di Maurizio Magnani
I lettori de L’Ateo si saranno domandati come possa accadere che una persona avvezza alla pratica delle scienze possa professare una qualsiasi fede religiosa, la quale impone un atto di rinuncia a quei principî di critica e falsificazione che nutre la crescita della conoscenza. La fede richiede un atto mentale di predisposizione, di accettazione preparata dall’aspettativa ed ha a che fare con la sfera del sentimento, a volte con l’intuizione, talora con l’estasi. La scienza è invece analisi razionale, induzione probabilistica, critica stringente, ricerca del punto debole delle teorie dominanti: è stato proprio il principio di critica e i procedimenti di demolizione delle teorie che apparivano intoccabili (come quella tolemaica geocentrica) e non solo i risultati tecnologici di pratica utilità, ad aver decretato il successo della scienza. La fede è ricezione acritica, la scienza è ricerca continua, è dubbio permanente.
In questa sede intendo avanzare una serie di argomentazioni che depongono per l’inconciliabilità tra ciò che le religioni tradizionali, in particolare i monoteismi, propongono nelle loro dottrine e ciò che le attuali conoscenze scientifiche sembrano testimoniare.
Nonostante ripetuti tentativi di attribuire alla scienza una mera funzione euristica (ricerca della verità), ma incapacità nomologica (incapacità di formulare leggi generali valide in tutti gli universi possibili), la scienza sta proponendo un suo “progetto forte”, quello di saper rendere conto anche di quei fatti che in passato sono stati oggetto d’indagine della sola speculazione metafisica o dell’intuizione mistica. Le religioni abramiche sostengono da secoli un programma forte: esiste un dio unico e tutto è riconducibile a esso, siano la genesi dell’universo, la creazione degli esseri viventi o la Provvidenza che interviene contro il male. Tuttavia, i monoteismi non hanno risolto un aspetto fondamentale per chi intende sostenere un programma forte: è la questione della connotazione della entità soprannaturale che chiamano Dio. Non definire intensivamente un concetto o una proposizione significa esimersi dall’assegnare loro un’identità specifica: ciò è di grande comodità per il loro utilizzo in funzione onnicomprensiva (con Dio si intende ciò che via via serve), di conciliazione degli opposti (es., dio afferma il proprio progetto, ma lascia libertà al mondo), di concordanza di principi reciprocamente escludenti (es., di fronte al problema del male dio è buono e onnipotente). Su questo aspetto sorge il primo grande conflitto della religione con la scienza, perché una delle conseguenze principali delle scienze è stata quella di aver prodotto convergenze concettuali e semantiche e definizioni intensive degli oggetti che esse studiano. Oggi qualunque cittadino del mondo può condividere e usare le stesse conoscenze scientifiche, comprendendole pienamente: è proprio il bagaglio di conoscenze concordemente accettate che ha consentito alla scienza di formulare definizioni e descrizioni replicabili, invarianti (anche se passibili d’evoluzione), cioè non modificabili dall’opinione personale e socioculturale, e perciò portatrici di valore identificativo universale. Le religioni monoteiste, invece, impongono l’accettazione di dogmi non discutibili, di verità assiomatiche indimostrabili, senza poter vantare né un procedimento di acquisizione della conoscenza validabile interculturalmente, dato che tutto è riferito alla “rivelazione” di dio a pochi uomini eletti, né un linguaggio comprensibile a tutti né condivisibile, tant’è che esistono in ogni monoteismo numerose scuole esegetiche spesso tra loro in forte contrasto. In definitiva, le scienze razionaliste adottano un metodo fondato sulla verifica e la confutazione, un procedimento di elaborazione logica dei dati relativi alle esperienze empiriche e un linguaggio analitico-connotativo, mentre le religioni antepongono a tutto l’accettazione fideistica dei dogmi e degli insegnamenti tramandati, e tutto deve essere ad essi sussunto. In virtù di queste prime considerazioni, per quanti siano i tentativi di conciliare scienza e religione, essi mostrano un’irriducibilità di fondo e descrizioni del mondo decisamente contrastanti. Questa tesi è confermata anche dalle più recenti acquisizioni scientifiche con implicazioni teologiche di cui darò una breve sintesi, rinviando il lettore alla bibliografia per un approfondimento.
- Gli studi sulle strutture dissipative e sui sistemi dinamici lontani dall’equilibrio (sistemi che cambiano radicalmente dopo uno stimolo anche minimo), quelli sui sistemi caotici e su quelli auto-adattanti (sistemi capaci di apprendere e autoistruirsi), sulla complessità (soprattutto la scuola di Santa Fe) nonché gli insegnamenti della meccanica quantistica, della teoria della relatività di Einstein e altri contributi, stanno rivoluzionando il nostro modo di pensare la realtà, obbligandoci a rifondare molte delle nostre categorie concettuali. Per es., la distinzione aristotelica tra materia e forma ha portato per secoli a pensare che la materia fosse rozzezza inanimata, necessitante di un alito vitale, un’intelligenza, ovvero cause esterne capaci di animarla; invece la materia possiede in sé informazione (veicolata nelle sue proprietà elettromagnetiche e chimiche, nelle sue strutture atomiche) e un’intrinseca potenziale capacità di autorganizzarsi (es., aggregarsi e iniziare a ruotare, a generare energia), di rompere la simmetria (creare regioni di spazio con gradienti di concentrazione diversi) dotandosi di ordine (accumulare informazione), di generare “proprietà emergenti” (come idrogeno, ossigeno e carbonio generano, secondo varie combinazioni stechiometriche, composti con proprietà assai diverse come un carboidrato e un lipide) ed evolvere autonomamente dalla semplicità verso la complessità, verso la realizzazione di strutture evolute come la vita biologica. Queste nuove concezioni sono decisamente anti-trascendentali e liberano dal bisogno d’appellarsi con imbarazzo alla casualità per spiegare eventi complessi. Per es. la vita non origina da una lunghissima serie di tentativi biochimici casuali, paragonati scetticamente dai creazionisti a una scimmia che battendo a caso sui tasti potrebbe scrivere la Divina Commedia, ma una volta avviata la prima reazione adeguata (le altre abortiscono) essa innesca una successione di reazioni di autorganizzazione che procedono verso la strutturazione complessa: la complessità compare improvvisamente e non per somma di variazioni stocastiche. Nell’universo, è la forza di attrazione gravitazionaria, generata dalla deformazione dello spazio-tempo da parte della massa, a determinare l’aggregazione di semplici particelle di polveri e gas a creare stelle, e pianeti: è la materia stessa che anima sé medesima autoconferendosi strutture e funzioni organizzate (come il sistema solare). Anche l’importante concetto di “vuoto” deve essere reinterpretato: il vuoto non è “assenza di”, “mancanza di”, come ci hanno insegnato a scuola, ma è presenza di complementari che si annullano (un più e un meno, un elettrone e un positrone) ed è permeato dai “campi” delle forze; in questa nuova ottica, si può capire come dal nulla possano nascere particelle di materia e si può capire in che cosa possa consistere quella “fluttuazione del vuoto quantistico” da cui l’energia-materia prese origine per dare il via all’universo. Il bilancio energetico complessivo dell’universo attuale è zero, come prima della sua esistenza: è stata la separazione dell’energia gravitazionale (negativa) dalle altre energie (positive) ad avviare la produzione di materia cosmica; dunque, non un atto di creazione a partire da una “Causa Prima”, ma un atto di suddivisione inevitabile, ha dato il via all’universo in cui viviamo.
- Il lavoro di migliaia di fisici e cosmologi è riuscito negli ultimi anni a costruire una teoria matematicamente coerente ed elegante (comprimibile algoritmicamente) dell’origine dell’universo. Teoria della relatività, meccanica quantistica, teoria dell’inflazione, teoria di J. Hartle e S. Hawking sulle membrane, tralasciando di citare l’ancora controversa teoria delle superstringhe e degli universi multipli (accreditata è la teoria di Lee Smolin sul darwinismo cosmologico), forniscono la descrizione di uno scenario cosmologico iniziale, nel quale è la fluttuazione dell’energia del vuoto quantistico a generare la “condizione all’inizio” del nostro universo ed è la fase di espansione inflativa a renderlo isotropo (omogeneo) così come è la separazione delle forze fondamentali, soprattutto quella elettromagnetica e gravitazionale a modellare le strutture galattiche. Sono poi le fusioni termonucleari stellari a generare energia e a sintetizzare gli elementi chimici necessari per formare pianeti, oceani, cellule e cervelli. In tutto ciò non è contemplato alcun ruolo di una mano creatrice né di una progettualità finalizzata, nemmeno di un’intelligenza panteistica destinata anch’essa alla morte termodinamica come il nostro universo in gelida espansione che essa permeerebbe.
- Se l’origine della vita sembrava dovesse restare celata da un mistero impenetrabile fino a poco tempo fa, l’approccio della biologia molecolare e della teoria dell’informazione, nonché i numerosi contributi della biofisica, della genetica e della paleontologia (inclusi quelli del nostro compianto Martino Rizzotti), persino lo studio dei cristalli, hanno condotto alla formulazione di alcuni modelli teorici che soddisfano moltissimi dei requisiti necessari e sufficienti per spiegare la vita. Anche in questo caso, non trova più alcun credito tra gli scienziati l’idea di un creatore, né di un principio vitale, né di un progetto che non sia intrinseco alla materia.
- In tutte le discipline scientifiche attuali che si occupano di cervello e mente, siano esse le neuroscienze, la psicologia cognitiva, l’intelligenza artificiale con le reti neurali o altre, non si trova più alcun richiamo ad essenze trascendenti (come gli psiconi di J. Eccles). Sono i neuroni del cervello, attraverso i miliardi di connessioni e l’elaborazione dei segnali nervosi, a generare le abilità cognitive, i sentimenti, la volontà, la coscienza e l’autoconsapevolezza. Accusata in passato di cieco riduzionismo, la posizione monista materialista sta riprendendosi una definitiva rivincita sulle teorie che volevano il cervello solo un organo effettore, un substrato organico di cui l’anima si serviva per realizzare la sua natura divina. Il “miracolo” della mente risiede nella materia e nella sua intrinseca capacità di autorganizzazione verso la complessità.
In conclusione, l’accumulo del sapere scientifico mal si concilia con la conoscenza sul mondo delle religioni tradizionali e con ipotesi trascendenti. Scienza e fede possono convivere in una stessa persona, così come convivono sentimenti passionali e intelligenza critica, tuttavia è inconfutabile che la sfera di influenza del “soprannaturale” sia stata fortemente ridotta dalla conoscenza scientifica: lampi, terremoti e pestilenze erano considerati fenomeni celesti, oggi parliamo di scariche elettriche, di slittamento delle faglie terrestri, di epidemie di batteri e virus. Per fermare la lava dei vulcani si usano dinamite e ruspe, non si va più in processione né si invocano gli dèi. Non è facile prevedere fino a che punto reggerà la conciliabilità tra il sapere scientifico e quello delle religioni, però noi tutti siamo testimoni delle terrificanti bordate e delle profonde crepe che la conoscenza scientifica ha procurato nelle costruzioni teologiche e nella credibilità delle narrazioni delle religioni: i rigurgiti di fondamentalismo e l’attuale regressione verso l’irrazionale del cristianesimo nostrano sono un eclatante sintomo della sua difficoltà a reggere il dialogo con la modernità.
Piccola bibliografia
A. Damasio. L’errore di Cartesio, Adelphi 1995.
V. De Angelis. La logica della complessità. B. Mondadori 1996.
M. Gell-Mann. Il quark e il giaguaro. Bollati Boringhieri 1994.
B. Greene B. L’universo elegante. Einaudi 2000.
J. Maynard Smith, E. Szathmàry. Le origini della vita. Einaudi 2001.
L. Smolin. La vita nel cosmo. Einaudi 1998.
S. Hawking. L’universo in un guscio di noce. Mondadori 2002.
M. Gasperini. L’universo prima del Big Bang. F. Muzzio Editore 2002.
M. Piattelli Palmarini. I linguaggi della scienza. Mondadori 2003.