Con questo libro Marina Caffiero, docente di storia moderna presso l’Università “La Sapienza” di Roma, ha dato un importante contributo allo studio dei rapporti tra le autorità ecclesiastiche e la comunità ebraica romana. Il tema su cui ha indagato l’autrice è quello dei battesimi forzati, e il periodo preso in esame va dal XVI al XIX secolo, dagli albori della Controriforma fin quasi all’Unità d’Italia. La massa documentale proposta da Caffiero è veramente imponente: ciononostante la lettura non è mai noiosa, anche perché le storie narrate sono talvolta così pietose da catturare inevitabilmente l’attenzione.
La “trama” ha peraltro un’ambientazione ricorrente: la casa dei catecumeni, mantenuta a spese degli stessi ebrei, dove venivano portati (spesso con la forza) i potenziali convertiti per essere istruiti nella dottrina cattolica, e da cui ben pochi fortunati ebbero la possibilità di far ritorno al Ghetto. I prelati che la gestirono ci appaiono spesso sotto una luce sinistra: valga per tutti il “famigerato” don Crisante Cozzi, esplicito sostenitore della tesi che «i mezzi impropri… operavano portenti». Un’affermazione tanto più crudele, in quanto i “mezzi propri” appaiono già di per sé aberranti.
Legittimata dal Sant’Uffizio, la pratica conversionistica si appoggiava infatti sul favor fidei: le leggi potevano tranquillamente essere scavalcate, se il battesimo avesse costituito un vantaggio per la fede. Questo già perverso principio sarebbe stato poi esteso all’interesse stesso del battezzato, che ne avrebbe ovviamente tratto la salvezza eterna: è chiaro che, su queste basi, è già un successo se l’intera comunità ebraica non è stata convertita al cattolicesimo nella sua interezza.
Danno una buona dimostrazione di questo modo di (s)ragionare le lettere di Benedetto XIV, un pontefice che, per via dei suoi tentativi di modernizzare l’organizzazione ecclesiastica, fu quasi trasformato in un libero pensatore ante litteram dalla storiografia anticlericale ottocentesca, non nuova alla creazione di “autentiche” leggende particolarmente dure a morire. Ebbene, Benedetto XIV sostenne, tra l’altro, che «per favor della Fede la donna può dirsi diventar uomo, e la madre diventata padre». Non solo: il pontefice motivò le proprie tesi ricorrendo frequentemente all’analogia tra la condizione degli ebrei e quella degli schiavi, avallando altresì la verità storica dell’assassinio rituale di Simonino da Trento (con la bizzarra motivazione che l’elemento probatorio del martirio era la sua canonizzazione in quanto martire).
È evidente che, con tesi di questo tipo, l’escalation delle vessazioni subìte dagli ebrei non poteva che avere termine con un intervento esterno. Se all’inizio ci si limitava a sottrarre bimbi battezzati clandestinamente da cattolici (tanto, per la dottrina, il battesimo impartito illecitamente è comunque valido), in seguito la casistica sarebbe divenuta progressivamente più insensata: bimbi di tre anni a cui viene attribuita l’età della ragione; neofiti che offrono alla Chiesa la ragazza ebrea di cui sono innamorati; sorelle offerte dai fratelli; nonne che offrono nipoti (viva la madre ebrea); bimbi offerti dalla prozia o dal cugino del padre; e via via, fino all’offerta del feto e nonostante la contrarietà della madre. Particolarmente toccante, tra le tante vicende umane che si dipanano nel testo, quella di Ercole ed Ester de Servis, i cui figli, non appena concepiti, erano già offerti alla fede cattolica dal nonno paterno: persi in questo modo cinque figli e in attesa del sesto, fuggirono da Roma inseguiti dalla polizia papalina. Non sapremo mai se ce la fecero.
L’attenzione quasi maniacale nei confronti degli infanti è ovviamente dovuta alle maggiori possibilità di manipolazione rispetto agli adulti: benché mai affermata esplicitamente dalle autorità cattoliche, la tesi di Joseph De Maistre («dateceli dai cinque ai dieci anni e saranno nostri per sempre») è sempre stata largamente diffusa ancor prima di essere esplicitamente formulata. Una prassi plurisecolare è lì a dimostrarlo.
Questo prezioso lavoro di ricerca costituisce dunque un colpo quasi definitivo alla tesi della benevolenza delle autorità ecclesiastiche nei confronti degli ebrei. Non solo: emerge con chiarezza che la politica di conversione e la prassi delle sottrazioni divennero sempre più spregiudicate in piena età dell’Illuminismo, e avrebbero avuto termine solo con la breccia di Porta Pia. Con buona pace di tutti i nostalgici revisionisti.
Raffaele Carcano,
luglio 2006