di Jay Harman
Traduzione dall’inglese di Enrica Rota
In Inghilterra e Galles oltre un terzo delle scuole statali è costituito da scuole “confessionali”. Si tratta di 7.000 scuole, frequentate da quasi due milioni di allievi e questi numeri stanno aumentando.
Prima di esporre i motivi per cui riteniamo che questa situazione costituisca un problema vogliamo chiarire che cosa intendiamo con il termine “confessionale” attribuito ad una scuola. A grandi linee ciò che caratterizza una scuola “confessionale” è la libertà di cui gode di poter discriminare su basi religiose. Può discriminare su basi religiose quando decide quali allievi accettare, può discriminare su basi religiose quando decide quali insegnanti assumere, licenziare o promuovere e può discriminare su basi religiose nei suoi insegnamenti facendo proselitismo nei confronti degli allievi ed impartendo loro un’educazione religiosa distorta e faziosa.
Sulla base di questa definizione non è difficile capire perché la maggioranza delle persone sia contraria alle scuole “confessionali”, specialmente a quelle a finanziamento pubblico. Si tratta, dopo tutto, di scuole finanziate dallo Stato che per loro natura escludono la grande maggioranza delle famiglie che contribuiscono al loro mantenimento. Permettere alle scuole “confessionali” di fare discriminazioni come descritto sopra non soltanto è una cosa assolutamente ingiusta, ma ha anche causato enormi danni a livello sociale.
Nella nostra società sempre più diversificata non è mai stato così importante assicurarsi che le persone di origini differenti e differenti convinzioni si comprendano e rispettino a vicenda. In altre parole, l’integrazione è un elemento cruciale se si vuole che la diversità sia un fattore di forza e non invece una fonte di debolezza e divisione. E qual è il luogo migliore per favorire l’integrazione se non la scuola, dove i bambini non notano le differenze e le etichette che sono fattori di divisione all’interno della società?
Sfortunatamente il nostro sistema educativo è caratterizzato più dalla segregazione che dall’integrazione e la causa principale di questo è la presenza delle scuole “confessionali”. Uno studio pubblicato da tre istituti no-profit indipendenti che operano nel campo dell’istruzione e dell’integrazione ha rilevato che più di un quarto delle scuole primarie inglesi e quasi la metà di quelle secondarie sono segreganti sulla base di fattori etnici, e le scuole “confessionali” sono notevolmente più segreganti dal punto di vista etnico rispetto a quelle non confessionali. Tutto questo non è affatto nuovo. Nel 2001, in seguito ai disordini a sfondo razziale che si erano verificati nel nord dell’Inghilterra, uno studio realizzato per incarico governativo rilevò come la violenza non fosse esplosa nelle aree diversificate dove gli allievi frequentavano le scuole insieme a compagni provenienti da differenti religioni e culture ed imparavano a conoscere le loro convinzioni. D’altro canto, nelle zone dove invece la violenza era esplosa, le scuole mettevano in atto politiche discriminatorie nelle quali le affiliazioni religiose proteggono le divisioni etniche e culturali.
È anche importante ricordare che questi problemi non riguardano esclusivamente una particolare religione o uno specifico tipo di scuola “confessionale”. Le scuole musulmane hanno le loro problematiche, naturalmente, ma considerato il fatto che in Inghilterra ci sono meno di 30 scuole musulmane finanziate dallo Stato su un totale di più di 20.000 scuole statali, esse ricevono molta più attenzione mediatica di quanto forse si meritino. È vero che ci sono casi di scuole musulmane che boicottano l’uguaglianza di genere, manifestano atteggiamenti omofobi e cercano di indottrinare ed isolare i bambini, ma tutte queste cose si verificano anche in molte scuole cristiane ed ebraiche.
Per la verità le scuole “confessionali” sono problematiche in qualsiasi forma si presentino. Anche quelle che sono considerate “moderate” — quelle tranquille scuole rurali della Chiesa Anglicana, per esempio — non possono sottrarsi all’accusa di (a) etichettare i bambini per mezzo di fedi che essi sono troppo piccoli per poter professare autonomamente con sicurezza, e (b) proteggere dalle critiche le scuole “confessionali” più estreme e fondamentaliste presentandosi falsamente come rappresentative delle scuole “confessionali” tout court.
E dunque che cosa sta facendo la BHA per affrontare queste questioni? Probabilmente il nostro ruolo più importante è semplicemente quello di accrescere la consapevolezza del fatto che le scuole “confessionali” costituiscono un problema. Sono così tanti anni che le scuole “confessionali” esistono in questo Paese, e sono considerate da molti come una parte così importante del sistema educativo che saremo già a metà strada se riusciremo a fare in modo che la gente si renda conto dei danni che procurano. Naturalmente questo comporta mantenere una forte presenza mediatica, fare ricerche che mettano in evidenza queste problematiche e comunicare al pubblico i risultati delle ricerche e i nostri messaggi in maniera chiara ed efficace. Una delle nostre recenti iniziative a questo fine utilizza il sito web/blog di denuncia Faith Schoolers Anonymous [Studenti Religiosi Anonimi], che permette a chiunque abbia avuto problemi in una scuola “confessionale” di condividere la sua esperienza. Dal momento della sua apertura l’anno scorso abbiamo già contribuito a smascherare una scuola privata cristiana coinvolta nell’esorcismo di allievi gay, una scuola statale ebraica che dava la priorità ai futuri possibili allievi sulla base della vita sessuale dei loro genitori e una scuola musulmana che dissuadeva le ragazze dal cercare quasi ogni genere di lavoro. Quando cerchiamo di influenzare il Governo e il Parlamento — altra parte fondamentale del nostro lavoro — questi sono esempi cruciali a sostegno della nostra causa.
E quale concezione alternativa dell’istruzione propone la BHA? Noi crediamo che i nostri figli meritino un sistema educativo migliore di quello descritto qui sopra — scuole che siano inclusive di tutti, a prescindere dalle concezioni religiose o non religiose di ognuno e che permettano ad allievi di una ampia gamma di differenti origini (religiose o non religiose) di imparare insieme, l’uno dall’altro e reciprocamente riguardo l’un l’altro in una maniera equilibrata, aperta ed integrata. Come membri del Religious Education Council for England and Wales [Consiglio per l’educazione religiosa di Inghilterra e Galles] sosteniamo l’importanza dell’educazione religiosa non come strumento di indottrinamento, ma come mezzo per promuovere la comprensione reciproca. E attraverso il nostro sito web Understanding Humanism [Capire l’umanismo] offriamo aiuti gratuiti alle scuole che cercano di rendere l’educazione religiosa più inclusiva di tutti gli allievi e più conforme alla loro curiosità naturale e alla loro libertà di pensiero.
Il nostro sistema educativo è ancora ben lontano da questa concezione laica e negli ultimi anni la situazione potrebbe anche essere peggiorata. Ma in seguito all’intensificarsi delle nostre campagne, e come conseguenza del fatto che la popolazione diventa sempre meno religiosa, non può se non avvicinarsi sempre più la fine del periodo dell’influenza religiosa nelle nostre scuole e sulle menti dei nostri figli.
Jay Harman è il responsabile della campagna sulle scuole confessionali e l’educazione della British Humanist Association. Lavora su tutte le problematiche legate all’educazione, dalle iscrizioni alle discriminazioni sul posto di lavoro, all’educazione religiosa, agli atti di culto collettivi e al creazionismo nelle scuole. Jay fa parte del gruppo direttivo della Accord Coalition per l’educazione inclusiva della campagna “Iscrizioni eque”, e rappresenta la BHA nel Consiglio per l’Educazione Religiosa per l’Inghilterra e il Galles.
Da L’ATEO 4/2017