Franco Buffoni ha pubblicato Suora carmelitana (Guanda 1997), Il profilo del Rosa (Mondadori 2000), Guerra (Mondadori 2005), Noi e loro (Donzelli 2008), Roma (Guanda 2009). Dirige il semestrale Testo a fronte. È autore dei romanzi Più luce, padre (Sossella, 2006), Reperto 74 (Zona 2008), Zamel (Marcos y Marcos 2009) e del pamphlet Laico Alfabeto (Transeuropa 2010).
Porta Orientale
Tecniche di indagine criminale
Il gatto ferito
Del maestro in bottega
Ultime cene
Se il mondo è stato creato
Lager
La via dei topi – Rat Line
Per il potere di sciogliere e legare
Gay Pride
Via di Ripetta
Le lingue delle madri
Anno giubilare 2000
Quattro date
Protetto
Una lunga sfilata di monti
Ho pensato a te, contino Giacomo
Di Leopardi
La chiesa vaticana
Dal muro di cemento
In via Marmorata
Cunicoli scale
Lontane su un mare piatto
Galilei
La sera dei santi Abbondio e Procolo
Alle tre del venerdì
Con veste di giada
Il pervinca fiorito
Dove ancora si inventa
Visita a Fabriano
Da Il profilo del Rosa, Mondadori 2000
Porta Orientale Porta Ticinese Porta Genova
Porta Romana Porta Vercellina
Trionfano sopra Cristo in croce
Nell’allegoria della battaglia di Legnano
Conservata al museo del duomo di Vercelli.
E le alabarde frecce ed aste oblique
Paiono dipartite da corna intrecciate
Di buoi rossocrociati. Dall’altare un barbuto
Benedice solo eroi e qualche utopia
Almeno per quei popoli e ceti sociali
Che ne hanno ancora bisogno.
Tecniche di indagine criminale
Tecniche di indagine criminale
Ti vanno - Oetzi - applicando ai capelli
Gli analisti del Bundeskriminalamt di Wiesbaden.
Dopo cinquanta secoli di quiete
Nella ghiacciaia di Similaun
Di te si studia il messaggio genetico
E si analizzano i resti dei vestiti,
Quattro pelli imbottite di erbe
Che stringevi alla trachea nella tormenta.
Eri bruno, cominciavi a soffrire
Di un principio di artrosi
Nel tremiladuecento avanti Cristo
Avevi trentacinque anni.
Vorrei salvarti in tenda
Regalarti un po’ di caldo
E tè e biscotti.
Dicono che forse eri bandito,
E a Monaco si lavora
Sui parassiti che ti portavi addosso,
E che nel retto ritenevi sperma:
Sei a Munster
E nei laboratori IBM di Magonza
Per le analisi di chimica organica.
Ti rivedo col triangolo rosa
Dietro il filo spinato.
E’ stato chiamato «Oetzi» e «Uomo del Similaun» (dal nome della località del Tirolo e del ghiacciaio in cui fu rinvenuto all’inizio degli anni Novanta) l’individuo vissuto nell’eneolitico i cui resti - straordinariamente conservati - sono tutt’ora oggetto di studio.
Quella mattina che trovai il gatto ferito
Dove perde l’asfalto la stradina
E diventa sentiero di una villa sola,
Vidi il bianco e il rosso respirava
Gonfiava il corpo ad ogni colpo di fiato
Dalla bocca aperta
Immobile tra un cartoccio di cibo
Un piattino di latte non toccato.
E’ lì da ieri disse una voce alle mie spalle
Con in mano altro cibo.
Mi voltai e quella faccia da cristiana
Mi vide raccogliere il mattone
Per lasciarlo cadere esattamente
Con due mani.
Smise il gonfiore urlava barbaro
Mentre scostavo la terra tra le felci.
Da Del Maestro in bottega, Empiria 2002
Del maestro in bottega senza voglia
Di disegnare oltre…
Ma gli aiutanti alle prese coi diciotto
Putti tutti uguali
E i garzoni apprendisti intorno ad imparare
A macinare colori a ripulire…
Lo avrebbe capito chiunque
Che sarebbe finita sul rogo
Coi suoi dentini aguzzi
E quei piedini agili sulla gradinata.
Anche da come le sorrideva la compagna
Riflessa in confessione alla vetrata
Dal labirinto della cattedrale.
Siede a destra di Cristo
Giovanni
Nel Cenacolo del Franciabigio
Al Convento della Calza
Su per la Porta di San Pier Gattolino,
Non a sinistra come nelle Cene
Più note e visitate,
Ansiosamente ancella per Andrea del Sarto
Al Cenacolo di San Salvi,
Sleeping boy da Lullaby col Ghirlandaio
Alla Badia di Passignano
E ancora a Foligno il Perugino
O Andrea del Castagno a Sant’Apollonia
Con Giuda in primo piano
Concupiscente e nero.
Qui il Franciabigio pone Giovanni a destra
Ed a sinistra Pietro
Vecchio amministratore
Delegato al governo
Del Regno del Signore
Dalla parte del cuore,
Perché a destra il colore
Di Giovanni stordisce
Ben più della luce
Di finestra in cornice
Al grembo vòlto il rapito
Da postura con Giove
Ganimede imprigrito.
Da Guerra, Mondadori 2005
Se il mondo è stato creato
Per l’uomo e le sue esigenze
Dio alla fine dei tempi
Premierà le vittime della storia.
La quercia all’entrata del campo
Schiantata nel vento dal fulmine
Del dio elettrico del cielo,
Qui la sola trascendenza
E’ il recupero in sei ore di altre forze,
Come pesci in una polla
Asfissianti sotto lo strato di ghiaccio
Tra la terra e il cielo.
Perché sulla nave il berretto è floscio
Senza visiera oltre l’equatore
E un nuovo io che gli piace,
Con le rose da coltivare
Nella discreta villa suburbana.
Ciascuno scegliendosi la propria identità
Come un falco la sua preda
Dal chiostro della nunziatura.
Per il potere di sciogliere e legare
Fu impiccato a Ponte Sant’Angelo
Il compilatore di avvisi Annibale Cappello
Ma il boia prima gli mozzò una mano
E strappò all’uso vaticano
La lingua al gazzettiere.
Quando si riteneva che il mondo
Fosse stato creato per l’uomo
E le sue esigenze,
Il supplizio della veglia
Consisteva nella sospensione –
Funicelli, vebbia e cavalletto –
A braccia slogate
Per quaranta ore.
Durante le quali, come sveniva,
Il condannato era calato
Su un legno appuntito
E all’urlo sùbito risollevato.
Mostra vene sottopelle il condannato
Mentre abile un carnefice gli strappa
Il cuoio intero, reggendogli il tallone.
Era solo il rantolo, l’apposta,
Ancora nel suo banco
Mastro Titta boia papalino
Nella capitale solare
Le strade leggermente arrotondate.
E prima di cozzare a terra
Scorre all’ingiù il corpo-proiettile
A cielo nudo per le tre di luna
All’uscita da gabbia bruna
Di legno, dove era la prigione
Con gli strati di tortura.
Del garzone assegnato a girar l’aspo
Per tenere acceso il fornello
Le bretelline del grembiule
Segavano le scapole,
Due alucce nude. Nel magazzino
Surriscaldato dei chiodi intanto
Lame alte come princìpi
Scendevano
Su avanzi di carni policrome…
Quando è supino
Giù legato a terra
Vede solo gli stivali
Che gli girano attorno
Gli vengono vicino,
Un giro in più alle cordicelle,
Entrano gli altri due…
Non si riprende subito.
Fanno smorfie ad antichi monsignori
E magistrati, legati al collo e zavorrati,
La gorgiera ben riposta sotto ossa
Di mento e mascella,
I prigionieri scomodi che oscillano
Sul fondo del Tirreno
Affogati nei sacchi di damasco
Tra scheletri di schiavi rematori
Legati alla catena.
Non costa nulla chiedere perdono
Per archi trionfali popolati
Di allegorie screziate
Consustanziate in lame ed armature
Tasse sul miele al papa-re per S. Michele
Spade pugnali attrezzi di tortura
Non costa nulla chiedere perdono.
Per il potere di sciogliere e legare
Convertire reprimere annientare
Non è possibile chiedere perdono.
Da Noi e loro, Donzelli Editore 2008
“E il caffè dove lo prendiamo?”
Chiede quella più debole, più anziana
Stanca di camminare. Alla casa del cinema,
Là dietro piazza di Siena.
Non si erano accorte della mia presenza
Nel giardinetto del museo Canonica,
Si erano scambiate un’effusione
Un abbraccio stretto, un bacio sulle labbra.
Parlavano in francese, una da italiana
“Mon amour” le diceva, che felicità
Di nuovo insieme qui.
Come mi videro si ricomposero
Distanziando sulla panchina i corpi.
Le scarpe da ginnastica,
Le caviglie gonfie dell’anziana.
Quella sera, come smollò il caldo,
Passeggiai fino a Campo de’ Fiori,
Pizzeria all’angolo, due al tavolo seduti di fronte,
Giovani puliti timidi e raggianti
Dritti sulle sedie col menù sfogliavano
E si scambiavano opinioni
Discretamente.
Lessi una dignità in quel gesto educato
Al cameriere, una felicità
Di esserci
Intensa, stabilita. Decisi li avrei pensati sempre
Così dritti sulle sedie col menù.
Lo sguardo bovino dei due carabinieri
Al caldo in macchina
A dieci metri dall’attraversamento pedonale
Dove inginocchiata
Con un cartone logoro e la scritta
Di figli e di pietà
Smunta di orrori stava lei
Tra i piedi anche dei preti percorrenti
Il week end della Immacolata in tutta fretta.
Da tre anni qui a Roma ho un compagno
Turco, di etnia curda.
Comunista, torturato in galera,
Conosce gli uomini e la vita divora, quando può.
Qui a pranzo da me in giorno di Ramadan
Mangiò di tutto e con buon appetito.
Poi non so come fu ma gli chiesi
Di mamma e fratelli, di casa.
Li sente una volta al mese, quasi sempre chiamando lui:
“Ieri sera ha chiamato mia madre,
Per dirmi di non mangiare di giorno e di pregare”.
E tu perché mangi? Perché ho fame.
Poi facemmo l’amore molto bene
E alle tre tornò ridendo a monte
Testaccio dai compagni.
Quella sera da solo a letto lessi Gwyneth Lewis
Che nel Cyfweliad a’r Bardd
- L’interrogatorio della poetessa -
Ricorda le sue letture di ragazza:
Leggevo storie di scrittori inglesi
Nascoste tra le copertine gallesi.
Funzionò per un po’, finché la mamma
Trovò Dick Francis dentro il Bardd Cwsg
Una sera dopo il tempio. Fui sgridata,
Picchiata. Era una donna pura:
Una lingua per tutta la vita.
Non doveva imparare l’inglese Gwyneth Lewis
Perché la mamma voleva il suo bene.
Ricordo che il venerdì santo
Non perché avessi fame
- In casa mia non si digiunava
Ma si osservava il magro - mi comprai
Un etto di prosciutto crudo
E lo mangiai ai giardini. Fui avvistato e la mamma
Ne ebbe tanto dispiacere:
Perché fai queste cose? Non vuoi bene a Gesù?
Per quel povero ragazzo ebreo di bell’aspetto
Dall’eloquio affascinante
Coraggioso esaltato torturato
Vittima di un errore giudiziario,
Malgrado tutto nutro il più profondo rispetto.
Quattro date sono stato costretto a ripassare
Nell’aprile del 2005
Quattro date del mio calendario. Nel ’58
Avevo dieci anni e il televisore
Era entrato da poco in casa mia.
A dottrina mi avevano insegnato che la gravissima responsabilità
Avrebbe fatto tremare il designato: “Chissà come ha rifiutato…”, sussurrai.
La nonna Gina, che non ci credeva, al contrario dell’altra – la Pina,
Bigotta rosminiana - era vicino a me ad ascoltar l’Habemus.
In quella congrega di cattolici colsi il suo sussurro
Laico “Al gà par minga ver al panzun, sta’ sigür”,
Che sconvolse non poco le mie convinzioni vaticane.
Cinque anni dopo, a nonne morte, abitavamo di fronte a san Rocco,
L’ultima tappa di Montini in pastorale
Prima della partenza per la capitale.
Nel ’63 ero alto e bello, turbato nella carne e nel pensiero.
Mi trovai lì a passare proprio mentre un piccolo gruppo di inchinati
Attendeva di baciare l’anello. Non capii al momento,
Vidi la mano che si allungava, la strinsi
E mi trovai l’anello contro il naso. Poi la mano mi carezzò la guancia,
E l’indice sul lobo dell’orecchio nettamente percepii.
Io credo ancora di aver capito tutto nell’istante
In cui incrociai lo sguardo.
Nel ’78 ero un allenato agli uomini ed al mondo
Giovane ricercatore. Furono due le date,
La prima rassicurante. Voce da checca estatica, pensai.
Alla seconda restai perplesso. Dopo la costruzione
Della piscina a CastelGandolfo e le foto di Karol al picnic
Scrissi due settenari:
“Ora che abbiamo un papa
Eterosessuale”,
Seguiti dalla annotazione (studiavo Adorno):
Rigidità fisica sostitutiva di rigidà fallica
Intervallata da icona tomistica,
Il bue muto.
Ma certo non pensavo che l’omofobia
Sarebbe stato il marchio del suo pontificato.
Dell’ultima elezione preferisco non dire,
Il ghigno è da incubo notturno. E “se penso
Alla Germania di sera, io
Non riesco a dormire”.
Un sampietro d’argento al colonnato
Diverrà questa faccia rasata
Ideologica quanto basta e temeraria
Da vescovo armigero combattente
Pronta con la truppa a ricacciare
Nei cessi dei cinema
I-forse-perché-più-sensibili,
Misericordiosamente.
Protetto come animale o pianta viva
Io frocio mi sento orchidea
Rettile scimmia cactus, protetto
Dalla sapientia cordis
Di papa Benedetto.
Una lunga sfilata di monti
Mi separa dai diritti
Pensavo l’altro giorno osservando
Il lago Maggiore e le Alpi
Nel volo tra Roma e Parigi
(Dove dal 1966 un single può adottare un minore).
Da Barcellona a Berlino oggi in Europa
Ovunque mi sento rispettato
Tranne che tra Roma e Milano
Dove abito e sono nato.
Da Roma, edizioni Guanda 2009
Ho pensato a te, contino Giacomo
Ho pensato a te, contino Giacomo, vedendo
Su una rivista patinata
Le foto degli scavi in Siria a Urkish,
A te e ai tuoi imperi e popoli dell’Asia
Quando intuivi immensamente lunga
La storia dell’umanità.
Altro che i Greci il popolo giovane di Hegel
O il mondo solo di quattromila anni della Bibbia
Credendo di dir tanto, fino a ieri.
Tu lo sapevi che sotto sette strati stava Urkish
La regina coi fermagli
L’intero archivio su mille tavolette
Già indoeuropea nella parlata
L’accusativo in emme. Capitale urrita
Dai gioielli legati all’infinita pazienza
Dei ricami in oro. Tu lo sapevi che poi gli Hittiti
Sarebbero giunti a conquistarla,
Già loro vecchi e di vecchi archivi nutriti…
Sono stufo di preti e di poeti, conte Giacomo.
E di miti infantilmente riadattati.
“La mia filosofia è dispiaciuta ai preti, i quali e qui
e in tutto il mondo, sotto un nome o sotto un altro,
possono ancora e potranno eternamente tutto”
Di Leopardi che ritorna col pensiero a Roma
Dalle pendici del Vesuvio: “Anco ti vidi /
de’ tuoi steli abbellir l’erme contrade /
che cingon la cittade”. Desolazione per desolazione,
Naturale per intellettuale, deserto per deserto…
Di Leopardi suddito dello stato pontificio
Liberale clandestino in ideologico isolamento
- Il ridicolo e il grottesco delle Operette
Per eccellenza armi illuministiche
Contro antropocentriche metafisiche -
In quell’angusto regno del silenzio
Dalle mostruose tipologie censorie
Che fu il governo della
Reverenda Camera Apostolica.
Roma desertica.
La chiesa vaticana a riguardo
- Segreto secreto dalle sue labbra oscure -
Ripropone bromuro
Dato per secoli a’ soldati suoi, cavalli e collegiali,
Perché il cuore dei ragazzi
Brucia troppo selvaggiamente
Prima di aver riposo tra i cadaveri.
E libertà si smarrisce ancora
Per debiti al padrone,
La mala bestia da sonno a sonno passando,
Sogno a sogno piangendo al giudice bambino.
Per Grecia fin troppo chiara,
Lontana Grecia morta.
Dal muro di cemento
Che illumina le guglie al grande tempio
Islam-C.d.V. 1 a 1
Dunque ai rigori
Con braghe alle caviglie
Come prescrivono il Corano
E delle Guardie svizzere il manuale
Del giovane cristiano.
In via Marmorata perché lì sbarcavano
Per essere lavorati e rifiniti
I marmi colorati
- Graniti e porfidi d’Egitto
Marmi neri e verdi di Tessaglia
E Spagna, gialli di Simitto –
E i bianchi delle Cicladi e di Luni.
Se passi lentamente urlano ancora
Da colonnine tortili
Per le fruste d’allora: la metà posteriore di una testa
E un avambraccio
Sono inglobati in soglia a via Bodoni.
Poi Roma stessa diventò una cava,
Dalla Camera Capitolina fu sancita
La tariffa della spoliazione:
Dodici denari a blocco
Per trasformare in calce i marmi colorati
E ai ferri gli abusivi
Cavatori clandestini. Mentre i bianchi -
Colonne e capitelli - da via Mormorata ripartivano,
Con urli nuovi per le vie dell’acqua
Dietro ai Banchi in sul fiume del Tevero.
Cunicoli scale passaggi inattesi
Stanze sovrapposte e alle pareti
Quadrangolari nicchie per il dio
Nato da roccia e destinato
Per ordine di Apollo
A redimere il genere umano.
A san Clemente lungo i quattro strati
Si trafora il tempo scendendone i gradini
Nel silenzio. Da un angolo nascosto tuttavia
Si può distinguere il latino biascicato
Dal greco canto nelle pause, mentre sopra
Agli originali volumi architettonici,
Sospeso a una sola sillaba,
Un ampio passaggio melismatico
Dei primi secoli fora l’aria,
Congiungendosi al canto femminile
Dei Santi Quattro Coronati.
Lontane su un mare piatto
Abbandonate navi in disarmo
Della marina vaticana.
E a dominare i prodigi
Che in quelle acque di palude
Operava la natura,
In un palazzo con loggia decorata
Da sette leoni passanti,
Accanto all’emblema accollato
Da palme fruttate di rosso,
Due papi in abito da giullare
Nel dipinto staccato attendono il giudizio
Senza nemmeno una striscia
Di cielo che li aspetti.
Sono nere rotonde
Ben pressate le ombre della cornice
Alla parete: coppie di sante sulle trabeazioni
Bernini da par suo inseriva
Realizzando cantorie.
E quando guardo questa statua, il suo
Marmo debordante,
Vedo in ginocchio il vecchio Galilei
Dinanzi ai cardinali tronfi e bolsi.
La sera dei santi Abbondio e Procolo
E la sera dei santi Abbondio e Procolo
Il quattordici di aprile
Per osservare il cielo dalle Mura
Galileo salì col telescopio sul Gianicolo.
Proprio da sopra il Bosco Parrasio
- Vasca in marmo a quadrifoglio, con al centro
Due tritoni in travertino
Distesi sul fianco a sorreggere
Fiori e frutta, dal canestro
Fuoriesce uno zampillo -
Scoprì i satelliti di Giove dimostrando
Del sistema solare la struttura.
L’albero di Giuda cresce ancora lì attorno
Tra sempreverdi alloro e fillirea, e in aprile
Presenta un’intensa fioritura color porpora
Intonata alle vesti di Agesandro
Tesporide, al secolo Monsignor Ciccolini,
Arcade e custode del Bosco.
Alle tre del venerdì per risentire
Anche in cripta di banca risuonare
Le campane delle basiliche,
Un massiccio capitello corinzio
Funge da altare a via de’ Pettinari
In San Salvatore in Onda
Dove esondava sotto il presbiterio
Fino alle volte a crociera
Il capo coronato di Adriano sesto.
Lo sguardo fisso all’ostensorio ornato
Di rubini tra paramenti a fiorami in seta
Intessuta d’argento e funebri drappi in oro,
Da uomo a uomo Gesù ti sto pregando
Ma tu dammi cenno di riscontro.
In the Pallottini Ecclesia Church. Onlus.
Con veste di giada verde pallida
La creatura alata in processione
Resta inanimata. E i chiodi insanguinati sono unti
Intorno al Cristo di San Marcello al Corso,
Ma il pittore è Van Eyck e la carne
Alla luce si schernisce
Nei più profondi chiodi conficcati
Coi ginocchi che giungono a toccarsi
E il respiro a chiudersi.
Nel deambulatorio gotico a cappelle radiali
Della chiesa dei tedeschi, invece
Netti reliquiari e croci processionali
Sono in luce alle persiane allineati
Verso gli stalli lignei del coro a crociera
Costolonata. E alle finestre è un ciclo
Di vetrate istoriate con la croce
In cristallo di rocca precisamente al centro.
I confratelli vestono un saccone
Bianco con cordone nero,
Sul petto l’emblema del santo sacramento,
Ma da vicino te ne accorgi
Che è cartaceo il tessuto la divisa è finta.
Il pervinca fiorito entrando
Dalla disadorna porta laterale
Sbudella in un’arcata parietale
La statua di Michelangelo al lavoro,
Una cava a cielo aperto di profilo.
Colore forma linea movimento, se possiede
Un’estetica il cervello nella chiesa dell’Opus Dei
Ora reagisce la mia visione dall’interno
Al monumento di papa Clemente
Restaurato nei suoi ornamenti in stile
Con la temperanza appoggiata sull’urna
La mansuetudine in pensosa postura.
E a quelle braccia che squarciano il petto
Aperte sotto natiche puttesche.
Dove ancora si inventa violenza alla campagna,
Desolati terreni di risulta
Dall’attività edilizia
Con vuoti urbani, tasche di degrado,
Gli occhi due carboni lustri nati a Fez
In via Paolo Stoppa seduto su un gradino
Dell’erigenda parrocchiale “San Pio da Pietralcina”.
I
La magia di questa
Terra che si sveglia
Respirando nuova
Aria tra le bare.
Al cimitero di Fabriano l’alba
E’ una cosa seria.
II
Quando alle confraternite del Santo Sacramento
E del Suffragio
Seguiva il gonfalone del Comune
E poi le Arti,
Lanaioli calzettai tessitori cartai
Con le insegne delle famiglie più importanti,
Nella piazza dell’amena cittadina
Coi colli intorno verdeggianti
Venivano messi alla berlina
E poi alla gogna
Quelli come me colti in flagrante.
III
Mi colpì nel 1982 una frase di mio cognato fabrianese
A mia sorella, madre di Stefano
- Poi dedicatario di Theios -
Che all’epoca soffriva di frequenti tonsilliti:
“Mai, a mio figlio mai, una supposta in culo”.
IV
Nello Spedale di Santa Maria del Buon Gesù
Ha oggi sede la Civica Pinacoteca
Dove un arazzo campeggia coi seguaci
Degli apostoli che gettano
I libri eretici nel fuoco.
V
Ai libri come seguono
Gli eretici in persona
E a questi i non-conformi
Uomini e donne, in primis
Quelli delle supposte, poi le streghe.