«Norme in materia di sperimentazione clinica sull’uomo»
CAMERA DEI DEPUTATI
XIV LEGISLATURA
XIV LEGISLATURA
PROPOSTA DI LEGGE
Norme in materia di sperimentazione clinica sull’uomo
Presentata il 12 giugno 2001
PROGETTO DI LEGGE - N. 698
Onorevoli Colleghi!
Il sempre crescente consumo di farmaci, le nuove tecniche chirurgiche, i nuovi protocolli clinici, i nuovi sistemi diagnostici ed il gran numero di diversi composti chimici che comunque vengono a contatto con l’uomo pongono la necessità di una continua verifica degli effetti e dell’efficacia di questi composti e di queste metodiche.
Tale verifica, in ogni caso, comporta la sperimentazione sull’uomo e pone rilevanti problemi di natura etica e giuridica.
Risulta quindi grave e sorprendente che in Italia manchi una legge organica che disciplini la sperimentazione umana. È lo stesso Ministro della sanità che il 12 febbraio 1990, in risposta all’interrogazione n. 4-17079 degli onorevoli Tamino e Ronchi, affermava: «Circa il problema della sperimentazione clinica, si fa presente che, attualmente, non esiste una normativa che la disciplini compiutamente, sebbene in passato siano state presentate diverse proposte di legge».
Per queste ragioni risulta necessario che il Parlamento affronti urgentemente un problema di così grande rilievo che periodicamente fa gridare quotidiani e riviste allo scandalo di donne, uomini e bambini trasformati in “cavie umane”.
Già nel 1972 G. Maccacaro, nella prefazione al libro di M. H.Pappworth Cavie umane. La sperimentazione sull’uomo (Feltrinelli), affermava: «L’industria farmaceutica presenta ogni anno al nostro Ministero della sanità alcune centinaia di domande di registrazione di nuove specialità medicinali. La legge impone che ogni domanda sia corredata, fra l’altro, da una o più relazioni firmata da un clinico e referenti su prove da lui eseguite in soggetti umani, generalmente malati. Poiché ogni relazione verte su qualche decina di pazienti, ci si rende conto che in Italia, migliaia di persone sono sottoposte, quasi sempre a loro insaputa, ad esperimenti intesi ad accertare l’attività terapeutica e tossica di questo o di quel medicinale».
Questa affermazione rispecchia una situazione che è ormai pratica quotidiana nel nostro Paese. Molti, infatti, sono i casi di “cavie umane” denunciati dalla stampa. Nonostante qualsiasi elenco rischi di essere incompleto, è utile ricordare alcuni episodi emblematici verificatisi all’estero ed in Italia. Nel febbraio 1988 a diciotto neonati ricoverati al Policlinico di Napoli cinque medici somministrarono latte in polvere sperimentale. I cinque medici furono processati.
A Torino (ottobre 1985) durante un’interruzione di gravidanza all’ospedale Sant’Anna, alla sedicenne Elisabetta N. viene insufflata anidride carbonica nell’utero per un’isteroscopia sperimentale: la paziente muore. Il 25 marzo 1986 all’ospedale Meyer di Firenze una dottoressa del centro dichiara ad un quotidiano: «Molto spesso i piccoli pazienti con patologie rare sono considerati un caso allettante per le pubblicazioni scientifiche che se ne possono ricavare». Vengono denunciate sperimentazioni della Bayer, con un prodotto contro i funghi, al Bambino Gesù di Roma (settembre 1990). Si ricordano poi ipotesi di “falso ideologico” con medici sotto accusa e trapianti bloccati all’ospedale Brotzu di Cagliari per un espianto di organi da una ragazza di tredici anni.
Si possono ricordare, inoltre, lo “scandalo di Amiens”, in Francia, dove un anestesista somministrò a fini sperimentali protossido d’azoto anziché ossigeno ad un paziente comatoso; le morti di giovani statunitensi affetti da Aids nell’ambito del programma compound Q; l’eclatante fine di Baby Fae che morì a venti giorni dall’intervento di trapianto di cuore di babbuino a causa dei farmaci antirigetto; i test per vaccini di virus vivi effettuati su bambini indiani dal Vaccine Action Programme americano perché vietato negli USA; le 1.500 donne incinte danesi che hanno provato un barbiturico nel 1988, senza sapere in effetti di cosa si trattasse; le irrorazioni di pesticidi, fabbricati in Svizzera, su bambini egiziani; la recentissima vicenda dei bambini rumeni cui è stato iniettato un vaccino contro l’Aids da medici inglesi a Bucarest.
Allo stato attuale, come già detto, la legislazione italiana non contempla nessuna disposizione riguardante le modalità di attuazione della sperimentazione di nuovi farmaci sull’uomo nè tantomeno i limiti giuridici ed etici cui quest’ultima deve soggiacere; manca del tutto la disciplina della sperimentazione chirurgica e diagnostica.
Oltre agli articoli 2 e 32 della Costituzione, che fanno riferimento ai princìpi generali in tema di tutela della salute, si può fare riferimento alla legge 7 agosto 1973, n. 519, in cui viene richiesto un controllo nella fase pre-clinica dello sviluppo di un farmaco da parte dell’Istituto superiore di sanità, che deve accertare l’innocuità e la composizione dei prodotti farmaceutici prima che essi vengano introdotti nella sperimentazione umana. In definitiva, viene sancita la necessità della sperimentazione clinica dei farmaci senza però disciplinare la sperimentazione umana. Nel decreto del ministro della sanità del 28 luglio 1977, si precisa che l’accertamento si identifica nella valutazione, da parte di una specifica commissione ministeriale, del rapporto tra i rischi previsti dall’indagine farmacologica e i possibili benefìci ottenibili in base alle ipotesi terapeutiche e ai dati sperimentali.
La legislazione più recente è rappresentata dal decreto del Ministro della sanità 19 maggio 1989, che recepisce la direttiva 83/570/CEE del Consiglio, del 26 ottobre 1983; apportando emendamenti alle direttive precedenti, essa prevede la procedura «multi-stato» per l’autorizzazione all’immissione in commercio di specialità medicinali. Tale disciplina dovrebbe contemplare tutta una serie di attività cui lo sperimentatore deve ottemperare per poter assicurare l’efficacia terapeutica del farmaco ed impedire danni alla salute psico-fisica di chi si sottopone a sperimentazione. In realtà vi si legge: «nella relazione sulla documentazione clinica l’esperto deve fornire il profilo farmacocinetico delle popolazioni studiate fra le quali sono previsti non solo “volontari sani” ma anche pazienti a rischio elevato per ragioni fisiologiche (bambini, anziani) o per ragioni patologiche come danni renali, insufficienza epatica»; inoltre, vanno messi in evidenza gli aspetti clinicamente significativi come «la diffusione nei liquidi tipo quello cerebro spinale e sinoviale». Si tratterebbe, quindi, di una sperimentazione rischiosa per chi la subisce e che non esclude categorie di soggetti come bambini ed anziani.
Ma è la stessa Organizzazione mondiale della sanità a raccomandare la sperimentazione sull’uomo. Basta leggere quanto scrive il Consiglio delle organizzazioni internazionali delle scienze mediche nelle linee direttive internazionali proposte per l’impiego di soggetti umani nella ricerca biomedica (atti della XV Tavola rotonda, Manila 13-16 settembre 1981): «[…] anche nel caso di medicinali o vaccini destinati a bambini, le ricerche condotte su adulti, volte ad accertarne la sicurezza e l’efficacia, dovrebbero aver raggiunto uno stadio avanzato prima di prendere in considerazione la loro sperimentazione su soggetti più giovani. Non è giusto, però, ritardare senza buone ragioni questi esperimenti quando essi risultino opportuni: i farmaci in commercio sarebbero altrimenti somministrati ai bambini senza fruire delle conoscenze cliniche progettate a questo scopo. In queste circostanze, l’affermazione per cui sia la ricerca terapeutica che quella non terapeutica su bambini sia intrinsecamente immorale, diviene insostenibile».
Sempre a livello internazionale, sono stati elaborati criteri e norme deontologiche a partire dal 1947, quando, in seguito alla scoperta della sperimentazione fatta dai nazisti nei campi di concentramento, venne elaborato il Decalogo di Norimberga che rappresenta la prima produzione deontologica e legislativa riguardante la sperimentazione sull’uomo. In esso si dichiara che la condizione preliminare «assolutamente essenziale» per la sperimentazione umana è il «consenso volontario» del soggetto umano, che quindi dovrà essere informato «della natura, della durata e dello scopo dell’esperimento stesso; del metodo, dei mezzi con i quali sarà condotto; di tutte le complicazioni e dei rischi che si possono aspettare e degli effetti sulla salute che gli possono derivare dal sottoporsi all’esperimento» della cui validità è personalmente responsabile colui che «inizia, dirige e si impegna nella sperimentazione stessa».
I dati riguardanti la sicurezza devono contenere la frequenza e la gravità delle reazioni avverse osservate, intendendosi per eventi avversi il numero dei decessi, gli effetti gravi e le interruzioni dello studio.
Nel 1964 l’Associazione medica mondiale elaborò la dichiarazione di Helsinki, nella quale viene ugualmente previsto il consenso informato del soggetto sottoposto a sperimentazione, come anche la valutazione preliminare dei rischi e benefici. Tuttavia, nella distinzione tra sperimentazione terapeutica e non terapeutica compare una contraddizione in quanto da una parte viene dichiarato che l’interesse della scienza e della società non dovrebbe mai prevalere sul benessere del soggetto, dall’altro si permette la sperimentazione biologica su soggetti volontari sani o su pazienti affetti da malattie diverse da quelle inerenti la sperimentazione.
In molti Paesi europei ed extraeuropei sono state emanate norme sulla sperimentazione umana; a titolo esemplificativo si può fare qualche cenno alla legislazione francese, belga e statunitense.
In Francia la legge del 20 dicembre 1988 prevede precauzioni per le persone oggetto di sperimentazione e norme per gli sperimentatori. Di particolare rilievo sono le condizioni che devono sussistere contemporaneamente per effettuare esperimenti su individui sani: nessun serio pericolo prevedibile per la loro salute; gli esperimenti devono essere utili agli ammalati con caratteristiche biologiche simili a quelle dell’individuo oggetto di sperimentazione, non potendosi realizzare in altro modo tali verifiche. Inoltre lo sperimentatore risponde in prima persona degli eventuali danni subiti dai soggetti sottoposti a sperimentazione, mentre i volontari sani devono percepire un compenso che nel corso dell’anno non può però superare un massimo fissato per legge (circa tre volte la retribuzione minima), e sono inseriti in un apposito elenco.
In Belgio la legge 16 settembre 1985, n. 2366, comprende un allegato sulla sperimentazione clinica, che però non fa cenno all’eventuale esperimento su individui sani.
La normativa statunitense prevede, invece, le quattro fasi della sperimentazione clinica e si rifà alla dichiarazione di Helsinki per quanto riguarda la deontologia dello sperimentatore.
Nella prassi clinica, nella legislazione di alcuni Paesi (ad esempio, gli USA) e nelle proposte di legge presentate in precedenza in Parlamento, la sperimentazione clinica viene suddivisa in quattro fasi:
- fase preliminare: sotto stretto controllo di esperti, il prodotto è somministrato ad un piccolo campione di soggetti sani volontari per un periodo di tempo necessario ad ottenere dati attendibili sulle sue caratteristiche di farmacocinetica, di farmacodinamica e di tollerabilità, nonchè a stabilire per le successive fasi della sperimentazione se vi siano differenze nella risposta in funzione delle vie di somministrazione;
- fase pilota: è volta a stabilire, in via preliminare, ma con dati attendibili, le proprietà di efficacia terapeutica e di eventuali effetti collaterali non desiderati del prodotto. In questa fase, in ambiente clinico qualificato, il prodotto viene saggiato su piccoli gruppi di pazienti consenzienti affetti dalla malattia per la quale il prodotto è stato predisposto;
- fase su larga scala: è condotta su casistiche più numerose di pazienti, preferibilmente in disegno policentrico, al fine di dimostrare con metodologia adeguata le effettive proprietà terapeutiche del prodotto e la sua tossicità, anche in relazione alla sua dose di mantenimento, che va individuata. In questa fase, specie per i prodotti di nuova istituzione, ed in particolare per quelli essenziali, destinati alle forme patologiche più frequenti o più gravi, alcuni di questi studi clinici controllati, oltre a confermare l’efficacia del nuovo prodotto ed i suoi reali vantaggi terapeutici rispetto a prodotti di provata efficacia già in commercio, prolungando i tempi di osservazione delle coorti trattate, devono rilevare gli eventuali effetti collaterali del farmaco, in termini di frequenza, di qualità e di entità;
- fase di farmaco-vigilanza: è finalizzata alla individuazione, alla quantificazione ed alla valutazione dell’importanza degli effetti collaterali indesiderati del prodotto e a una più precisa definizione della sua efficacia e delle sue interazioni con altri farmaci.
Nella prefazione al citato libro di Pappworth Cavie umane. La sperimentazione sull’uomo, G. Maccacaro afferma: «nella patologia umana si osserva una recessione della forma prevalentemente cronico-degenerativa […]; ciò indica il passaggio da una patologia dell’uomo in quanto tale, altamente antropica per genesi e specificità: ovvero nell’uomo sono ormai preponderanti i cosidetti “disordini da civiltà”».
Questa illuminata ed illuminante considerazione si ricollega alle tante considerazioni fatte dagli esponenti dell’antivivisezionismo scientifico (si veda P. Croce, Vivisezione o scienza: una scelta) che portano a concludere che qualunque risultato ottenuto provando farmaci su animali non può essere trasferito all’uomo, anche perchè la sua patologia odierna non è rintracciabile in alcuna altra specie animale.
Del resto, qualunque dato ottenuto sull’animale, può risultare identico, simile o completamente diverso sull’uomo e, anche se a posteriori verifichiamo una certa percentuale di coincidenza dei dati, a priori non sapremo se la sostanza sarà innocua, tossica o mortale per l’uomo. È dunque l’uomo, su cui è obbligatorio oggi provare il farmaco, la vera “cavia” e la prova sull’animale è solo l’alibi per rendere accettabile una sperimentazione altrimenti eticamente illecita.
Di ciò sono ben consci i vivisettori che non esitano a passare dalla vivisezione sull’animale a quella sull’uomo. E non occorre andare con la memoria ai campi di sterminio nazisti, basta leggere i casi riportati sui già citati libri Vivisezione o scienza: una scelta o Cavie umane. La sperimentazione sull’uomo.
Come si è rilevato in precedenza, tutti i ricercatori e tutte le norme nazionali ed internazionali tendono ad affermare che senza diretta sperimentazione sull’uomo (e se necessario sui bambini, per lo più del terzo mondo!) i farmaci sarebbero somministrati senza adeguate conoscenze cliniche nonostante la precedente sperimentazione sull’animale.
Per queste ragioni è opportuno anzitutto discutere sull’enorme quantità di farmaci in commercio e quindi valutare se e come possa essere fatta una corretta sperimentazione sull’uomo, eticamente accettabile, senza l’inganno (o l’alibi) della sperimentazione animale.
In linea con tali considerazioni, questa proposta di legge prevede una sperimentazione clinica sull’uomo soggetta a limiti tecnici e morali inderogabili.
Come si evince dall’articolo 1, la sperimentazione clinica deve essere condotta, nel rispetto dell’integrità psicofisica del paziente, da personale specializzato previa autorizzazione del Ministro della sanità, che assume compiti di vigilanza.
La sperimentazione clinica diventa lecita quando ha lo scopo di giovare al paziente. Quindi viene autorizzata soltanto qualora sia fatta su persona portatrice della malattia in esame e quando la terapia sperimentale venga applicata soltanto se non esistono allo stato attuale altre terapie ritenute più o ugualmente idonee a curare il paziente.
Ulteriore garanzia di validità della terapia sperimentale, che non deve rappresentare un rischio per il paziente, viene dalla richiesta di una sperimentazione pre-clinica basata su metodologie scientificamente attendibili e che quindi siano in grado di produrre dati oggettivi sui possibili effetti, tossici e non, sull’uomo, del farmaco o della terapia in questione.
In tal senso, come è stato precedentemente sottolineato, i dati ottenuti sugli animali non sono in grado di dare alcuna indicazione riguardo ai possibili effetti sull’uomo (articolo 2).
Inoltre, condizione assolutamente essenziale per la sperimentazione clinica sull’uomo è il consenso volontario del soggetto che dovrà essere informato, non solo preliminarmente, ma anche durante tutto il periodo della sperimentazione, delle complicazioni, dei rischi, degli effetti e dei benefìci per la salute.
Il consenso è revocabile in ogni momento e per qualsiasi motivo (articoli 3 e 4).
Gli articoli 5 e 6 disciplinano questioni relative alle situazioni in atto al momento dell’entrata in vigore delle nuove disposizioni, prevedendo determinate deroghe.
Infine, l’articolo 7 prevede sanzioni per chiunque svolga sperimentazione clinica senza specifica autorizzazione e l’articolo 8 dispone l’emanazione delle necessarie disposizioni di attuazione.
PROPOSTA DI LEGGE
Articolo 1
- La sperimentazione clinica sugli esseri umani al fine della conoscenza degli effetti di nuovi farmaci, nonchè di nuove pratiche cliniche o biomediche è soggetta ad apposita autorizzazione, secondo quanto stabilito dalla presente legge. Essa non può essere comunque svolta in violazione dei diritti umani e della personalità.
- La sperimentazione clinica è condotta in strutture ospedaliere da personale medico avente specifica esperienza, sotto la personale responsabilità dello sperimentatore e la vigilanza del Ministero della sanità, che è altresì competente per il rilascio dell’autorizzazione di cui al comma 1.
Articolo 2
- La sperimentazione clinica su esseri umani è autorizzata qualora:
- si fondi sullo stato più aggiornato delle conoscenze scientifiche e su una sperimentazione pre-clinica sufficiente, dalla quale devono essere esclusi i dati farmaco-tossicologici ottenuti da sperimentazioni effettuate su animali;
- non sia prevedibile un rischio grave per il soggetto sottoposto a sperimentazione clinica;
- vi sia il consenso preventivo, espresso in forma scritta, da parte del soggetto sottoposto la sperimentazione clinica;
- la terapia o il farmaco sperimentati siano ritenuti idonei ad agire sulla patologia da cui è affetta la persona e non esistano, allo stato delle conoscenze scientifiche, altre terapie o farmaci utilizzabili allo scopo.
Articolo 3
- Il soggetto da sottoporre a sperimentazione clinica, ai fini dell’acquisizione del consenso di cui all’articolo 2, comma 1, lettera c), deve essere preliminarmente ed esaustivamente informato della natura e della durata della sperimentazione, delle aspettative terapeutiche della stessa, di ogni rischio diretto ed indiretto ad essa connesso, delle proprietà delle sostanze somministrate, nonché dei medici responsabili della sperimentazione stessa.
- Il consenso prestato in forma scritta, di cui all’articolo 2, comma 1, lettera c), deve attestare anche l’adempimento dell’obbligo di informazione di cui al comma 1 del presente articolo. Il consenso è revocabile in ogni momento da chi lo ha espresso o, in caso di incapacità sopravvenuta, dai soggetti di cui all’articolo 4.
- Una volta ottenuto il consenso, permane l’obbligo per lo sperimentatore di fornire al soggetto sottoposto a sperimentazione clinica o ai soggetti di cui all’articolo 4 ogni ulteriore informazione sul procedere della sperimentazione e sull’insorgere di rischi ad essa connessi o collegabili.
Articolo 4
- In caso di temporanea incapacità di intendere e di volere del soggetto direttamente interessato, il consenso alla sperimentazione clinica è prestato nelle forme prescritte da un congiunto, dal tutore o, in assenza di questi, dal giudice tutelare.
- Ai fini di cui al comma 1 si applicano le norme procedurali di cui al titolo II del libro IV del codice di procedura civile.
Articolo 5
- Le autorizzazioni alle sperimentazioni cliniche sull’uomo che siano già in corso sono revocate di diritto e cessa ogni loro efficacia dal quindicesimo giorno successivo alla data di entrata in vigore della presente legge.
Articolo 6
- Nei casi in cui la sospensione delle attività di sperimentazione clinica comporti comprovati rischi per i soggetti che si sottopongono ad essa o gravissimo ed irreparabile danno per i risultati delle ricerche già raggiunti, le sperimentazioni in atto sono autorizzate, anche in deroga a quanto previsto dalla presente legge, per un periodo non superiore a sei mesi, previa dichiarazione notificata dal responsabile della sperimentazione al Ministro della sanità, entro quindici giorni dalla data di entrata in vigore della presente legge.
- La dichiarazione di cui al comma 1 deve contenere l’attestazione dell’esistenza di una delle circostanze di cui al medesimo comma 1, la sintesi delle ragioni che giustifichino la prosecuzione della sperimentazione, nonché l’indicazione del termine entro il quale la sperimentazione clinica sarà conclusa o potrà essere interrotta senza pregiudizi per la salute del soggetto o per i risultati scientifici da conseguire.
- Il Ministro della sanità accerta tempestivamente la veridicità delle dichiarazioni di cui al comma 2 e, qualora riscontri falsità nelle dichiarazioni o inesistenza di cause giustificanti, ordina l’immediata interruzione della sperimentazione clinica.
Articolo 7
- Chiunque svolga sperimentazione clinica sull’uomo non essendo munito della necessaria autorizzazione è punito con l’ammenda da lire 1 milione a lire 10 milioni e con l’arresto da sei mesi a due anni.
- Se dal fatto di cui al comma 1 derivano lesioni alla persona, si applicano le pene di cui all’articolo 590 del codice penale, aumentate della metà, ed il reato è perseguibile d’ufficio.
Articolo 8
- Con decreto del Ministro della sanità, da emanare entro tre mesi dalla data di entrata in vigore della presente legge, sono determinate le modalità per il rilascio delle autorizzazioni alla sperimentazione clinica sull’uomo.
- Il Ministro della sanità, con propri decreti, entro tre mesi dalla data di entrata in vigore della presente legge, emana le necessarie disposizioni di attuazione.