di Francesco D’Alpa
Le medicine cosiddette alternative, e più in particolare l’omeopatia, hanno qualcosa a che vedere con l’ateismo? Personalmente ritengo di sì; visto che c’è di mezzo anche la Chiesa Cattolica, con una sua presa di posizione ufficiale e con una predicazione non sempre coerente. Prendiamo come punto di partenza l’art. 2117 dell’attuale Catechismo, che recita:
«Tutte le pratiche di magia e di stregoneria con le quali si pretende di sottomettere le potenze occulte per porle al proprio servizio ed ottenere un potere soprannaturale sul prossimo — fosse anche per procurargli la salute — sono gravemente contrarie alla virtù della religione. Tali pratiche sono ancor più da condannare quando si accompagnano ad una intenzione di nuocere ad altri o quando in esse si ricorre all’intervento dei demoni. Anche portare gli amuleti è biasimevole. Lo spiritismo spesso implica pratiche divinatorie o magiche. Pure da esso la Chiesa mette in guardia i fedeli. Il ricorso a pratiche mediche dette tradizionali non legittima né l’invocazione di potenze cattive, né lo sfruttamento della credulità altrui».
Lasciamo da parte forze occulte e demoni ai quali la maggior parte dei cattolici di buon senso sicuramente non crede. Cos’altro implica questo articolo? Di fatto le medicine alternative e l’omeopatia in particolare, in linea generale sono condannate o no? A prima vista no; infatti, nessun omeopata invoca oggi potenze soprannaturali, buone o cattive che siano, né (almeno dichiaratamente) vuole sfruttare la credulità altrui. Ma è proprio così? E da sempre? Molti autorevoli prelati vedono la cosa diversamente, ed applicano ben altrimenti l’evasivo articolo del Catechismo. Vediamo qualche esempio.
Secondo il noto esorcista padre Gabriele Amorth, chi esercita e chi si affida a tali pratiche ha una storia personale o familiare di credenza nella magia o nello spiritismo, e comunque uno spirito non cristiano; rifiuta la verità e preferisce affidarsi alle favole. In secondo luogo
«la guarigione che proviene dal diavolo ha lo scopo di generare confusione in vista di un male più grande e non ha nulla in comune con il carisma della guarigione»; «il dono che Dio fa gratuitamente, è accompagnato dai doni della fede e della compassione ed è esercitato solo in un ambiente di preghiera, durante il quale si loda Dio, ci si offre al Signore come canali di misericordia attraverso la quale Egli — per mezzo dello Spirito Santo — passa per raggiungere e guarire gli ammalati» [1].
Il cardinale Joseph Ratzinger, lamentava a suo tempo l’uscita dal «campo della razionalità e dell’utilizzo delle forze fisiche insegnate dalla scienza», l’offerta di «un elemento apparentemente divino, cioè delle forze che possono prestare dei successi, esperienze che appaiono come soprannaturali e spesso come divine [ma che] sono invece una parodia del divino […] poteri di caduta […] ironie contro Dio»; dunque uno stravolgimento delle relazioni fra uomo e Dio. Ratzinger sosteneva ancora che «nel momento in cui compaiono elementi che pretendono di guidare ad una “mistica”, diventano già strumenti che conducono in una direzione sbagliata»; e, con riferimento al caso specifico della pranoterapia, ma con una impostazione che ben si può adattare alla base spiritualista della omeopatia, che
«le pretese doti di guarigione dei pranoterapisti sono un segno di paganizzazione e non hanno nulla a che vedere con la fede cristiana e con il carisma delle guarigioni. Fanno parte di un terribile mondo sotterraneo»,
ed ancora
«il carisma delle guarigioni si manifesta in primo luogo nella assenza totale di elementi di magia e si realizza in uno spirito di preghiera. Le guarigioni operate dal Signore e su suo mandato dagli apostoli sono espressione di preghiera. Non si usano mezzi e contesti spirituali alieni dalla fede e dalla ragione. I carismi, a differenza dei poteri e dei fluidi vantati da queste persone, si sottomettono alla verità e al potere di Dio e non introducono altri elementi» [2].
Una critica più autorevole e circostanziata è stata formulata dalla Conferenza Episcopale Italiana, che da una parte ha condannato le
«prassi mediche non fondate su riscontri di anatomia, fisiologia, patologia e terapia (erboristeria, agopuntura, omeopatia, pranoterapia, riflessologia, iridologia, reiki e shiatzu) che possono rappresentare un rischio per i pazienti che abbandonano le terapie tradizionali, ma di comprovata efficacia»,
dall’altra ha denunciato il rapporto fra queste terapie alternative e le filosofie orientali«non compatibili con la fede cattolica e qualche volta perfino accompagnate da pratiche occultistiche» [3].
Ma esiste davvero una opposizione di fondo fra fede cristiana ed omeopatia? O non sarà piuttosto, come insinuano taluni, che la Chiesa vede nelle medicine alternative in genere anche un pericoloso competitore delle istituzioni sanitarie “tradizionali” nelle quali ha importanti interessi economici? Evito qui di occuparmene, preferendo limitarmi al tema dell’accordo o conflitto tra due concezioni spiritualiste.
Partiamo da Christian Friedrich Samuel Hahnemann (1775-1843), fondatore e profeta della fede omeopatica. Di fronte al fallimento della terapeutica del suo tempo, egli sceglie un approccio nuovo, filosofico più che sperimentale. Dopo essersi chiesto come avvengano e cosa significhino i cambiamenti che una sostanza produce una volta introdotta nell’organismo sano, egli propone in campo terapeutico (prevalentemente sulla base di limitate autosperimentazioni) la cosiddetta “legge dei simili” (del tutto opposta alla tradizionale “legge dei contrari”), in virtù della quale ritiene di potere curare tutte le malattie.
Dopo di ciò si interessa solo dei sintomi (per nulla delle lesioni degli organi, come aveva invece imparato a fare da secoli la medicina insegnata nelle Università) ritenendo che essi abbiano una causa immateriale; ed immagina che i suoi rimedi agiscano tramite “proprietà dinamiche”, totalmente distinte da quelle fisiche e chimiche della materia, che vengono progressivamente attenuate tramite successive diluizioni. Nel desolante panorama della incapacità terapeutica del suo secolo, il sistema hahnemanniano viene accolto come novità eccitante; sembra poter fornire all’arte terapeutica conoscenze più estese, formule meno complicate, medicamenti più gradevoli, ed in definitiva facilitare il compito del medico.
Ma Hahnemann è cristiano o anticristiano? Ed il suo sistema è in contrasto con il cristianesimo? I giudizi a posteriori dei cattolici sono quanto mai contraddittori, proprio come lo può essere qualunque giudizio in materia di fede. Indubbiamente Hahnemann non può che sentirsi un profeta innovatore, ardente, tenace; che non contraddice mai le sue idee originarie, non accetta alcuna critica, rifiuta ad una ad una le nozioni e la pratica medica corrente e non cerca alcuna integrazione con essa.
Fra Settecento ed Ottocento le concezioni mediche oscillano caoticamente fra varie tendenze; principalmente l’anatomismo di Haller e Morgagni, il solidismo di Cullen, l’animismo di Stahl, ed i residui del meccanicismo di Boerhaave. Su tutte domina lo spiritualismo, che aveva aperto le porte al vitalismo; e proprio dallo spiritualismo (di matrice religiosa) Hahnemann attinge a piene mani, come moltissimi dei suoi contemporanei.
Di questo spiritualismo, che non può non avere che stretti legami con il cristianesimo, possiamo cogliere evidenti tracce in alcuni fatti: Hahnemann, infatti (e dopo di lui non solo gli omeopati, ma anche i naturopati), crede che in natura esistano “provvidenzialmente” tanti rimedi quante sono le malattie; crede alla infinita divisibilità della materia; crede all’azione immateriale dei farmaci; la sua preparazione dei rimedi somiglia ad un rituale magico-religioso (per agitare le sue preparazioni usa batterle contro la copertina di cuoio di una Bibbia). Il concetto hahnemanniano di “forza vitale” (forza vivificatrice, misteriosa e immateriale che domina in modo assoluto e dinamico il corpo materiale, e grazie alla quale le parti del nostro corpo mantengono una meravigliosa armonia) è vicino a quello biblico di anima.
Punto di incontro (o confronto) fondamentale fra materia e spirito è, nel sistema hannemanniano, la tecnica della diluizione e dinamizzazione delle sostanze. Gli omeopati sono assolutamente convinti (ma solo sul piano teorico, giacché è impossibile provarlo sperimentalmente) che anche le diluizioni più estreme contengano sempre qualche quantità infinitesimale della sostanza iniziale; che questa basti affinché la “forza medicamentosa” possa produrre un effetto sull’organismo; che “estendendo” una sostanza non la si indebolisca; che il veicolo in cui è sciolta la sostanza ne acquisisca le proprietà; che i successi dell’omeopatia non siano affatto legati all’aspettativa del paziente (quello che oggi chiamiamo “effetto placebo”). In realtà, l’unico dato certo in favore dell’omeopatia appare il fatto che all’epoca della sua maggiore diffusione si muore forse meno negli ospedali omeopatici che in quelli tradizionali (come in occasione dell’epidemia di colera di Londra del 1854). Ma possiamo ben comprenderne il motivo: la medicina di quel periodo utilizza diverse pratiche cruente che ottengono facilmente un effetto opposto a quanto sperato ed i malati abbandonati a se stessi talora se la cavano meglio.
Tutto il resto è pura speculazione. L’assioma indimostrato di Hahnemnn (“similia similibus curantur”) viene opposto d’autorità al vecchio principio Galenico, ispirato dalla pratica e dal buon senso (“contraria contrariis curantur”). Secondo Hahnemann, la malattia consiste in un cambiamento interiore invisibile del corpo, del quale possiamo cogliere solo i sintomi esterni; la “potenza morbifera naturale” è una forza senza materia; la malattia consiste nella totalità dei sintomi e solo in questi; il medico si deve occupare solo dei simili, e deve combatterli tramite dei simili di maggior forza; la guarigione consiste nel ripristino non degli organi, ma dell’integrità primitiva dell’essere o della sostanza che conserva e anima il corpo (come ben sappiamo, pochi decenni dopo Hahnemann tutte queste idee vengono ampiamente sconfessate dalla medicina, in particolare l’idea di malattie “sine materia”). In estrema sintesi, le malattie sono solo, o soprattutto, spirituali. Di conseguenza, la soggettività entra prepotentemente nella cosiddetta “sperimentazione” omeopatica, eseguita (in ossequio al dogma fondante) esclusivamente sul soggetto sano. Per avere un’idea delle conseguenze di questa deriva ideologica, basti l’esempio di come Hahnemann arriva a registrare ben 279 sintomi differenti dopo la somministrazione del rimedio “Pulsatilla”; cifra ampiamente superata dal suo discepolo George Heinrich Gottleib Jahr (1800-1875), che ne riconosce addirittura 1153, dei più svariati generi!
A discapito di questa “sottigliezza” nella sperimentazione dei rimedi, le osservazioni cliniche (almeno in senso moderno) di Hahnemann si contano sulle dita di una mano: fra tutte, si è ampiamente citata quella relativa ad una donna (che lamentava palpitazioni cardiache, insonnia, nausee e sudori abbondanti) guarita dall’oggi al domani con una sola goccia di preparato omeopatico: un chiaro esempio, diremmo noi, di disturbo psicosomatico, guaribile con la semplice suggestione. Ma del resto, come in un racconto mistico, l’omeopatia seduce; affascina i sognatori e gli utopisti, ma soprattutto uomini e donne inclini allo spiritualismo e nevrotici. Nonostante la mistificazione terapeutica, può determinare effetti positivi, legati perlopiù all’empatia verso il malato ed all’attento regime igienico; ma anche, talora, all’uso pseudo-omeopatico, (ovvero tramite diluizioni blande) di sostanze farmacologicamente attive, in barba ai principi della dinamizzazione e della spiritualizzazione. Hahnemann parla di “sostanze estremamente rarefatte” capaci di produrre effetti sensibili sull’organismo: per gli omeopati,
«le sostanze medicinali non sono delle materie morte nel senso volgare del termine; la loro vera essenza è dinamica e consiste in forze immateriali. Esse ci sembrano morte quando si presentano ai nostri occhi come masse, nel loro stato di crudezza, ma non è che una morte apparente. Le facoltà interiori non sono che prigioniere e si trovano per così dire in uno stato di intorpidimento nel quale restano fino a quando l’industria umana non le abbia sviluppate, messe in libertà» [4].
I tempi in qualche modo lo permettono; solo a cavallo del Novecento si giunge a definire il cosiddetto numero di Avogadro, in base al quale si può definitivamente stabilire che, arrivati ad una certa diluizione del preparato omeopatico, non ne resta più alcuna molecola sciolta nel diluente; dopo di che gli omeopati sono costretti ad appellarsi ancor più, per sostenerne l’efficacia, alle proprietà “immateriali” dei medicamenti.
Ma mezzo secolo dopo Hahnemann la questione è aperta. Gli omeopati ritengono inconfutabile la divisibilità all’infinito della materia; un concetto condiviso dalla fisica e chimica contemporanee (a ragione dell’impossibilità “filosofica” di concepire il vuoto, si crede all’esistenza dell’etere, dotato a sua volta di proprietà metafisiche); è ben provato che l’organismo è capace di reagire all’infinitamente piccolo più di qualunque strumento scientifico; si sta per scoprire il potere patogeno degli agenti infettivi, anche se così piccoli e somministrati in minime quantità (ma ben presto si comprende che questi sono dotati di azione biologica); e poi … Poi ci sono le clamorose esperienze del dottor Imbert-Gourbeyre, che ha dimostrato pubblicamente le eruzioni cutanee prodotte dall’arsenico alla 13° diluizione! Ma qui è doverosa una digressione, per comprendere i limiti scientifici di questo importante testimonial.
Uno dei campioni ottocenteschi dell’omeopatia è Antoine Imbert-Gourbeyre de la Touche(1818-1912), cattolico fervente, terziario francescano, docente di Terapeutica e Materia Medica alla Scuola di Medicina di Clermont Ferrand dal 1852 al 1888; il quale, dopo una carriera medica ortodossa, interessatosi all’omeopatia nell’intento di confutarla, finisce con l’esserne conquistato; e ne diviene uno dei più attivi divulgatori. Ma che proprio a motivo delle sua pratica medica eterodossa, nel 1887 viene espulso dalla Società Medica della Rhône, con la motivazione che un medico può divenire omeopata solo se ha smarrito la sua mente o la sua coscienza.
Complementare a quello per l’omeopatia è il suo interesse per i mistici ed i visionari, inquadrato in un ben preciso contesto politico-religioso: i primi anni della terza repubblica (proclamata nel 1870), che vedono un deciso attacco al clero ed alla religione e l’imporsi del libero pensiero e della critica razionalista. Con il visionarimo cattolico in auge (specie dopo i fatti di Lourdes), il cattolico Imbert-Gourbeyre, alleato della nobiltà e che parteggia per una restaurazione monarchica, descrive in un suo celebre studio del 1873 (“La Stigmatisation, l’extase divine, les miracles de Lourdes”), ben 321 casi di presunti stimmatizzati, a partire da Francesco d’Assisi. Si tratta di un lavoro di basso profilo, pedante ma scientificamente poco convincente: una raccolta aneddotica di casi sia del passato (ma scarsamente documentati, o carenti di testimonianze attendibili) che contemporanei (raccolti da lui stesso senza un sufficiente distacco critico); che palesano un eccesso di credulità fideista. Anche fra i medici cattolici molti non approvano.
Ma anche in altri suoi lavori Imbert-Gourbeyre lamenta un inopportuno distacco fra teologia e contemporaneità; fra l’altro si scaglia contro gli ipnotisti (che a suo avviso pretendono di agire sul soprannaturale), in quanto ritiene dimostrato (teologicamente, ma anche in base al “buon senso”) che lo stato ipnotico (nonostante la possibilità per l’ipnotizzatore di suscitare allucinazioni) sia anch’esso preter o soprannaturale, dunque non ottenibile con la semplice suggestione naturale. Come Imbert-Gourbeyre molti cristiani, prima e dopo di lui, considerano l’omeopatia una pratica del tutto accettabile, per nulla in contrasto con le Sacre Scritture. Ebraismo e cristianesimo, in effetti, abbondano di espressioni a favore della medicina spiritualista e contro l’intervento medico “materialista”: Saul muore a causa della sua infedeltà per avere interrogato e consultato quelli che evocano gli spiriti, (1Cronache 10,13); Asa pecca per essere ricorsa, nonostante la sua gravissima malattia, ai medici e non al Signore (2Cronache 16,12); Cristo libera dalle malattie mediante il suo sacrificio sulla croce (1Pietro 2,24).
Altri cristiani sono invece decisamente contro. Secondo loro l’omeopatia è una pratica ingannevole, fra l’umano ed il diabolico; intende curare la persona nella sua interezza “corpo-mente-spirito” mediante tecniche che pongono al centro del processo terapeutico forze occulte definite “forza vitale” o “principio vitale”, che agirebbero sull’essere umano anche o soprattutto a livello spirituale. In tal senso, avvicinandosi alle discipline esoteriche, può condurre il seguace su pericolose strade.
Il giudizio critico sui singoli prodotti omeopatici ricalca quello sull’uomo Hahnemann: bigotto ma non cristiano; sedotto dal confucianesimo; affiliato ad una setta massonica, amico dell’ancor più anticristiano Franz Anton Mesmer (1734-1815), il teorico del “magnetismo animale”. Ed ancora: il suo metodo di guarigione ha radici nella superstizione; la sua visione del mondo rinvia all’occultismo; nella dottrina omeopatica la materia viene spiritualizzata, in quanto la forza guaritrice è spirituale e non chimica; il suo metodo curativo è stato concepito grazie a rivelazioni spiritiche. Tutto il contrario insomma di quanto ci insegna la Bibbia, secondo la quale in ogni situazione dobbiamo cercare innanzitutto il pensiero di Dio [5].
Ma è proprio vero che i più importanti omeopati sono anticristiani? C’è ampiamente di che dubitarne. Hahnemann afferma che lo scopo della salute è permettere all’uomo di conseguire il suo fine trascendente; che la salute è subordinata a questo fine e non è raggiungibile se ne viene disgiunta. Hahnemann considera la malattia in modo simile a San Tommaso: il “primum movens” è lo squilibrio dell’energia vitale, che fornisce all’uomo immunità dai mali ed integrità fisica. Il celebre omeopata Giovanni Ettore Mengozzi (1811-1882), al quale Papa Pio IX conferisce una cattedra di Medicina in quanto “nemico del materialismo”, considera Hahnemann «esempio vivente di integerrimi costumi e di cattolica morale».
Fra i maggiori teorici dell’omeopatia, James Tyler Kent (1849-1916) afferma che «un uomo che non è capace di credere in Dio non può diventare un Omeopata»; Henry Clary Allen (1836-1909) sostiene che «dietro la sintomatologia di tutte le malattie si trova la sintomatologia della Legge violata»; Alfonso Masi-Elizalde (1932-2003) ritiene che il rimedio omeopatico sia in grado di aiutare l’uomo ad iniziare un cammino di guarigione interiore, cioè un cammino di conversione, aiutandolo a “vedere” dentro di sé il suo errore.
Dunque, l’omeopatia affonda le sue radici nel cristianesimo (o comunque gli somiglia) più di quanto non se ne distacchi. Lo dimostra (in estrema semplificazione) la constatazione che, per i seguaci dell’impostazione dogmatica ortodossa le opere di Hahnemann sono una “Bibbia” dell’arte medica; durante la sua visita l’omeopata deve prendere in considerazione non solo i sintomi e lo stato fisico del paziente, ma anche i suoi aspetti mentali, emozionali e relazionali, al fine di scegliere con la massima accuratezza possibile il suo “simillimum”, ed in pratica deve sondare profondamente la sua anima (come nella confessione); la malattia viene considerata quasi una “potenza spirituale nemica” (come il peccato); il rimedio omeopatico guarisce i mali fisici con l’azione dello spirito (come per Cristo e gli apostoli); il rimedio omeopatico non perde efficacia sia pure diviso all’infinito (come ritenuto per il corpo di Cristo nell’ostia consacrata).Nonostante queste evidenze, molti religiosi hanno comunque dichiarato guerra all’omeopatia (sia pur meno che ad altre pratiche mediche cosiddette alternative (come pranoterapia, riflessologia, ipnosi, agopuntura, tecniche orientali di meditazione, training autogeno, yoga, aikido, tai-chi-chuan, shiatzu).Sorvolando sul fatto che non tutte queste sono basate su filosofie orientali, è evidente l’importanza che viene attribuita alla compatibilità con la fede cattolica (più o meno il problema che si è posto con il darwinismo).
Ma forse c’è più concorrenza che incompatibilità teologica: “fluidi” contro “carismi”, spitualismo paganeggiante contro sopranatura. Gli omeopati (così come i “guaritori” di ogni genere) affermano di sfruttare (o di possedere) poteri “naturali” di guarigione fisica e spirituale; la Chiesa replica che il “carisma” della guarigione viene concesso da Dio solo ai cristiani che credono in Gesù, lo seguono, e si servono di tale carisma per diffondere il Vangelo e la sua Chiesa; e non per fare soldi. Il guaritore invece (dunque anche l’omeopata) non ha bisogno di Dio, di preghiere, di confessioni, di comunioni; sostituisce ai riti cristiani ed alla preghiera una ritualità superstiziosa e formule magiche.
Da questo genere di critiche non sono naturalmente esclusi quanti si servono delle stesse tecniche alternative con il fai-da-te, coloro che consultano libri o riviste specializzate di magia, quelli che telefonano ai maghi o credono nell’oroscopo. Tutti esposti a “rischi spirituali”, e accomunati in una stessa condanna.
Riferimenti
[1] La battaglia di padre Amorth: Le tecniche pericolose della pranoterapia
[2] Ignazio Artizzu (1999), Intervista al Cardinale Joseph Ratzinger su magia, occultismo, yoga, sulla rivista Una voce grida …, n. 9
[3] Conferenza Episcopale Italiana. Ufficio Nazionale per la pastorale della sanità (2000), Le istituzioni sanitarie cattoliche in Italia. Identità e ruolo
[4] Citato in: Dictionnaire encyclopédique des sciences médicales (1888), serie 4, tomo 14, Parigi
[5] Per una esposizione più ampia di questi concetti si veda ad esempio http://www.dozule.org