di Antonio Crivotti
Il 23 settembre scorso La Repubblica ha pubblicato in prima pagina un articolo di Khaled Fouad Allam intitolato «Io, musulmano nell’Europa cristiana», sul tema della Convenzione europea e delle radici cristiane dell’Europa. Non intendo qui pronunciarmi sulle opinioni espresse dall’autore, e neppure sulla validità del collegamento tra queste opinioni e i fatti o dai quali esse dovrebbero derivare: qualsiasi opinione può essere condivisa o non esserlo, qualsiasi deduzione può essere convincente oppure no; ma i fatti sono sacri, e solo di fatti desidero occuparmi in questa sede.
Qualche considerazione preliminare, prima di tornare all’articolo di Khaled Fouad Allam.
Come dato di fatto, le “radici cristiane” dell’Europa sono cosa incontrovertibile. Non meno incontrovertibile del fatto che, in grande maggioranza, gli Europei hanno la pelle bianca, o che a occidente l’Europa confina con l’Oceano Atlantico. E dei dati di fatto indipendenti dalla nostra volontà non ha senso vantarsi né vergognarsi, a meno che a questi fatti non si voglia attribuire un valore programmatico, di modello o di delimitazione. Menzionare nella Convenzione europea le “radici bianche” della popolazione sarebbe superfluo come indicazione di un dato di fatto e del tutto inaccettabile nel mondo di oggi come indicazione di auspicabile delimitazione o di orientamento preferenziale per il futuro. Similmente, il ricordare nella Convenzione che, poniamo, i confini orientali della Comunità Europea coincidono oggi con quelli della Finlandia, della Svezia, della Germania e dell’Austria, o che saranno tra un anno quelli previsti dall’allargamento della Comunità, sarebbe superfluo come presa d’atto di una situazione di fatto, e politicamente inopportuno come indicazione di chiusura nei confronti di eventuali ulteriori allargamenti futuri. Così anche per le “radici cristiane” dell’Europa: come dato di fatto sono cosa troppo nota ed evidente per aver bisogno di essere ricordate, e per aver senso la loro eventuale menzione nella Convenzione presuppone un’adeguata motivazione.
Tra le principali motivazioni che Khaled Fouad Allam ci propone con forza: c’è l’affermazione che «le nostre istanze politiche si radicano proprio nel cristianesimo» e che c’è anche «qualcosa di più profondo…: la passione per la libertà - ovvero le passioni democratiche - e il sentirsi partecipi di una storia comune, che ha fatto del cristianesimo il punto focale intorno cui l’Europa si è definita». E ancora: «L’Europa è debitrice verso il cristianesimo perché, lo si voglia o no, esso le ha dato forma, significato e valori».
Ma la Storia non dice questo. La Storia dice tutto il contrario.
La Storia dice che la democrazia, come concetto (Platone, Aristotele), è nata nell’ambiente pagano dell’antica Grecia, e nello stesso ambiente si è realizzata, simultaneamente al rigoglioso sviluppo del pensiero matematico e della Logica e ai primi progressi delle scienze della natura. La Storia dice che dalla caduta delle città-Stato greche alla rinascita delle idee democratiche e alla costituzione delle prime democrazie moderne sono trascorsi un paio di millenni e, durante almeno metà di questo lungo periodo, l’Europa è stata quasi esclusivamente soggetta a regimi autocratici od oligarchici cristiani, i cui re e imperatori hanno spesso cercato e ottenuto l’incoronazione papale. La Storia dice che la parte per noi più significativa dell’opera di Aristotele, comprendente tra l’altro la Fisica, l’Etica e la Politica, è giunta all’Europa cristiana del tardo Medio Evo e del Rinascimento, nonostante l’avversione e i divieti della Chiesa, attraverso la ritraduzione in latino delle traduzioni in arabo degli originari testi greci curate, custodite e commentate dagli studiosi arabi e, in particolare, da Avicenna nel secolo XI e da Averroe, a Cordova (allora capitale della Spagna musulmana) nel secolo successivo. Tutti riconoscono l’influenza del rinnovato interesse per l’antichità precristiana sulla formazione dell’umanesimo rinascimentale, che a sua volta ha dato origine al pensiero e alla metodologia scientifica dei tempi moderni e agli ideali di tolleranza, libertà e giustizia esaltati dall’illuminismo, nonostante l’ostinata repressione delle autorità religiose. Solo tra il 1572 e il 1605 l’Inquisizione mandò al rogo, per le loro idee, una cinquantina di eretici tra i quali Giordano Bruno. Galileo è stato processato e condannato per le sue scoperte scientifiche, Cartesio si è ritirato a lungo in Olanda per poter godere di un clima più libero, ma da quello stesso ambiente Spinoza, il primo grande filosofo moderno fautore della democrazia, ha dovuto ricorrere a mille cautele per riuscire a far conoscere il proprio pensiero, a causa della minacciosa ostilità delle autorità religiose. Le scoperte di Darwin sono ancora oggi considerate sacrileghe in certi ambienti cristiani, e in alcuni stati degli USA qualcuno si adopera per cercar di vietarne l’insegnamento nelle scuole. La Storia dice che nei ricorrenti conflitti tra potere assoluto in stati cristiani e aneliti libertari la Chiesa si è quasi sempre schierata dalla parte del potere, e gli Stati Pontifici stessi sono stati fino alla fine un esempio di assolutismo e di arbitrio poliziesco.
La Storia dice dunque, attraverso i pochi fatti che abbiamo ricordato e innumerevoli altri che si potrebbero aggiungere, che gli ideali di democrazia, di giustizia, di libertà, di solidarietà umana ai quali l’Europa di oggi aspira e nei quali tutti gli europei di oggi vorrebbero riconoscersi, si sono fatti strada nonostante, e non grazie, alle radici cristiane. Se è vero che questi ideali sono anche, in parte, valori cristiani, si tratta di un cristianesimo ideale che almeno fino a tempi recenti poco aveva a che fare con il “cristianesimo reale”, così come il socialismo degli idealisti poco aveva a che fare con il “socialismo reale” dell’Unione Sovietica e dei suoi satelliti. E se è vero che negli ultimi 50 anni, con la svolta impressale da Giovanni XIII, la Chiesa cattolica si è in parte riavvicinata ai valori comuni del cristianesimo ideale, del socialismo ideale, dell’Islam ideale, del giudaismo ideale e della morale platonica e aristotelica, non si può, senza insultare la Storia, affermare che questo è conseguenza delle radici cristiane dell’Europa: si tratta piuttosto di un frutto derivante da quelle altre radici lontane della nostra civiltà che risalgono alla Grecia pagana e che, con il contributo essenziale, nel Medio Evo, della cultura islamica e della sua presenza nella penisola iberica (non dovrei essere io a ricordare all’islamista Khaled Fouad Allam) sono riuscite a riemergere, dopo tanti secoli di incontrastato assolutismo, di superstizione, di cruento fanatismo e di ostinata repressione, dando anche origine alla linfa che ha alimentato il rigore metodologico della scienza moderna, l’effettiva istituzione di regimi sia pur imperfettamente democratici, e i primi lenti e sofferti passi verso il superamento delle superstizioni e dei pregiudizi. Tutto questo è accaduto nonostante e a dispetto delle nostre radici cristiane.