note

  1. Nelle dichiarazioni di voto, il senatore Giovanni Ferrara motivò il proprio dissenso lamentando «l’inaccettabilità della procedura adottata dal governo di presentare alle Camere come leggi di attuazione un testo identico a quello degli accordi bilaterali», ovviamente non modificabili.
  2. Carlo Cardia. Stato e confessioni religiose. Il Mulino 1988.
  3. Tale ritardo non deve sorprendere: esiste un rigoroso riserbo nella divulgazione di tali cifre. Il sottoscritto - in data 23 marzo 2000 - ha indirizzato una richiesta al Ministero dell’Interno - Servizio Affari dei Culti (mai nome fu più appropriato!) per ottenere qualche dettaglio in più. Mi è stato risposto, due mesi dopo, che una simile richiesta era di competenza del Ministero delle Finanze - Dipartimento Entrate (in realtà si tratta di uscite, ma comunque…). A oggi nessuna nuova: al contadino non far sapere…
  4. I dati provvisori per l’anno successivo danno questa percentuale in ulteriore aumento al 60,79%.
  5. Somma globale corrisposta alla Chiesa Cattolica nell’anno 1996. Vista la lentezza nello «scrutinio», lo Stato stanzia annualmente un acconto e, contemporaneamente, paga il saldo relativo a diversi anni prima (generalmente tre).
  6. Dati ricavati dal sito internet sovvenire.it - Servizio per la promozione del sostegno economico alla Chiesa Cattolica.
  7. Non solo il semplice cittadino è portato a fraintenderne il funzionamento, ma anche la persona colta e informata. Lo scorso novembre il giornalista Daniele Protti ha dovuto pubblicamente scusarsi, durante il programma giornaliero che conduceva su Radio Tre, per aver sostenuto la tesi della non ripartizione delle scelte inespresse.
  8. «Se si vuole essere membri di una Chiesa si è obbligati a pagare queste imposte. Le Chiese contano i loro membri proprio a partire dai contribuenti» (Bonifacio Alemanno. «Le chiese tedesche marciano insieme alla conquista dell’est», in Limes, numero 1/2000). Ciò ha portato, tra l’altro, all’emersione di un numero di non credenti decisamente considerevole.
  9. Silvio Ferrari, Ivan C. Iban. Diritto e religione in Europa occidentale. Il Mulino 1997.