di Marcello Vigli, Roma
All’indomani dello scioglimento dell’URSS, per i vincitori della guerra fredda - in grado di condizionare il sistema delle comunicazioni nel mondo - è stato facile accreditare l’idea della fine delle ideologie e proclamare l’avvento dell’era del “pensiero unico”, nel mondo non più diviso in due campi opposti. Fra gli ingredienti costitutivi, un misto di liberismo economico, autoritarismo paternalistico, conformismo culturale e permissivismo etico, hanno rilanciato la funzione di collante sociale delle religioni restituendo potere alle istituzioni che le gestiscono. Con il marxismo si sono esorcizzati gli altri frutti “pericolosi” del Novecento tra cui la secolarizzazione e l’autonomia della scienza. L’occidente si è riscoperto cristiano per rintuzzare l’aggressività islamica. Invoca l’Islam moderato contro quello fondamentalista, che maschera indifferentemente regimi feudali e volontà di riscatto dalla miseria e dall’oppressione, come ieri dagli USA s’invocavano i fulmini di Roma contro la Teologia della liberazione in America latina. Nel nostro Paese la fine del millennio si è identificata con il giubileo della chiesa cattolica e a sostenere le sue pretese al riconoscimento delle radici cristiane dell’Europa hanno concorso, in gara con i clericali, socialisti e massoni, liberali e fascisti. L’intero Parlamento italiano ha ascoltato, genuflesso, l’alto magistero del papa e al cardinale Ruini è stato affidato il compito di legittimare nella basilica di San Paolo il torrente di retorica patriottica che ha sommerso le 19 bare dei morti a Nassiriya. Anche per riformare la scuola il governo Berlusconi ha confermato e rafforzato l’alleanza con la Conferenza episcopale e l’integralismo cattolico da tempo all’attacco della scuola pubblica, complici anche settori del centro sinistra.
S’impone una rielaborazione della cultura della laicità che vada oltre il contenzioso Stato-Chiesa metabolizzando la crisi dello Stato nazionale, con il quale essa si è affermata. In questa prospettiva, una conferma viene dalle vicende che hanno accompagnato l’istituzione di un ruolo speciale per gli insegnanti di religione cattolica nelle scuole pubbliche presentata da più parti come la doverosa, pur se tardiva, eliminazione di una sacca di lavoro precario.
La precarietà degli insegnanti di religione cattolica è, in verità, strutturalmente legata alla loro stessa condizione di catechisti inviati dalle autorità ecclesiastiche nella scuola pubblica e soggetti, pertanto, alla permanenza del loro mandato. Tanto insanabile era questa condizione, confermata nel concordato craxiano, che la loro Associazione, nonostante l’appoggio degli stessi sindacati confederali della scuola, non era riuscita a rovesciarla in vent’anni di pressioni e di attività lobbistica. Era considerato un assurdo giuridico ipotizzare l’esistenza di funzionari statali selezionati, assunti e conservati nel loro posto di lavoro ad arbitrio di un’autorità estranea alla Pubblica Amministrazione. La stessa gerarchia cattolica si opponeva con fermezza alla creazione di un ruolo per i docenti di religione cattolica nel timore che si sottraessero alle sue direttive se affrancati dalla discrezionalità del suo mandato.
Nel generale clima di rilancio dell’alleanza tra trono e altare, ragioni politiche e vincoli giuridici sono caduti. Ai numerosi progetti di legge presentati in Parlamento - nove alla Camera e otto al Senato rispettivamente alla Commissione Lavoro e a quella Istruzione di cui tredici di parlamentari di Alleanza Nazionale, CCD-CDU e Margherita, due trasversali del Polo delle libertà e due di parlamentari Ds - la Moratti ne ha aggiunto un altro. Diventato legge, la 186/2003, ha istituito un ruolo regionale speciale per docenti di religione cattolica a cui si accede per concorso, “regolare” pur se riservato, in conformità dell’art. 97 della Costituzione che lo prescrive per l’assunzione di funzionari statali. A esso possono accedere i laureati in università ecclesiastiche e i diplomati presso le scuole, diocesane o nazionali, previste nell’Intesa di attuazione del Concordato per la preparazione all’insegnamento della religione cattolica, se in possesso del riconoscimento di idoneità… rilasciato dall’ordinario diocesano competente per territorio. I concorsi per titoli ed esami sono indetti su base regionale, con frequenza triennale, dal Ministero dell’istruzione, dell’università e della ricerca.
Nello stesso articolo 3 della Legge si legge: «Ai motivi di risoluzione del rapporto di lavoro previsti dalle disposizioni vigenti si aggiunge la revoca dell’idoneità da parte dell’ordinario diocesano competente per territorio divenuta esecutiva a norma dell’ordinamento canonico». Nell’articolo successivo si precisa, però, che l’insegnante di religione cattolica entrato in ruolo, al quale sia stata revocata l’idoneità, ovvero che si trovi in situazione di esubero a seguito di contrazione dei posti di insegnamento, può fruire della mobilità professionale nel comparto del personale della scuola, con le modalità previste dalle disposizioni vigenti e subordinatamente al possesso dei requisiti prescritti per l’insegnamento richiesto, e ha altresì titolo a partecipare alle procedure di diversa utilizzazione e di mobilità collettiva previste dall’articolo 33 del decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165. Può, cioè, insegnare altra disciplina, per la quale abbia titolo, entrando, ovviamente, in concorrenza con i colleghi vincitori di concorsi specifici o incaricati a tempo determinato.
Con tale mostro giuridico si salva il principio che non si può perdere un posto pubblico per un intervento estraneo alla Pubblica Amministrazione, ma s’introduce un meccanismo perverso che, oltre a penalizzare gli insegnanti in servizio, aggiunge nelle scuole un canale di reclutamento parallelo. Anche la gerarchia è stata soddisfatta perché può usare la revoca senza eccessivi scrupoli “umanitarî” e, anzi, utilizzarla per rinnovare i suoi quadri all’interno della scuola pubblica attingendo ai sempre più numerosi diplomati dalle sue scuole in attesa di essere chiamati. Unica a pagare, oltre al Tesoro, è la scuola.
Per il primo concorso sono state dettate norme transitorie per consentire l’accesso anche ai docenti privi del prescritto titolo che hanno insegnato religione cattolica continuativamente per almeno quattro anni nel corso degli ultimi dieci anni e per un orario complessivamente non inferiore alla metà di quello d’obbligo. Contro il bando di questo concorso l’Associazione per la Scuola della Repubblica il 5 aprile scorso ha promosso ricorso al TAR del Lazio, per ottenerne l’annullamento. La richiesta alle Associazioni professionali e ai sindacati della scuola di associarsi all’iniziativa è stata disattesa. Solo l’UAAR, delle altre organizzazioni interpellate, ha accettato di condividere la responsabilità del ricorso.
È sempre più difficile ottenere il coinvolgimento nelle battaglie per la laicità della scuola perché anche quelli che la rivendicano nei loro proclami ignorano o preferiscono ignorare il nesso profondo, di cui si è detto, tra l’avanzata del liberismo autoritario e il tradizionalismo religioso, che nella scuola si traduce nell’apporto della pedagogia cattolica ammodernata del professore Bertagna alla devastazione del suo carattere pubblico avviata dalla “controriforma” Moratti.