Non un altro libro sull’etica senza Dio, ma nemmeno un altro libro sull’evoluzionismo. Quello di Steve Stewart-Williams, che insegna presso la Swansea University, è invece un libro sull’impatto che l’evoluzionismo ha avuto, ha e dovrebbe avere sulle grandi questioni filosofiche: l’esistenza di Dio, il posto degli uomini nella natura, le piccole e grandi scelte morali. Il tutto condito con un approccio dichiaratamente ateo, dalla prima all’ultima pagina.
Curato da Maurizio Mori, che da parte sua rileva «la definitiva conclusione dei tempi in cui l’ateo era persona da guardare con diffidenza e sospetto», il volume si basa sulla constatazione che, «dopo Darwin, dio poggia su un terreno meno solido». Oggi, solo «una visione del mondo ateistica e darwiniana offre una spiegazione pienamente convincente dell’esistenza di sofferenze gratuite nel mondo, un chiarimento che richiede molte meno contorsioni intellettuali dell’alternativa teistica». Né le ‘spiegazioni’ si fermano qui. Le prove ‘classiche’ dell’esistenza di Dio, già messe a dura prova da Kant e ulteriormente incrinate dall’evoluzionismo, in seguito alle scoperte dell’astrofisica sono state praticamente ridotte a brandelli. Da un punto di vista filosofico il teismo è finito ormai in un angolo, e l’unica posizione alternativa all’incredulità che può avere ancora un barlume di attendibilità è quella deista. E tuttavia, sostiene Stewart-Williams, «il deista dovrebbe porsi questa domanda: se l’universo, con o senza dio, risulterebbe lo stesso, che ragione abbiamo per avere fede?»
Gli effetti del darwinismo non si fermano qui. L’evoluzionismo ha messo in discussione anche due dualismi, quello mente-materia e quello uomini-animali. Il senso della vita senza Dio è un libro che piacerà in particolare agli animalisti, perché le implicazioni della caduta dell’uomo da immagine di Dio a scimmia nuda rappresentano un punto su cui l’autore si sofferma parecchio, in particolare sulla negazione dell’idea «di un cammino precostituito di progresso evolutivo» che veda come compimento il sapiens dotato di ragione e linguaggio. Punti di vista terrestri, commenterebbe Stewart-Williams: chissà se gli uccelli ridono di noi, e della nostra incapacità di volare.
Il senso della vita senza dio è che non serve Dio per dare senso alla vita. Di morali ce ne sono tante, e sta a noi costruircene una, possibilmente rinunciando a quelle dottrine etiche che «ritengono sia più importante eliminare il piacere di certi gruppi di persone piuttosto che il dolore di altri». Stewart-Williams fa propria una concezione del mondo basata su una parola fuori moda, ‘nichilismo’ (peraltro anche il bersaglio preferito di un altro fuori moda quale Benedetto XVI), ma che usa per tradurre una convinzione, l’idea – la constatazione? - che «tutte le credenze morali sono false, perché sono tutte, indistintamente, senza fondamento». È per questo che dobbiamo rivolgerci a norme, possibilmente razionali. che tutti noi siamo chiamati a rispettare: «per la stessa ragione per cui aderiamo alle regole degli scacchi ed esigiamo che gli altri le rispettino, sottostiamo alle regole morali ed esigiamo che gli altri facciano lo stesso; non perché esse riflettano verità fuori dal tempo e situate nella mente di dio e in qualche platonico mondo delle idee, ma perché rispettarle ha effetti desiderabili». Una migliore qualità della vita. Nel corso dell’unica vita che viviamo.
Nella prefazione all’edizione italiana, l’autore plaude anche «agli sforzi degli atei italiani», attendendo «il giorno in cui il mondo, risvegliandosi, riconoscerà le loro conquiste». Un libro a suo modo militante, ma anche un esempio di quel percorso di riflessione, elaborazione ed esposizione che troppe volte manca a tanti volumi in libreria. Sulla scia di Dan Dennet, le questioni che affronta sono stimolanti e, anche se talvolta si va sul difficile e ci si attarda in polemiche, la scrittura vivace che lo contraddistingue non ne rende mai noiosa la lettura.
Raffaele Carcano
Novembre 2011