di Fausto Nisticò*
Avevamo già preso nota in un articoletto del gennaio dell’anno scorso – L’Ateo, n. 1/2010 (67) – “Crocefisso: istruzioni per l’uso” del grido di rabbia e di dolore del ministro occidentale offerto all’attenzione televisiva dell’intera nazione ora giunto fino a Strasburgo, all’orecchio della Grande Camera della Corte Europea dei Diritti dell’Uomo, ultimissima istanza della nostra giustizia continentale; che, non si sa se per superstizione (“possono morire, possono morire” aveva, infatti, urlato il Nostro vaffanculeggiante ministro) o per convinzione – con il solo dissenso del giudice svizzero e di quello bulgaro (c’è un giudice a Sofia!) – per accogliere le ragioni del Governo Italiano è stata costretta a dare al Cristo in croce addirittura del “passivo”: “De plus, le crucifix apposé sur un mur est un symbole essentiellement passif, et cet aspect a de l’importance aux yeux de la Cour, en régard en particulier au principe de neutralité (paragraphe 60 ci-dessus). On ne saurait notamment lui attribuer une influence sur les élèves comparable à celle que peut avoir un discours didactique ou la participation à des activités religieuses” [Inoltre, il crocifisso apposto a un muro è un simbolo essenzialmente passivo, e questo aspetto ha importanza agli occhi della Corte, in particolare riguardo al principio di neutralità (paragrafo 60 qui sopra). Non si può infatti attribuirgli un’influenza sugli allievi paragonabile a quella che può avere un discorso didattico o la partecipazione ad attività religiose].
Ché se Cristo lo avesse saputo prima, intendo di non contare un tubo, avrebbe mandato tutti a quel paese, invece che fare trent’anni di vita come si deve ed alla fine morire in quel modo. Tutti quei sacrifici, quaranta giorni nel deserto a resistere alle tentazioni, anni ed anni per spiegare a quegli imbranati che si portava dietro quale fosse il suo messaggio (non c’è stata una sola volta, infatti, che uno, che fosse uno, fra gli apostoli avesse capito subito quello che voleva dire, nessuno aveva il senso della metafora, hai voglia raccontare parabole), venduto per trenta danari, rinnegato quando ancora era caldo dal futuro capo della chiesa, tutto questo per sentirsi dire che stare appeso sul muro della scuola, starci o non starci, alla fine è la stessa cosa. La sua passività – infatti – è tale, scrivono i Giudici della Grande Camera, da non suscitare alcuna emozione. Egli se ne sta lì, gronda ancora sangue, ha la sua corona di spine, il costato squarciato, quella faccia che dice cos’altro avrei dovuto fare per voi? – e tutto questo lascia indifferenti bambini, insegnanti e genitori.
Naturalmente non è così ed i primi a non essere d’accordo sono gli stessi sacerdoti cattolici. Prendo a caso da internet:
“Il crocifisso non è un oggetto qualunque appeso alla parete come un attaccapanni, ma è un’immagine che vuole rendere visibile una delle principali verità della religione cristiana” (una parrocchia di Vasto);
“Si! È il simbolo di noi cristiani dei cattolici, ortodossi e evangelici, che nel continente europeo siamo maggioranza” (Agora Magazine);
“Il Crocifisso è il simbolo della fede. Non è un simbolo culturale o un collante di identità etniche e nazionali. Ridurlo a questo vuol dire depauperarlo, svuotarlo, impoverirlo di significato; ed è quello che è esattamente avvenuto: abbiamo aule scolastiche e aule di tribunali piene di crocifissi appesi al muro e vuote di cristiani, veri ed autentici …; “Per favore, togli Cristo dai muri del teatro! Credimi! Non è a suo agio!” (Mushin).
Giustamente per chi ci crede il crocefisso è un simbolo religioso; solo per i fascisti ha un’altra funzione, a metà tra la tradizione ed il sentimento nazionale, del tipo dio, patria e famiglia: per esempio, sempre da internet “le nostre forze armate hanno un santo protettore: Virgo Fidelis per i Carabinieri, San Matteo per i Finanzieri, San Michele Arcangelo per i Poliziotti e per Paracadutisti, Santa Barbara Vergine per i Vigili del Fuoco, i Marinai, Artiglieri e Genieri, la Madonna di Loreto per gli Aviatori, San Sebastiano per la polizia municipale (così, finalmente, sappiamo a quale santo votarci quanto ci fanno ingiustamente una multa, ndr) e tanti altri … Insomma le Forze Armate che sono l’esempio dello Stato (laico) sul territorio a difesa dei cittadini, hanno nel proprio ordinamento una devozione a dei santi cattolici! E adesso che facciamo? Togliamo le effige dalle caserme e stazioni dei carabinieri perché magari vedendo la Virgo Fidelis mentre sporgono denuncia potrebbero turbarsi?”.
Insomma, per una volta hanno ragione i preti ed ognuno di noi, quando vede un crocefisso, a quello pensa, che si tratta di Cristo in croce, inutilmente morto e non certo alla patria, alla nazione, alla democrazia, ai valori universali di pace e fratellanza. Ad essere obiettivi, infatti, non ci si può scordare di quelle orde di cattolici che, in una mano il crocefisso e nell’altra la scimitarra affilata, facevano strage di musulmani infedeli e tagliavano le teste, torturavano, bruciavano, impalavano le streghe e fucilavano, non tanti anni fa, quanti Cavaradossi gli capitassero sotto tiro. Non c’è, dunque, univocità storica nel preteso messaggio laico del crocefisso, e questo l’Europa non dovrebbe ignorarlo. Ma tant’è ed oggi il Cristo passivo può stare nelle aule scolastiche, come però, dovrebbero stare altri simulacri (Budda il grassone simpatico, quell’altra orientale con trenta zampette o il candelabro con sette braccia).
Qualche anno fa, però, mio figlio si costruì e portò a scuola un suo Quelo: ve lo ricordate quel pupazzetto di legno che si era inventato Corrado Guzzanti quando faceva il santone pugliese? Quelo era fatto di un parallelepipedo di legno, con gli occhi e la bocca sorridente disegnata ed alcuni chiodi messi alla ben meglio per fare i capelli. Era così grottesco e così grottescamente esibito dal mago Guzzanti, era, insomma, così buono per tutte le minestre e per tutti i ciarlatani, da diventare un vero e proprio simbolo di sano pluralismo: ognuno, volendo, poteva costruirsi il suo Quelo ed attribuirgli quanti poteri o magie volesse. Il suo stesso nome, Quelo (cioè “quello”) la diceva lunga, perché poteva dir tutto e niente: ed alla fine, anche quel fantoccio poteva ritenersi sostanzialmente “passivo”, come il Cristo in croce. Eppure l’insegnante lo sequestrò e ci mandò a chiamare, senza spiegarci se riteneva quella esposizione una semplice spiritosaggine adolescenziale o un comportamento dissacrante.
* Faust Nisticò è magistrato del lavoro