di Daniela Di Pasquale
Cosa si nasconde dietro il proselitismo religioso? Qual è la vera faccia della evangelizzazione missionaria? Chi ha mai osato mettere in discussione il rigoglioso fiorire d’opere di propaganda religiosa, dopo essersi bevuto la falsa giustificazione di un aiuto caritatevole a popolazioni indigenti e incapaci di risollevarsi da sé?
La missione ha due facce. È uno scudo che raffigura sulla sua parte anteriore i volti dei mille e più bambini imploranti pane e solidarietà, confortati solo dalla carezza di un missionario, e sulla sua parte posteriore, quella nascosta, la cupola d’oro di una grande Chiesa, che cela e protegge gli interessi e le mire egemoniche della milizia cattolica. Gettiamo uno sguardo il più possibile limpido sul mondo delle missioni, e tentiamo di definirne lo scopo reale.
Prima di tutto ricordiamo che l’attività missionaria non è pratica specifica delle religioni tribali, come l’animismo ad esempio, le quali mirano unicamente a salvaguardarsi dalle influenze esterne, bensì delle cosiddette religioni universali come, appunto, il cristianesimo, ma anche l’islamismo ed il buddismo. E in questo i cosiddetti selvaggi dimostrano sicuramente più umanità e intelligenza dei cosiddetti civili. Ma quello su cui poco si punta l’attenzione è il carattere «evangelizzatore» delle opere missionarie. Il loro vero intento è la conversione degli infedeli, degli acattolici, di quelli che vengono sprezzantemente definiti pagani.
Ma allora che ne è di termini quali tolleranza, rispetto, dignità, diffusi tutte le domeniche dalla famosa loggia esterna di Piazza S. Pietro? é questa la parte esterna dello scudo?
Ma come non ricordare anche l’opera del Santo Vincenzo de’ Paoli, che fondò nel 1625 a Parigi la congregazione missionaria dei lazzaristi, finalizzata all’evangelizzazione della gente di campagna, questi pagani recidivi? Oppure quello che accadde nel 1852 a Grenoble, dove nascono i Missionari di Nostra Signora di «La Salette», i quali si prefiggevano lo scopo di combattere i peccaminosissimi errori del pensiero contemporaneo? Oppure ancora la congregazione dei Missionari d’Africa, fondata dal cardinale Lavigerie nel 1868, che aveva la finalità di convertire le regioni dell’Africa equatoriale ed in particolare i musulmani? Come non menzionare l’ancor più subdola opera dei Missionari degli operai, fondati in Belgio nel 1894, che tentavano una più efficace alienazione delle menti di quei marxisti infedeli delle classi lavoratrici?
Ma se vogliamo citare una più recente figura, è di papa Pio XI che dobbiamo parlare, colui che definì le norme del più importante istituto missionario della Chiesa Cattolica, la Propaganda Fide, fondata nel 1622 da papa Gregorio XV, creata allo scopo precipuo di evangelizzare per formare un clero locale in quei Paesi in cui la Chiesa non era ancora completamente radicata. Questa fu la trovata geniale: non più semplicemente portare il verbo agli infedeli, bensì evangelizzarli sradicandone cultura e religione, e istruirli talmente bene e con efficacia da trasformarli in piccoli apostoli indigeni di tante ambasciate vaticane. é chiaro che alla furbizia non c’è mai limite. E l’astuzia fu così proficua che già nel 1926 si contavano 400 missioni, composte da 15 milioni di neofiti e 14.800 missionari. Nel 1950 le missioni salgono a 600, i neofiti a 28 milioni, e i missionari a 26 mila. In quello stesso anno si contano 10 mila missionari indigeni che reggono missioni in 88 territori.
E oggi? Forse che qualcuno si sia ravveduto? Speranza vana. Sul sito internet del PIME (Pontificio Istituto Missioni Estere), fondato a Saronno da padre Angelo Ramazzotti nel 1850, nella parte riservata alla sua gloriosa storia, viene riportato il grido di papa Paolo VI pronunciato nel 1969 in Uganda: «Voi africani siete ormai i missionari di voi stessi». È veramente questo lo spirito con cui i prodi missionari si accingono ad estirpare culture altrui, e cioè riuscire a suggestionare talmente bene da creare realtà di fede cattolica indigene, del luogo, trasformando pigmei e watussi in piccoli Gesù della savana. Non accorgendosi della zappa che da soli si danno sui piedi, i missionari di questo glorioso Istituto ci tengono a sottolineare che una caratteristica del PIME è quella che loro chiamano «scelta asiatica», visto che, ci tengono proprio a dirlo, «l’Asia, in cui abitano il 60% di tutti gli uomini, ha il solo il 2% di cattolici».
Ogni individuo dotato di vero buon senso capirebbe che tali missioni sono ingiuste e dannose per le cosiddette popolazioni infedeli, poiché hanno come risultano l’annientamento di culture millenarie, d’usi e costumi popolari di una valenza storica e antropologica inestimabile. Perché cancellare tutto questo? Perché annullare con un colpo di spugna battezzata mondi diversi e particolarissimi, ormai perle rare? Questi moderni Marco Polo della croce vorrebbero mettere una pietra sopra riti tribali, tradizioni d’origine primitiva, culti legati alla ciclicità della natura e quant’altro. Dovremmo capirlo almeno ricordando ciò che la Chiesa cattolica aveva già fatto agli Indios dell’America centro-meridionale o agli Indiani dell’America settentrionale. Eppure sembra che quella spia d’allarme - che ci avverte da più di 500 anni - funga da monito solo per coloro che missionari non sono. Crediamo che, se il Vaticano fosse un po’ più cosciente di sé, smetterebbe di continuare a proclamare i suoi intenti convertitori e annientatori, che gli ritornano indietro come un boomerang, perché palesemente intolleranti e controproducenti. Li attuerebbero e basta. Ma forse è stata solo una svista, e un impeto d’euforia evangelizzatrice non represso ha rivelato al mondo ciò che avrebbe dovuto strisciare in sordina.
Così i missionari del PIME non si fanno certo scrupoli di sbandierare ai quattro venti l’impegno di lavorare sulle menti degli abitanti del Cameroun, i quali hanno la sciagurata colpa d’essere musulmani o animisti. Vade retro Allah! Vade retro Totem! Anzi, continuano imperterriti a dirsi nel giusto quando, a proposito delle loro missioni in Costa d’Avorio, ci tengono a citare le parole di Giovanni Paolo II in visita in quel Paese: «Africani, non imitate il modello di vita occidentale! Siate voi stessi, rimanete fedeli alla vostra ispirazione religiosa!». Altra mazzata sui piedi. Primo: se il papa non vuole che gli africani imitino il modello di vita occidentale, che ci fanno lì i missionari occidentali? Secondo: se rimanessero fedeli allo loro ispirazione religiosa, caccerebbero frati e suore in due minuti, prima ancora che riescano a manipolare cervelli e istituzioni. Qualcuno consigli il papa di cambiare registro, per il suo bene!
Ma passiamo in Asia. In India questi missionari hanno pensato bene d’incidere sull’indigenza dei parìa, degli intoccabili, evidentemente moralmente più fragili perché bisognosi d’aiuto economico, ma la sottigliezza, in realtà antica come il mondo, viene tranquillamente ignorata dai resoconti del PIME che, anzi, è orgoglioso di poter affermare che tra i poveri indiani «continua un buon movimento di conversioni». Stessa solfa nel Bangladesh dove, testuali parole, «la conversione dei tribali al cristianesimo è accettata come fatto pacifico e quindi abbastanza facile». E pensare che una volta il Bangladesh veniva definito «la tomba degli uomini bianchi». Ora si potrebbe piuttosto definire come la tomba degli uomini in quanto tali.
Nelle Filippine i missionari lamentano, ahiloro!, quelli che ritengono siano aspetti negativi, come il fatto che vi siano ancora quei musulmani di cui i cristiani solevano dire «il miglior musulmano è quello morto» e soprattutto sètte cristiano-pagane. Ed è proprio quell’apposizione, «pagane», che infastidisce ed irrita come una mosca. In più, poi, il papa ha il coraggio di dire al re di Giordania, Abdullah II bin Al-Hussein: «…i Musulmani, che noi seguaci di Gesù Cristo teniamo in grande considerazione». Credo però che il senso della «considerazione» sia un altro, rispetto a quello che le sue parole vorrebbero far credere.
Tuttavia la sconfitta che il PIME avverte come più dolorosa è quella subita in Papua Nuova Guinea, terra abbandonata da Dio e infestata da un tal Marcaba, spirito che gli indigeni venerano come genio. «Ignoranti superstiziosi!», un insulto si leva leggendo tra le righe del sito. Ma pensate un po’ come sono malvagi questi selvaggi, non hanno lasciato penetrare alcun missionario nelle loro terre, in quanto colmi di «disprezzo per tutto ciò che era diverso dalle loro tradizioni e della loro cultura». Evidentemente i missionari sono convinti di trattare con rispetto il resto del mondo acattolico, se non si accorgono del carattere profondamente distruttivo del loro stesso operato, arrivando persino ad accusare d’intolleranza tutti quei popoli che non consentono di farsi cristianizzare. Oggi in Papua Nuova Guinea su 2400 abitanti solo 50 sono stati cristianizzati, e tuttavia serpeggia una certo malumore tra i missionari del PIME per questi selvaggi testardi che continuano comunque a mantenere tracce dell’antico spiritualismo.
E il PIME non è un caso isolato, tutt’altro. Le Pontificie Opere Missionarie non sono meno incongruenti quando affermano che la loro missione in America Latina consiste nella difesa di indios, neri, meticci, quelle stesse genti che appena incontrate da Colombo e i suoi furono trucidate in nome di un unico Dio e di un’unica croce. I missionari delle Pontificie Opere si pentono e tentano di recuperare, o più semplicemente sono motivati dal fuoco del desiderio espansionistico? Ma c’è di più. Questi operatori della fede vorrebbero addirittura recuperare la «memoria storica delle tribolazioni e delle ribellioni dei neri e degli indios». Non credo proprio che i cattolici farebbero una bella figura se si andasse a scavare nel passato di quelle civiltà, se mai esiste ancora qualche documento sopravvissuto ai roghi, per la cancellazione di tutto ciò che potesse riportare testimonianza di civiltà precristiane.
Ciononostante credo che il punto sia, forse, un altro. C’è un ricatto di base nelle opere missionarie, ed è su questo aspetto che tutti gli organi d’informazione dovrebbero soffermarsi. È il ricatto della fede. Ossia, quelli che l’opinione pubblica vede come benefattori dell’umanità, soccorritori degli infelici e degli infermi, coloro che il mondo vede come costruttori d’opere di bene comune, ospedali, scuole, istituti di formazione, infrastrutture pubbliche, la mano che aiuta il mondo povero e disagiato, nascondono un asso nella manica, visibile a pochi, purtroppo. È l’asso, appunto, dell’evangelizzazione. È come se dicessero: portiamo cure e sviluppo in cambio di una conversione. Ti costruiamo il pronto soccorso e la nostra croce, ma bada di ringraziare e accogliere chi ti salva nel fisico e magari anche nell’anima. Realizziamo la scuola e la nostra Bibbia, affinché tu possa sì istruirti, ma secondo i nostri dogmi.
Vuoi l’acqua? Caricati della nostra Croce.
Vuoi medicine? Le avrai declamando le nostre preghiere.
Vuoi pane? Ricorda che te lo dà la nostra Santa Madre Chiesa.
Questo è il ricatto della fede.
Le opere missionarie non hanno mai carattere gratuito e disinteressato, lo affermano gli stessi interessati quando parlano dell’urgenza dell’evangelizzazione. E guarda caso la propaganda della fede cattolica avviene sempre in luoghi disastrati e pieni di miseria, luoghi dove il primo bisogno non è certo quello religioso, ma quello esclusivamente economico e sociale. Non si è mai visto di missionari nel Principato di Monaco, o in Svizzera, o che so nella Repubblica di San Marino. Chissà perché li troviamo sempre dove di spiritualità ce n’è anche in abbondanza, e dove manca, invece, ogni necessità primaria. È tutto molto semplice: do ut des.
Non si riflette mai sulla disgrazia che cade fra capo e collo di quei poveri disperati, disposti anche a rinnegare millenni di credenze ancestrali, pur di sopravvivere degnamente. Popoli abituati da sempre ad andare in giro nudi e scalzi, vengono calzati e vestiti all’occidentale, per coprire presunte vergogne di uomini e donne senza pudore. Ma quale missione, è quella che sradica e cancella, che copre e giudica, che trae alimento dal sottosviluppo? Meditate gente, meditate…