L’improbabilità di Dio

di Richard Dawkins

Da Free Inquiry (1998), Vol. 18, No. 3.

Tradotto da Roberto Sandulli, professore di Zoologia dell’Università di Napoli “Parthenope”

 

Molte delle azioni umane vengono fatte in nome di Dio. Gli irlandesi si ammazzano in nome di dio, gli arabi fanno attentati kamikaze, gli imam e gli ayatollah opprimono le donne. Papi e preti rovinano le vite sessuali della gente. Sacerdoti ebrei sgozzano animali. I traguardi della chiesa nella storia – crociate sanguinose, inquisizione, torture, assassinii di massa da parte dei conquistadores, missionari che distruggono la cultura e le tradizioni locali, resistenza legalizzata al progresso scientifico fino all’estremo – parlano da sé. E tutto ciò per quale motivo? Beh, non sembra esserci alcun motivo. Non c’è alcuna ragione per credere all’esistenza di un qualsiasi dio, e ottime ragioni per credere che non ne esista alcuno e che mai ne siano esistiti. E’ stata una spaventosa ed enorme perdita di tempo e di vita. Sarebbe una barzelletta esilarante se non fosse drammaticamente vero e tragico.

Perché la gente crede in dio? Per la maggior parte delle persone la risposta è ancora nell’antica questione del ‘disegno’. Ci si guarda attorno e si ammira l’intricata bellezza del mondo, l’aerodinamico disegno dell’ala della rondine, la delicatezza dei fiori e delle farfalle che li fecondano o, attraverso un microscopio, l’infinità di forme di vita contenute in una goccia d’acqua o, attraverso un binocolo, la gigantesca chioma di una sequoia. Riflettiamo sulla complessità elettronica e sulla perfezione ottica del nostro occhio. Se abbiamo un po’ di immaginazione queste cose ci provocano un senso di soggezione e di rispetto. Inoltre, non possiamo non essere colpiti dalla somiglianza evidente degli organi viventi ai disegni attentamente pianificati del genio umano. L’argomento è famoso per essere stato espresso nell’analogia dell’orologiaio dal sacerdote del XVIII secolo William Paley. Anche se non sai cosa sia un orologio, le caratteristiche meticolosamente progettate dei suoi ingranaggi e molle e di come essi sono stati assemblati per uno scopo specifico, costringerebbe a concludere che l’orologio deve avere avuto un “creatore”: che deve essere esistito, in un certo momento, e in qualche luogo, un artefice o diversi artefici, che lo hanno costruito per lo scopo cui esso è in realtà deputato; artefici che hanno ideato la sua costruzione e progettato il suo utilizzo. Se questo è vero per un orologio relativamente semplice, quanto più dovrebbe esserlo per l’occhio, orecchio, rene, articolazione del gomito, cervello? Queste strutture belle, complesse, articolate e, ovviamente, appositamente costruite devono aver avuto i propri designer, il proprio orologiaio: Dio.

Così argomentava Paley, ed è un argomento che quasi tutte le persone attente e sensibili scoprono da sole ad un certo punto nella loro infanzia. Tale idea, durante il corso della storia, è sembrata assolutamente convincente, assolutamente vera. E tuttavia, come risulta da una delle più sorprendenti rivoluzioni intellettuali nella storia, ora sappiamo che è sbagliato, o almeno superfluo, inutile. Ora sappiamo che l’ordine e l’apparente predeterminazione del mondo vivente sono il risultato di un processo completamente diverso, un processo che funziona senza la necessità di qualsiasi progettista e che fondamentalmente è una conseguenza di leggi della fisica molto semplici: il processo dell’evoluzione per selezione naturale, scoperta da Charles Darwin e, indipendentemente, da Alfred Russel Wallace.

Che cosa hanno in comune tutti gli oggetti che li fa apparire come se debbano essere stati creati da un artefice? La risposta è l’improbabilità statistica. Se troviamo un ciottolo trasparente levigato dal mare nella forma di una lente grossolana, non concludiamo che è necessariamente stato realizzato da un ottico: le sole leggi della fisica sono in grado di raggiungere questo risultato; non è troppo improbabile che questo sia accaduto. Ma se troviamo un’elaborata lente composta, attentamente corretta per l’aberrazione sferica e cromatica, rivestita contro la riflessione, e con «Carl Zeiss» inciso sul bordo, allora sappiamo che potrebbe non essere accaduto per caso. Se si prendono tutti gli atomi di tale oggetto e li si lascia assemblare a casaccio sotto l’influenza del caos delle ordinarie leggi naturali della fisica, è teoricamente possibile che, per mera fortuna, gli atomi possano riorganizzarsi in un modello di una lente composta della Zeiss, e anche che gli atomi attorno al bordo si possano riordinare in modo tale che il nome Carl Zeiss fosse inciso su di esso. Ma il numero di altri modi in cui gli atomi possono, con eguale probabilità, riarrangiarsi, è così enormemente elevato, incommensurabilmente maggiore che noi possiamo tranquillamente rigettare l’ipotesi di tale probabilità. Tale probabilità è quindi fuori discussione come spiegazione.

Quanto su detto non rappresenta un “ragionamento circolare”, cioè un paradosso. Potrebbe sembrarlo perché si potrebbe dire, ogni particolare disposizione degli atomi è, a posteriori, molto improbabile. Come è stato detto prima, quando una pallina si ferma su un particolare filo d’erba sul campo da golf, sarebbe sciocco esclamare: «tra tutti i miliardi di fili d’erba su cui poteva cadere, la pallina è effettivamente caduta su questo. Che miracolo!». La pallina, naturalmente, deve cadere a terra da qualche parte. Ci possiamo stupire solo dell’improbabilità dell’evento reale se lo dichiarassimo a priori: ad esempio, se un uomo bendato colpisse la pallina a caso e realizzasse una buca in un sol colpo, tale evento sarebbe davvero sorprendente, perché la destinazione della palla è stata specificata in anticipo.

Di tutti i miliardi di modi diversi in cui gli atomi di un telescopio possono riarrangiarsi, solo un’infinitesima minoranza potrebbe generare qualcosa di utile in qualche modo. Solo una piccolissima minoranza avrebbe Carl Zeiss inciso sopra, o, addirittura, tutte le parole di qualsiasi lingua umana riconoscibile. Lo stesso vale per le parti di un orologio: di tutti i miliardi di possibili modi di ridisporre i suoi atomi, solo una piccola minoranza lo farà in modo tale da fornirci l’ora o da fare qualcosa di utile. E naturalmente lo stesso vale, a maggior ragione, per le parti di un organismo vivente. Di tutti i trilioni di trilioni di modi di mettere insieme le parti di un organismo, solo una quantità infinitesimale potrebbe produrre qualcosa capace di vivere, cercare cibo, mangiare e riprodursi. Se è vero com’è vero che ci sono molte modalità diverse di vita – modi diversi in almeno 10 milioni di organismi se contiamo il numero di specie esistenti oggi – allora è anche certo che ce ne sono stati molteplici di più di essere morto! (NdT: se le specie attuali sono almeno 10 milioni, allora è chiaro che quelle estinte sono molte di più).

Possiamo tranquillamente concludere che gli organismi viventi sono miliardi di volte troppo complicati, ed è quindi troppo improbabile, statisticamente, che si siano generati per puro caso. E allora come sono venuti fuori? La risposta è che il caso entra in gioco, ma non in un atto unico, monolitico. Al contrario, si sono verificati tutta una serie di piccoli passaggi casuali, ognuno piccolo abbastanza per essere un prodotto credibile del suo predecessore, uno dopo l’altro in sequenza. Questi piccoli passaggi sono causati da mutazioni geniche, cambiamenti casuali – veri errori – nel materiale genetico. Essi danno luogo a cambiamenti nella struttura corporea esistente. La maggior parte di questi cambiamenti sono deleteri e portano alla morte. Una piccola parte, però, induce lievi miglioramenti, portando a miglioramenti nella riproduzione e ad aumento nella sopravvivenza. Da questo processo di selezione naturale, quei cambiamenti casuali che risultano benefici si tramandano infine attraverso la specie e diventano la norma. E ci si prepara per il prossimo piccolo cambiamento nel processo evolutivo. Dopo un migliaio di questi piccoli cambiamenti in serie, ognuno dei quali fornisce la base per il successivo, il risultato finale è diventato, attraverso un processo di accumulazione, troppo complesso per essersi generato in un unico atto casuale.

Per esempio, è teoricamente possibile che un occhio si origini in un unico passaggio fortunato, a partire, diciamo, dal nulla, da pelle nuda. È teoricamente possibile nel senso che potrebbe generare da una “ricetta” fatta da un gran numero di mutazioni; cioè, si potrebbe formare un occhio completo dal nulla se tutte queste mutazioni avvenissero contemporaneamente. Ma, anche se è teoricamente possibile, è in pratica inconcepibile. La quantità di casualità coinvolta è troppo grande. La ricetta «corretta» comporta modifiche in un numero enorme di geni simultaneamente. La ricetta giusta è una particolare combinazione di cambiamenti fra trilioni di combinazioni di possibilità ugualmente probabili. Possiamo certamente escludere una tale coincidenza miracolosa. Ma è perfettamente plausibile che l’occhio moderno potrebbe essersi originato partendo da qualcosa di quasi simile ma non abbastanza: da un occhio leggermente meno elaborato. Allo stesso modo, quest’occhio leggermente meno elaborato sarebbe potuto essersi generato da un altro occhio leggermente meno elaborato ancora, e così via. Se si assume un numero sufficientemente grande di differenze sufficientemente piccole fra ogni fase evolutiva e quella del suo predecessore, si può pensare che il nostro occhio complesso possa essere derivato, in definitiva, da pelle nuda. Quante tappe intermedie siamo autorizzati a postulare? Questo dipende da quanto tempo abbiamo a disposizione. C’è stato tempo sufficiente per l’evoluzione degli occhi in pochi passaggi dal nulla?

I fossili provano che la vita si è evoluta sulla terra per più di 3000 milioni di anni. È quasi impossibile per la mente umana cogliere una tale immensità di tempo. Noi, naturalmente e per fortuna, tendiamo a vedere la nostra attesa di vita come un tempo abbastanza lungo, ma non possiamo pensare ancora di vivere un secolo. Gesù è vissuto 2.000 anni fa, un arco di tempo abbastanza lungo da offuscare la distinzione tra storia e mito. Potete immaginare 1 milione di tali periodi uniti tra loro? Supponiamo di scrivere tutta la storia su un unico lungo rotolo di carta. Se noi restringiamo tutta la storia dell’Era volgare (NdT: dall’1 ad oggi) in un metro di rotolo, quanto sarebbe lunga la parte di rotolo pre-Era volgare fin dall’inizio dell’evoluzione? La risposta sarebbe che la parte del rotolo pre-Era volgare sarebbe lunga da Milano a Mosca. Pensate alle implicazioni di questo per la quantità di cambiamenti evolutivi che si possono essere realizzati in tale lasso di tempo. Tutte le razze domestiche di cani – pechinesi, barboncini, spaniel, san bernardo e chihuahua – si sono originati dal lupo in un intervallo di tempo misurato in centinaia o al massimo migliaia di anni: non più di due metri lungo la strada da Milano a Mosca. Pensate alla quantità di cambiamenti necessari per trasformare un lupo in un pechinese; ora moltiplicate tale quantità per 1 milione. Ragionando in questo modo, diventa facile credere che un organo complesso come l’occhio si possa essere evoluto per piccoli passi da una parte di tessuto privo di occhio alcuno.

Possiamo quindi ritenerci soddisfatti con l’idea che ogni forma intermedia sul percorso evolutivo, ad esempio, da pelle nuda ad occhio moderno, sarebbe stata favorita dalla selezione naturale; sarebbe stata un miglioramento rispetto al suo predecessore nella linea evolutiva o almeno sarebbe sopravvissuta. Non ha senso dimostrare a noi stessi che teoricamente c’è una catena di forme intermedie impercettibilmente diverse che portano a un occhio se molte di tali forme si sono estinte. Si è talvolta sostenuto che le parti dell’occhio devono essere presenti tutte insieme o l’occhio non funzionerà affatto. Molti pensano che metà occhio non sia meglio di nessun occhio affatto. Vale a dire, non puoi volare con mezza ala, non riesci a sentire con mezzo orecchio. Pertanto non ci possono essere stati una serie di forme intermedie che portano gradualmente a un occhio moderno, o ad un’ala o ad un orecchio.

Questo tipo di affermazione è talmente ingenua che si ha persino difficoltà a individuare i motivi per volerci credere. Ovviamente, non è vero che la metà di un occhio è inutile. Chi soffre di cataratta e che ha avuto il cristallino rimosso chirurgicamente non può vedere molto bene senza occhiali, ma certamente molto meglio rispetto alle persone che non vedono affatto. Senza un obiettivo non si può mettere a fuoco un’immagine dettagliata, ma si può evitare di sbattere contro gli ostacoli e si può persino rilevare l’ombra di un predatore incombente.

Inoltre, l’affermazione che non si può volare con solo la metà di un’ala viene smentita da un gran numero di animali che utilizzano il volo planante in maniera assai efficiente, compresi mammiferi di vari generi, lucertole, rane, serpenti e persino calamari. Molte specie di animali che vivono sugli alberi presentano pliche di pelle tra i loro arti che possono essere davvero considerate come frazioni di ali. Se si cade da un albero, ogni lembo di pelle o appiattimento del corpo che ne aumenta la superficie può salvare la vita. E tuttavia grande o piccola che sia l’ala, ci sarà sempre un’altezza critica tale che, se si cade da un albero di quell’altezza, la tua vita si sarebbe salvata se la tua ala fosse stata un po’ più ampia. Quindi, quando i discendenti avranno evoluto tale superficie in più, la loro vita si potrebbe salvare se cadessero da alberi di altezza leggermente maggiore. E così via attraverso molteplici passaggi graduali per centinaia di generazioni, si può giungere allo sviluppo di un’ala intera.

Gli occhi e le ali non saltano fuori in un unico passaggio. Sarebbe come avere la fortuna di indovinare la combinazione che apre il caveau di una banca. Ma se si ruotano a casaccio i quadranti della serratura e ogni volta che ti avvicini sempre più al numero fortunato la porta della cassaforte si apre di un altro spiraglio, presto la porta si aprirà! In sostanza, questo è il segreto di come l’evoluzione per selezione naturale raggiunge ciò che all’inizio sembrava impossibile. Cose che plausibilmente non possono essere derivate da predecessori molto differenti può plausibilmente essere derivato da predecessori solo leggermente diversi. Ammesso solo che ci sia una serie sufficientemente lunga di tali predecessori leggermente diversi, è possibile derivare qualsiasi cosa da qualsiasi altra cosa.

L’Evoluzione, quindi, è teoricamente in grado di fare il lavoro che, una volta, sembrava essere la prerogativa di Dio. Ma c’è qualche prova che l’evoluzione è realmente accaduta, ed accade tuttora? La risposta è sì; le prove sono schiaccianti. Milioni di fossili si trovano esattamente nei luoghi e all’esatta profondità che dovremmo aspettarci se esistesse l’evoluzione. Non un singolo fossile è stato trovato mai altrove se non dove la teoria dell’evoluzione ha previsto, anche se questo potrebbe accadere molto facilmente: se, infatti, si rivenisse un mammifero fossile in rocce più vecchie di quelle che contengono pesci fossili, questo sarebbe sufficiente a confutare la teoria dell’evoluzione.

I modelli di distribuzione e le specie di animali e piante sui continenti e isole del mondo è esattamente ciò che ci si aspetterebbe se essi si fossero evoluti gradualmente da antenati comuni. I modelli di somiglianza tra gli animali e le piante è esattamente quello che dovremmo aspettarci se alcuni fossero cugini più stretti e altri cugini alla lontana. Il fatto che il codice genetico è lo stesso in tutte le creature viventi suggerisce in maniera schiacciante che tutti discendono da un unico antenato. Le prove dell’evoluzione sono così convincenti che l’unico modo per salvare la teoria della creazione è supporre che Dio avrebbe piazzato deliberatamente tante prove per farla apparire come dovuta all’evoluzione. In altre parole, i fossili, la distribuzione geografica degli animali e così via, sarebbero tutti frutto di un gigantesco trucco. Qualcuno vuole adorare un Dio capace di tale inganno? È sicuramente molto più riverente, così come più scientificamente sensato considerare le prove per il loro vero valore. Tutte le creature viventi sono cugine di un’altra, discendono da un antenato remoto che visse più di 3000 milioni di anni fa.

L’argomento del Design come motivo per credere in un Dio, è stato quindi demolito. Ci sono altre spiegazioni? Alcune persone credono in Dio a causa di una sorta di “rivelazione interiore”. Tali rivelazioni non sono sempre edificanti, ma sembrano senza dubbio reali alla persona interessata. Molti pazienti internati in strutture per la cura di malattie mentali hanno un’incrollabile fede interiore che gli fa credere di essere Napoleone o, addirittura, Dio stesso. Non esiste alcun modo per convincere tali soggetti che le loro rivelazioni interiori possono essere erronee, ma questa non è una buona ragione perchè il resto di noi ci creda. Infatti, dal momento che tali credenze sono contraddittorie, non tutti possiamo crederci.

Bisogna aggiungere ancora qualcosa. L’evoluzione per selezione naturale spiega molto, ma è chiaro che non poteva iniziare dal nulla. Essa non poteva iniziare fino a quando non è comparsa una sorta di riproduzione ed ereditarietà seppur rudimentale. L’ereditarietà moderna è basata sul codice genetico, che è di per sé troppo complicato da poter pensare che sia sorto all’improvviso in un unico atto di casualità. Ci deve essere stato precedentemente qualche sistema ereditario, oggi scomparso, che era abbastanza semplice da essersi originato per eventi casuali e le leggi della chimica hanno poi fornito il mezzo in cui una tale forma primitiva di selezione naturale cumulativa poteva aver inizio. Il DNA è stato il prodotto successivo di questa prima selezione cumulativa. Prima di questo tipo preliminare di selezione naturale, ci fu un periodo in cui si formarono composti chimici complessi a partire da composti più semplici e prima ancora un periodo in cui i composti chimici più semplici si formarono dai semplici elementi chimici, secondo le ben note leggi della chimica e della fisica. Ancora prima, tutti gli elementi furono originati dall’idrogeno puro che si era formato immediatamente dopo il big bang, che ha avviato l’universo.

C’è la tentazione di affermare che, anche se Dio può non essere necessario per spiegare l’evoluzione dell’ordine complesso una volta che l’universo si era formato in accordo con le leggi fondamentali della fisica, tuttavia abbiamo bisogno di un Dio per spiegare l’origine di tutte le cose. Questa idea, però, non lascia a Dio molto da fare: infatti, appena partito il big bang, questo Dio se ne sarebbe stato lì ad aspettare che tutto accadesse? Il chimico-fisico Peter Atkins, nel suo splendido libro La creazione, postula un Dio pigro che si sarebbe sforzato di fare il meno possibile prima di avviare il tutto. Atkins spiega come ogni fase della storia dell’universo si sarebbe generata da quella immediatamente precedente, secondo semplici leggi fisiche. L’autore ridimensiona poi la quantità di lavoro che il creatore pigro avrebbe svolto e alla fine conclude che in realtà non avrebbe avuto bisogno di lavorare affatto!

I dettagli scientifici relativi alla fase iniziale di vita dell’universo appartengono al regno della fisica; io, da biologo, sono più interessato alle fasi successive dell’evoluzione della complessità. Anche se il fisico ha bisogno di postulare la presenza iniziale di un “minimum”, indispensabile per l’origine dell’universo, per me, da biologo appunto, quel minimo irriducibile è sicuramente estremamente semplice. Per definizione, le spiegazioni che si basano su premesse semplici sono più plausibili e più soddisfacenti delle spiegazioni che devono postulare fasi iniziali estremamente complesse e statisticamente improbabili. E non si può pensare a qualcosa di più complesso di un Dio onnipotente!