A proposito dei rapporti tra ateismo e grado di istruzione, di Maria Turchetto
Vorrei fare alcune considerazioni a partire dall’articolo Ateismo tra gli scienziati italiani di Riccardo Baschetti. Baschetti riporta una statistica secondo cui in Italia la percentuale degli scienziati credenti è del 36,1%: dato, devo dire, confortante. Giustamente egli ne deduce che «l’ateismo è tanto più diffuso quanto maggiore è la conoscenza scientifica, il che ovviamente equivale a dire, in modo meno eufemistico ma più efficace, che la fede è tanto più diffusa quanto maggiore è l’ignoranza». Trovo invece sconfortante il dato relativo ai «semplici laureati», tra i quali la percentuale dei credenti sale al 75,6%. Certo, possiamo continuare ugualmente a sostenere che «la fede è direttamente proporzionale all’ignoranza», ma accidenti: una cultura universitaria non basta? Bisogna diventare professori per emanciparsi del tutto dalle superstizioni?
A mio parere sia i dati, sia l’argomentazione richiedono una correzione.
Prendo lo spunto - e con esso l’occasione di segnalare un buon libro laico - da Lettura laica della Bibbia (Editori Riuniti, Roma 1996), testo che raccoglie lo scambio epistolare tra Mario Alighiero Manacorda, che è stato professore di storia della pedagogia nelle Università di Firenze e Roma, e la giapponese Yukiko, che gli chiede di «svelare il mistero dell’anima occidentale», mistero più disgustoso che affascinante agli occhi di un orientale. Questa è infatti la principale perplessità di Yukiko, per parte sua atea (come il suo interlocutore), ma che «capisce meglio il buddismo che il cristianesimo»: «Voi, presi in blocco, mi sembrate insieme scientifici e magici, logici e mistici, scettici e superstiziosi. Come si può essere le due cose insieme? Avete elaborato tutte le scienze moderne, ma avete in testa anche strani miti antichi. Come si possono pensare le due cose insieme? È questo che io non riesco a capire della vostra anima».
Mettendo il dito su questa doppiezza, Yukiko coglie pienamente nel segno. E sono convinta che questa doppiezza si radichi in qualcosa di più profondo dell’ipocrisia (quella per cui tanti agnostici si sposano in chiesa e fanno benedire i loro morti per amor del quieto vivere) o della superstizione (quella per cui tanti atei si fanno il segno della croce per scaramanzia). Il fatto è che l’istruzione - il percorso che dovrebbe allontanarci dall’ignoranza, dunque dalla fede - non è affatto coerente. Nell’infanzia riceviamo comunque un’educazione magico-religiosa, e solo più tardi elementi più o meno cospicui e consistenti di un’educazione razionalista. Raramente queste due formazioni entrano in conflitto, benché siano in palese contraddizione. Per lo più convivono, perché nessuna delle due viene sottoposta al vaglio di una consapevolezza critica. La formazione razionalista prevale nei comportamenti quotidiani. Nella vita lavorativa, permeata, anche nei campi apparentemente più lontani dalla pratica scientifica strettamente intesa, da tecniche che dalla scienza razionalista derivano. Ma anche nel tempo libero: la grande maggioranza della popolazione mangia, beve, fa l’amore e si diverte in modo del tutto laico, e non è un caso che i preti accusino la civiltà occidentale nel suo complesso di «materialismo». La formazione magico-religiosa, resta in secondo piano, come un vecchio sostrato infantile, sepolto ma sedimentato, apparentemente innocuo ma pronto a risaltare fuori in caso di eventi traumatici: di fronte alla morte, alla malattia, alla paura. L’emotività travolge la ragione non è un caos primordiale o un istinto muto, né si esprime in un gesto o un’invocazione qualsiasi: recupera le forme, le parole i simboli dei vecchi miti sedimentati nell’infanzia. Ecco perché i preti ci corrono tanto dietro quando siamo bambini: sono lì per impiantare al tempo giusto i sedimenti «giusti». Ecco perché da adulti ci lasciano abbastanza in pace, ma si ripresentano inesorabilmente al nostro letto di malati o moribondi: sono lì a controllare che il meccanismo scatti correttamente, che la paura ritrovi i gesti e i lamenti prescritti e con essi il sistema - incoerente ma organizzato - delle credenze infantili.
Solo situazioni particolari portano a un aperto conflitto tra la formazione magico-religiosa e quella razionalista, e alla conseguente eliminazione di uno dei due sistemi. Forti conflitti esterni, che obbligano a scegliere e a «fare i conti». Personalità particolarmente strutturate in senso logico, che mal tollerano incoerenze e contraddizioni. È evidente che personalità di questo tipo si formano soprattutto negli ambienti dell’attività scientifica «alta», non meramente tecnica, che richiede riflessione teorica e capacità critica: in questo senso, penso che non sia tanto il cumulo di nozioni scientifiche ad alzare la percentuale degli atei tra gli scienziati, quanto l’addestramento al rigore logico e all’esercizio della critica.
Tutte queste considerazioni per poche conclusioni.
In primo luogo, se si conteggiassero i veri credenti, catalogando come «agnostici» coloro che vivono di fatto una vita pienamente laica, materialista e per l’essenziale razionalista (mi sembra lecito considerare le «tracce» di miti infantili come un residuo trascurabile), la loro percentuale calerebbe drasticamente in tutta la popolazione anche solo mediamente istruita. Un computo del genere mi sembra corretto: voglio dire, conteggiare tra i cattolici coloro che si fanno il segno della croce prima di tuffarsi in acqua (con la stessa devozione con cui altri si toccherebbero le palle) è un po’ come misurare la pressione a gente che ha appena preso uno spavento per poi concludere che in Italia c’è una percentuale spaventosa di ipertesi. In questo senso, credo che molte statistiche ufficiali potrebbero essere messe legittimamente in discussione per i discutibili metodi di «rilevazione della credenza».
In secondo luogo, l’obbiettivo dell’educazione laica è veramente importante: sottrarre la prima infanzia all’imprinting confessionale è un’irrinunciabile battaglia di civiltà, e i cedimenti della sinistra di governo su questo terreno non saranno mai abbastanza biasimati. Condivido pienamente i toni forti di Carmelo Viola che, nell’ultimo numero de L’Ateo, titola «la catechesi infantile è un crimine contro la civiltà». I bambini riceveranno comunque, da mille fonti, input di tipo magico-religioso, contraddittorî rispetto al razionalismo tecnico-scientifico che la società richiederà poi loro nella vita adulta e nell’attività lavorativa (non contraddittorî, ahimè, rispetto al potere che nella società si esercita): ma non è tollerabile che la fonte principale sia la scuola pubblica, e che la scuola pubblica fornisca i miti DOC del Vaticano con il sigillo di garanzia dell’istruzione ufficiale. Va da sé che è ancor meno tollerabile è che la scuola pubblica ceda addirittura spazio e risorse a scuole private confessionali.
In terzo luogo, l’educazione scientifica che viene impartita dopo la prima infanzia dovrebbe essere più ampia e rigorosa, e soprattutto orientata allo sviluppo di capacità logiche e critiche più che all’apprendimento di nozioni tecniche. È un modo migliore per insegnare la scienza (c’è una bellissima pagina nell’Introduzione alla matematica di Whitehead sulla negatività dell’insegnamento tecnico, comunemente impartito, della matematica rispetto al suo insegnamento logico). Soprattutto, è l’unica via per creare un conflitto tra miti e ragione, per stimolare il vaglio cosciente delle proprie credenze, per far nascere l’esigenza di una coerenza interiore ed esteriore. Purtroppo i nostri ordinamenti scolastici non sono i più adatti a fornire una buona istruzione scientifica di base. Su di essi pesa ancora l’idealismo di Croce e Gentile; pesa l’anatema crociano secondo cui le «scienze della natura» producono «pseudoconcetti», aride tecniche appunto, mentre l’alto sentire sta tutto dalla parte delle «scienze dello spirito»; pesa la riforma gentiliana che ha annesso la filosofia alle «belle lettere» e che fa dei nostri «filosofi» una sorta di preti sapienti il cui sport preferito è coltivare la diffidenza verso il razionalismo scientifico. Assai bene si è espresso, in questo senso il filosofo francese Louis Althusser: «la nostra storia è profondamente segnata […] da tutta una tradizione filosofica che aspetta al varco le difficoltà, le contraddizioni e le “crisi” interne alle scienze, come tante défaillance che essa volge, ossia sfrutta, “ad majorem Dei gloriam”, proprio come certi religiosi che attendono pazientemente l’approssimarsi della morte per gettarsi sul moribondo non credente ed amministrargli, durante l’agonia, gli ultimi sacramenti».