di Vera Pegna, vice segretaria nazionale dell’UAAR e membro del Consiglio della Federazione umanista europea
Perché L’Ateo parla di Europa
Nel suo editoriale, il direttore de L’Ateo spiega perché la parte monografica del giornale è dedicata all’Europa. Io mi auguro che le informazioni e le riflessioni contenute nei contributi che ospitiamo diano luogo a un dibattito fra i soci e nei Circoli. La difesa della laicità figura tra gli scopi principali indicati nel nostro Statuto e, nel Regolamento adottato quest’anno dal Comitato di Coordinamento, i Circoli vengono invitati a discutere della laicità al proprio interno e a organizzare manifestazioni pubbliche su questo tema. Proprio adesso - mentre è in corso l’elaborazione della Costituzione della futura Europa unita - è urgente che i cittadini europei facciano sentire la loro voce, poiché affidare una delega in bianco ai nostri rappresentanti, già poco propensi a difendere la laicità in Italia, ci può costare caro in avvenire.
Quando gli Stati membri dell’Unione europea decisero di elaborare una Carta dei diritti fondamentali, l’UAAR estese la lotta a favore della laicità dello Stato anche all’Europa, e diede il proprio contributo di pensiero alla FHE (Fédération Humaniste Européenne), portavoce delle associazioni laiche presso la Commissione. Tale nuovo impegno non ci fece abbassare la guardia sulla realtà del nostro paese, dove l’ingerenza della Chiesa cattolica nella sfera pubblica è molto pesante e viene prontamente assecondata dal governo e dalle amministrazioni locali, con l’acquiescenza - se non la collaborazione - della massima parte dell’opposizione.
La Convenzione europea
La Carta dei diritti fondamentali fu adottata al vertice di Biarritz nel dicembre 2001 e poco dopo iniziò il lavoro della Convenzione incaricata di studiare le riforme da apportare all’Unione europea (in vista dell’allargamento ai paesi dell’Europa centrale e orientale) e di stendere la bozza della futura Costituzione. Le associazioni laiche riunite nella FHE e la maggior parte delle organizzazioni della società civile si sono subito messe all’opera. L’UAAR ha presentato alla Convenzione il documento Libertà di religione e Costituzione europea, pubblicato su L’Ateo 2/2002 (22) e reperibile in rete, oltre che sul nostro sito, anche su quello dell’Unione europea.
Da parte sua, la Chiesa cattolica ha avanzato - attraverso la COMECE, ossia la Commissione degli episcopati della Comunità europea - una duplice richiesta alla Convenzione: che la Costituzione contenga un riferimento alle «radici cristiane» dell’Europa, e che vi sia riconosciuto il ruolo delle religioni nella sfera pubblica. Per i cittadini laici e le loro associazioni, entrambe le richieste sono inaccettabili, per due motivi. Il primo è che il contenuto etico delle leggi è insito nelle posizioni assunte, di volta in volta, dai parlamentari eletti dal popolo; ogni altro apporto estraneo alla espressione della sovranità popolare - specie se proveniente dalle chiese, strutture autoritarie e teocratiche per eccellenza - indebolisce e delegittima le istituzioni democratiche. Il secondo motivo è che le chiese sono portatrici di un messaggio trascendentale, certamente legittimo finché è rivolto ai propri fedeli, ma non più tale se lo si estende erga omnes, poiché la maggior parte dei cittadini europei appartengono ad una religione diversa da quella cattolica, oppure non sono credenti. Qualsiasi riferimento di questo tipo sarebbe quindi una imposizione, verrebbe vissuto dai cittadini come un privilegio riconosciuto a una sola parte e una discriminazione verso le altre. Un ulteriore motivo dell’inammissibilità delle richieste della Chiesa cattolica è dato dal fatto che esse si riferiscono a un trattato costituzionale, che si colloca per definizione nell’ambito giuridico-istituzionale e dunque non ha ragione di ospitare richiami di ordine storico o culturale, peraltro sempre aperti ad interpretazioni.
L’azione della FHE
Come si può leggere nell’articolo di G. Liénard, la FHE ha fatto propria la denuncia delle discriminazioni subite dai non credenti in taluni paesi e, nei suoi incontri periodici con le istituzioni europee, la questione è stata più volte affrontata. Per noi italiani, l’uscita dalla clandestinità forzata dovuta al rifiuto opposto dalle nostre istituzioni a ogni richiesta di dialogo, è confortante e incoraggiante. Leggendo Liénard, è interessante notare come, per la FHE e quindi per la maggioranza delle associazioni che la compongono, il concetto di laicità si estenda ben al di là della separazione fra Stato e chiesa. Così non è per l’Italia, né - mi sembra - per altri paesi del sud Europa, quali Spagna e Portogallo. Sono tentata di spiegarlo con il fatto che i paesi in questione hanno tutti un concordato con la Chiesa cattolica; la sfilza di privilegi che ciò comporta per le gerarchie ecclesiastiche e l’associazionismo cattolico - privilegi che, ribadisco, si traducono in altrettante discriminazioni per i non credenti e le loro organizzazioni - hanno costretto le associazioni laiche dei paesi concordatari a concentrarsi su temi più strettamente attinenti all’effettiva separazione fra il proprio Stato e la Chiesa cattolica, rinunciando a intervenire sistematicamente sulla difesa dei principi democratici insiti nel funzionamento di uno Stato laico e delle sue istituzioni. Sarà interessante vedere se le associazioni laiche dei paesi dell’Europa dell’est candidati ad entrare nell’UE, con i quali la Chiesa cattolica si è premurata di firmare dei concordati, abbiano reagito allo stesso modo. Nel medesimo articolo vediamo quanto sia diversa dalla nostra la posizione della FHE, che - in qualità di rappresentante delle associazioni laiche e umaniste - è regolarmente invitata dalla Commissione europea al «dialogo delle comunità di fede e di convinzione». Racconta Liénard che può anche accadere, come nel caso di una recente audizione della Convenzione, che gli esponenti delle religioni e la FHE si trovino d’accordo su un determinato punto, mentre i membri della Chiesa cattolica rimangono isolati sulle proprie posizioni. Le religioni non sono un monolite e il dialogo può dare frutti.
La funzione delle religioni
L’articolo del Prof. Pauer offre un importante contributo nel precisare - e vale sempre la pena farlo - quanto sia menzognero affermare che le religioni abbiano un «ruolo morale». D’altronde, si può comprendere l’insistenza della Chiesa cattolica e dei suoi sostenitori - come Giuliano Amato, vice presidente della Convenzione - nel rivendicare tale ruolo, poiché se venisse contestato, a quale titolo essi potrebbero richiedere un riconoscimento nella sfera pubblica europea (primo indispensabile passo per continuare a godere di privilegi più che mondani)?
A proposito di etica, nelle tesi approvate all’ultimo congresso dell’UAAR si legge: «Un punto particolarmente importante, per l’aspetto filosofico, è quello dell’etica, dei principi morali, di cui le religioni pretendono di possedere il monopolio. L’osservanza di principi etici è, in realtà, un problema essenzialmente umano, relativo ai rapporti tra gli individui e le collettività. I valori etici provengono dalla coscienza individuale e quindi riguardano la libertà di scelta. Solo una posizione autonoma da ogni ipotesi teologica può garantire veramente la libertà, e quindi la responsabilità morale che questa comporta».
Sullo smantellamento della Chiesa cattolica descritto dal Prof. Pauer è necessario riflettere a lungo, allargando il discorso alle altre religioni presenti in Europa, tradizionali e nuove, e a come si è andato trasformando il loro ruolo nelle società secolarizzate. Grace Davie, antropologa britannica, paragona la funzione attuale delle religioni a quella dei servizi pubblici che ci devono essere quando servono: i cittadini vogliono potere ricorrere alla religione in caso di necessità, per esempio quando avviene una disgrazia. Se ciò fosse vero, chissà che la spiegazione di tale comportamento non possa essere ricondotta al tipo di cultura dominante, che rifugge dal dubbio ed esalta l’esercizio della ragione nel quotidiano, ma non vi ricorre per ricercare il senso della vita o nei periodi di maggiore sconforto, quando tante domande rimangono senza risposta. Se nei momenti in cui sarebbe più utile la ragione non aiuta a «trasformare la prova in conoscenza e il dolore in coscienza», come scrisse Primo Levi, allora rimane il vuoto e l’inspiegabile diventa mistero che solamente la fede, con le sue certezze fatte di dogmi e di verità rivelate, sembra capace di svelare.
Quale rapporto con i cattolici
Una riflessione attenta meritano anche le considerazioni del Prof. Pauer a proposito del dialogo con i cattolici. Innanzi tutto occorre distinguere la realtà italiana, fortemente penalizzante per i non credenti, da quella di altri paesi europei dove il non credere è considerato una scelta filosofica o una concezione del mondo al pari del credere, e dove il dialogo fra le diverse concezioni del mondo è all’ordine del giorno. Sono recenti e ancora esitanti i tentativi che l’UAAR sta facendo per organizzare, con i rappresentanti di alcune religioni, degli incontri volti non certo a discutere delle rispettive concezioni del mondo, ma piuttosto di ciò che ci accomuna: le discriminazioni verso i non credenti e gli appartenenti alle religioni dette minoritarie, attuate in violazione alla Costituzione a causa dei Patti Lateranensi. Abbiamo cercato il dialogo anche con i cattolici della Comunità di Sant’Egidio - impegnati in un’attività lodevole a favore degli immigrati, improntata al rispetto della dignità umana - ritenendo che tale sensibilità verso l’altro e la sua cultura fosse un segnale di apertura che avremmo potuto raccogliere. Infatti, al Meeting Religioni e culture tra conflitto e dialogo, organizzato dalla Comunità di Sant’Egidio a Palermo all’inizio di settembre, tre soci dell’UAAR sono intervenuti nel dibattito di altrettante Tavole rotonde; Rocco Chinnici, Coordinatore del nostro Circolo di Palermo, ci racconta in un bell’articolo le sue impressioni, non nascondendo le perplessità e i problemi incontrati. Poiché siamo chiamati a vivere insieme, credenti e non credenti, nel medesimo Stato - italiano o europeo - e con le medesime leggi, possiamo scegliere se contrapporci gli uni agli altri o cercare terreni di intesa con possibili alleati nella battaglia a favore di uno Stato che assicuri a tutti i suoi cittadini una effettiva e uguale libertà di coscienza e di religione. Questo è l’obiettivo che si pone l’UAAR, e che ha indotto un alto funzionario del Quirinale a definirci «un lievito per la democrazia».