La figura della filosofa neo-platonica Ipazia è recentemente tornata in auge, grazie anche al film Agora del regista Alejandro Amenàbar e ad alcune pubblicazioni. Per comprendere meglio il rinnovato – e anche tumultuoso – interesse per Ipazia è utile percorrere le tappe della riscoperta della sua figura nel corso dei secoli. Questo testo – curato da Federica Turriziani Colonna, giovane redattrice de “L’Ateo”, e tradotto per la prima volta in italiano – rappresenta un punto importantissimo per la costruzione del “mito” di Ipazia nell’epoca moderna. Scritto nel 1720 dal pensatore irlandese John Toland, questo brevissimo ma sentito pamphlet insiste in maniera appassionata e seminale su due questioni fondamentali, che caratterizzeranno proprio tutto il successivo dibattito sulla figura di Ipazia: la filosofa è vista come martire della libertà di pensiero contro il dogmatismo religioso e come fulgido esempio dell’emancipazione femminile (tema caro all’autore e affrontato in maniera innovativa per il tempo nelle Letters to Serena). Donna descritta dagli storici come dotata di un potente, irresistibile ma casto fascino, di una cultura e di una intelligenza straordinarie, tali da renderla una delle menti più fulgide del suo tempo (non a caso è a capo della Scuola di Alessandria, uno dei centri culturali più importanti del mondo), e tenuta in gran conto dalle autorità civili in una società che discrimina le donne, Ipazia finirà suo malgrado vittima della furia distruttrice, “purificatrice” e irrazionale di un gruppo di monaci, proprio in un momento storico che vede l’imposizione del cristianesimo nell’impero romano come unica religione di stato, con conseguente chiusura e regressione a livello culturale.
Toland punta decisamente il dito contro san Cirillo, vescovo di Alessandria dichiarato «immeritatamente santo», definito come un prevaricatore orgoglioso e invidioso dell’autorevolezza di Ipazia e di fatto mandante morale dell’efferato assassinio della filosofa. San Cirillo diventa il simbolo della prevaricazione e dell’ingerenza ecclesiastica in politica, coi suoi tentativi di imporsi su Oreste, governatore di Alessandria.
La citazione diretta delle fonti storiche disponibili (non a caso, soprattutto ecclesiastiche) è accompagnata da una prosa appassionata, a cui non sono estranee le suggestioni della temperie culturale in cui vive l’autore: quella dell’illuminismo, del deismo e del radicalismo whig. In particolare, John Toland non è un libertino o un ateo, ma fautore di una religione “naturale”, che rigetta il dogmatismo, si muove all’insegna di una interpretazione razionale delle Scritture e si rifà al pensiero di Giordano Bruno (di cui non a caso tradurrà anche alcune opere in inglese). Il filosofo attacca con veemenza il fondamentalismo religioso ottuso veicolato dal clero e dal formalismo dottrinale, ma difende quella che a suo dire è la “vera” essenza della religione cristiana originaria. Infatti secondo l’autore già al tempo di Ipazia «rimase ben poco del cristianesimo autentico» e «non erano cristiani quelli che uccisero Ipazia», ma «assomigliano a cristiani» in quanto avrebbero «sostituito tradizioni precarie, finzioni scolastiche e un dominio usurpato» agli insegnamenti di Gesù. La polemica anticlericale si conclude con una serie di considerazioni sul titolo di “santo”, che «non di rado è stato conferito in modo infelice», tanto che l’autore sostiene che «la maggior parte dei santi dopo Costantino, e soprattutto quando la canonizzazione divenne di moda, corrispondono a tre tipologie di persone». Primi, coloro che hanno promosso la grandeur della Chiesa come istituzione, «per magnificare l’autorità spirituale con l’esito del degrado e dell’abbrutimento» dei loro contemporanei. Altri, specie ricchi e potenti, «tuttavia viziosi e tirannici, che donarono ampi possedimenti e che lasciarono il potere temporale nella mani della Chiesa» o che ne difesero i soprusi. Alla terza categoria appartengono i «visionari estremamente viscidi» che «si vantano dei propri entusiasmi deliranti e delle proprie estasi» o che «attraverso mortificazioni formali, falsamente reputate atti di devozione» incutono rispetto nel popolino e «vengono ricompensati con questo premio immaginario da coloro che disprezzano la loro austerità».
Una critica a tutto campo, rivolta non solo a chi esalta il potere della Chiesa o chi ne sostiene le ingerenze, ma anche agli “entusiasti” e i fondamentalisti, che per così dire dal basso incoraggiano l’irrazionalismo e per questo diventano di fatto funzionali ai primi.
Valentino Salvatore
marzo 2010