di Alessandro Capriccioli, Roma
Chi non ha presenti gli spot con cui la Chiesa Cattolica chiede agli italiani di destinarle l’8 per mille della loro IRPEF? Divenuti ormai un classico dei palinsesti primaverili, quegli appelli pubblicitari costituiscono l’unico esempio di autopromozione da parte dei soggetti ammessi alla ripartizione: né lo Stato italiano, infatti, né gli altri beneficiari hanno mai ritenuto di rivolgersi ai contribuenti utilizzando simili messaggi.
Sarebbe interessante recuperarli tutti, sin dall’inizio, per verificarne attentamente i contenuti e sintetizzarli in un documento sinottico, diviso per aree tematiche; ignoro se un archivio simile sia disponibile su Internet (sicuramente lo sarà presso le emittenti che hanno trasmesso gli spot); tuttavia, andando a memoria, mi pare di ricordare che la Chiesa Cattolica abbia sistematicamente chiesto ai contribuenti di erogare la loro quota di imposte per finalità quali l’assistenza ai disabili e agli anziani, il sostegno del terzo mondo, l’accoglienza dei senza tetto e via discorrendo; in estrema sintesi, quelle che nel linguaggio ecclesiastico vengono designate “opere di carità”.
Tuttavia, se ci si prende la briga di verificare come la Chiesa Cattolica abbia effettivamente impiegato i fondi ricevuti dall’otto per mille (gran parte dei quali, peraltro, derivano dalla mancata scelta dei contribuenti che non hanno apposto la loro firma su alcun riquadro), ci si accorge che le cose, in realtà, sono ben diverse da come appaiono.
All’indirizzo internet 8xmille.it è possibile consultare il rendiconto di spesa dei fondi assegnati con l’otto per mille, così come pubblicato dalla C.E.I.
L’esposizione è piuttosto contorta e farraginosa, ma se ci si arma di una calcolatrice e di un pizzico di pazienza se ne può venire a capo nel giro di un paio d’ore. In particolare, prendendo come riferimento i fondi assegnati nell’anno 2005, si può evincere quanto segue:
Impiego dei fondi assegnati | |
Sacerdoti |
€ 315.000.000 |
Culto e pastorale |
€ 271.000.000 |
Edilizia di culto |
€ 130.000.000 |
Carità |
€ 115.000.000 |
Terzo Mondo |
€ 80.000.000 |
Beni culturali |
€ 70.000.000 |
Fondo di riserva |
€ 3.000.000 |
Totale dei fondi assegnati |
€ 984.000.000 |
Esaminando le voci appena elencate, ci si accorge che la più significativa (circa il 32% del totale) è quella relativa al sostentamento dei sacerdoti, che attraverso questo meccanismo viene “integrato” dallo Stato italiano. Nel sito Internet della C.E.I. è spiegato che, per l’anno 2005, il 57% dei fondi necessari al sostentamento del clero deriva dall’otto per mille dell’IRPEF: si tratta quindi di un’integrazione piuttosto sostanziosa, specie se si considera che un ulteriore 22% di tale fabbisogno viene finanziato attraverso gli stipendi dei sacerdoti che lavorano (per esempio come insegnanti di religione, pagati dallo Stato che però non ha la facoltà di sceglierli), e quindi che, in un modo o nell’altro, lo Stato italiano mantiene i sacerdoti per una quota che sfiora il 70%.
La seconda voce di spesa (circa il 28% del totale), è denominata “Culto e Pastorale”: scartabellando sul sito internet della C.E.I. ci viene spiegato che in questa dicitura (piuttosto oscura per un profano) è ricompreso il finanziamento dei seguenti filoni di attività:
- Opere pastorali di varia natura quali famiglie religiose e volontariato laicale (49 milioni di euro);
- Fondo catechesi per l’educazione cristiana (60 milioni di euro);
- Tribunali ecclesiastici regionali (7 milioni di euro);
- Fondi attribuiti alle diocesi (cioè ai vescovi) per il finanziamento di varie attività quali esercizio della cura delle anime, formazione del clero, di nuovo catechesi e formazione cristiana, facoltà teologiche e istituti religiosi (155 milioni di euro).
Se si eccettuano le opere pastorali, che in taluni casi svolgono attività di assistenza assimilabile a quelle mostrate negli spot televisivi, le altre voci di spesa si riferiscono al finanziamento di realtà che con quegli spot hanno ben poco a che vedere: si può affermare, con un certo grado di approssimazione, che circa l’80% di questa voce di spesa, corrispondente al 22% dei finanziamenti totali, viene destinata a simili impieghi, che riguardano soprattutto il funzionamento interno della Chiesa Cattolica e dei suoi apparati.
Circa il 13% del finanziamento totale viene poi destinato alla cosiddetta “Edilizia di culto”, cioè agli interventi edilizi in favore delle parrocchie, delle case canoniche, delle aule per il catechismo (ma non dei parcheggi, delle palestre, degli impianti sportivi, delle aule scolastiche).
Dando per scontato che le voci “Carità” e “Terzo mondo”, pari complessivamente al 20% del totale, siano rappresentative di attività corrispondenti a quelle reclamizzate negli spot, che gli impieghi in favore dei “Beni culturali”, pari al 7% del totale, finiscano in qualche modo per arrecare dei benefici sia pure indiretti alla collettività, e trascurato il trascurabile accantonamento al “Fondo di Riserva”, si possono tirare le somme e tornare a riflettere sui messaggi pubblicitari di cui si diceva in precedenza, alla luce dei calcoli appena effettuati.
Ebbene, i risultati dell’elaborazione sono addirittura sorprendenti, se è vero che il 67% dei fondi ricevuti con l’otto per mille vengono destinati a utilizzi che non corrispondono affatto agli impieghi reclamizzati negli spot televisivi, ma che riguardano piuttosto il mantenimento dell’apparato della Chiesa Cattolica, dei suoi dipendenti, dei suoi fabbricati; solo il 33% dei fondi viene speso per attività che in qualche modo possano essere ritenute corrispondenti agli appelli mediatici; sui quali la Chiesa Cattolica ha investito, negli ultimi anni, tante risorse (probabilmente a loro volta finanziate con l’otto per mille degli anni precedenti).
Così, per ogni dieci euro di IRPEF che l’ignaro contribuente decide di versare nelle casse della Chiesa Cattolica, solo tre vengono effettivamente destinate alle finalità che probabilmente l’hanno spinto a operare la sua scelta. A chi scrive è stato opposto, durante una recente discussione, che chi destina le proprie tasse alla Chiesa non lo fa perché convinto dal contenuto di quegli spot, ma piuttosto perché desideroso di finanziare genericamente la Chiesa Cattolica e ciò che essa rappresenta, e quindi semplicemente in quanto appartenente alla comunità dei credenti: argomentazione assai facile da confutare, attraverso la banale considerazione che, se così fosse, quegli spot non verrebbero prodotti, e le risorse ad essi destinate verrebbero finalizzate ad altri scopi.
Ma c’è di più. Che dire di tutti i fondi che pervengono alla Chiesa da coloro che NON hanno deciso di destinarglieli, che costituiscono il 60% del totale? Anche quei fondi, evidentemente, vengono impiegati nel modo che si è appena descritto, con conseguenze a dir poco paradossali.
Un esempio?
Monsignor Sgreccia, presidente della Pontificia Accademia per la Vita, in una recente intervista ha affermato, tra l’altro, che l’omosessualità è una malattia, curabile solo se il “vizio” non sia stato praticato troppo a lungo e non sia divenuto quindi irreversibile. Non me ne vorrete se mentre finisco di scrivere queste tre cartelle immagino il monsignore che se ne torna a casa dopo il colloquio col giornalista, si accorge che è tardi e decide di cenare, legge le ultime notizie del giornale acquistato al mattino, si lava i denti e se ne va a dormire.
E, meraviglia delle meraviglie, buona parte di quella cena, di quel giornale, di quel dentifricio, è stata pagata da coloro che ha appena finito di insultare.