di Alessandro Minelli
La figura e l’opera di Mendel sono l’oggetto di quella che Jan Sapp [1] ha descritto come la più grande fra le leggende nella storia della scienza. In questa vicenda vi sono, o vi sarebbero, almeno tre momenti straordinari. Innanzitutto, la scoperta da parte di un ricercatore isolato come Mendel, estraneo al mondo accademico ufficiale, delle leggi che governano l’eredità dei caratteri. In secondo luogo, l’incapacità di comprendere il significato e la portata di questa scoperta, dimostrata dal mondo scientifico fino a più di quindici anni dopo la morte del suo autore. Infine, l’improvvisa riscoperta delle leggi di Mendel da parte di tre ricercatori che, nel 1900, in modo largamente indipendente l’uno dall’altro, sarebbero finalmente giunti a riconoscere, e a portare alla pubblica attenzione, il messaggio scientifico di Mendel. Questi tre elementi aleggiano ancor oggi attorno alla figura e all’opera di Mendel, per lo meno nella versione più popolare della sua biografia. In realtà posizioni diverse e spesso fortemente critiche sono state avanzate nel corso di tutto il Novecento.
Scontata forse, e comunque legittima, è stata la caccia ai precursori. Il comportamento dei caratteri ereditari negli ibridi non può aver non interessato, anche prima di Mendel, gli allevatori e gli agronomi. In effetti, non è difficile rintracciare una ricca letteratura in proposito, a partire quanto meno dagli ultimi decenni del Settecento. Non mancano nemmeno lavori come quelli di Goss [2], di Seton [3] e di un autore anonimo del 1837, che utilizzano come piante sperimentali proprio i piselli, rendendo legittimo il sospetto che la scelta di questa leguminosa da parte di Mendel non sia derivata solo da una sua fortunata intuizione, peraltro corroborata da prove sperimentali intese a saggiare la stabilità dei caratteri dei diversi ceppi da utilizzare negli esperimenti. Non meno significativa è stata la ricostruzione dell’ambiente intellettuale nella Moravia ai tempi di Mendel, che proprio ai suoi tempi vide nascere e fiorire sia una Società Reale e Imperiale di Moravia e Slesia per il progresso dell’agricoltura, sia una Società di scienze naturali. Vítězslav Orel, che ha molto contribuito alla ricostruzione di questo ambiente, ha messo in evidenza l’importanza che devono aver avuto per Mendel i suoi contatti con alcune figure significative del locale mondo agrario e zootecnico.
Accanto a questa tradizione di stampo agrario, peraltro, vanno ricordati gli importanti studi sugli ibridi nelle piante che erano stati condotti, prima di Mendel, sul piano della ricerca botanica pura: di particolare importanza sono gli studi di Joseph Gottlieb Koelreuter e soprattutto quelli, più recenti, di Carl Friedrich von Gärtner, che Mendel conosceva bene e che discusse nelle sue pagine.
Inoltre, se teniamo conto dell’epoca in cui Mendel condusse i suoi esperimenti sulle leggi che regolano la trasmissione ereditaria dei caratteri e sui fenomeni che potrebbero mettere in forse la stabilità delle specie, non si può fare a meno di chiedersi se, ed eventualmente in quale forma e misura, queste ricerche abbiano avuto rilevanza per il dibattito scientifico aperto nel 1859 dalla pubblicazione dell’Origin of species. Su questo argomento, il primo a esprimersi fu William Bateson [4], secondo il quale Mendel credeva nell’evoluzione, ma non fu mai un darwiniano. Per Ronald A. Fisher, il grande genetista del quale dovremo presto riparlare, i protocolli sperimentali di Mendel dimostrerebbero invece la sua adesione alle idee di Darwin. Del tutto opposta l’opinione di alcuni autori più recenti, come Gaskin [5] e Callender [6], secondo i quali Mendel ignorò l’evoluzionismo o addirittura lo rifiutò.
Meno controversa, nell’insieme, è la lettura di quello che possiamo chiamare il periodo di eclissi del mendelismo, vale a dire il periodo compreso fra la data di pubblicazione della sua memoria sugli ibridi dei piselli (1866) e la data della sua “riscoperta” nel 1900.
Mendel aveva fatto stampare quaranta estratti del suo articolo del 1866 e pare che ne abbia distribuiti trenta; di questi, sei sono giunti fino a noi; fra questi, uno spedito a Charles Darwin. Il riscontro, peraltro, fu pressoché nullo. L’unico docente universitario con il quale Mendel riuscì a sviluppare uno scambio epistolare sul tema degli ibridi fu il botanico svizzero Carl Wilhelm von Nägeli, che dal 1857 era professore di botanica a Monaco di Baviera. Si sono conservate dieci lettere di Mendel a Nägeli (la prima è del 31 dicembre 1866, l’ultima è del 18 novembre 1873), pubblicate nel 1905 da un allievo di Nägeli, Carl Correns, uno dei tre botanici che “riscoprirono” Mendel nel 1900. Nägeli, in quegli anni, stava dedicando molta attenzione a un genere di piante ricchissimo di forme poco diverse tra loro, a proposito delle quali era molto difficile determinare quali fossero da considerare delle vere specie, quali invece delle varietà o, piuttosto, delle forme di passaggio tra una specie e l’altra. Questo genere (Hieracium, della famiglia delle composite) sembrava quindi un sistema ideale sul quale condurre ricerche sulla trasmissione dei caratteri negli ibridi. Mendel, sostenuto da Nägeli che gli procurò anche materiali per i suoi studi, scelse proprio gli Hieracium come oggetto di un nuovo ciclo di esperimenti, da far seguire ai suoi precedenti studi sui piselli. Gli Hieracium, però, si dimostrarono assai meno facili da studiare, come lo stesso Mendel dovette ammettere nel suo secondo (e ultimo) articolo sull’argomento. Mendel si lamentava della grandissima difficoltà di compiere le necessarie manipolazioni su singoli fiori di minuscole dimensioni e troppo pronti ad avvizzire, nonché dello scarso numero di semi prodotti negli incroci. Oggi sappiamo che la maggior parte delle diverse forme di Hieracium si riproduce naturalmente senza fecondazione: queste piante, pertanto, rappresentano un materiale del tutto inadatto per un progetto sperimentale basato sull’ibridazione. Ma questo, all’epoca, non era noto né a Mendel né a Nägeli.
Tornando alla questione della scarsa popolarità di Mendel nei primi 35 anni dalla presentazione delle sue letture alla Società dei naturalisti di Brünn, va ricordato che nella letteratura scientifica di quegli anni si trovano pochissime citazioni dei Versuche [7]: prima in ordine cronologico quella di Hoffmann [8]; più significativa quella di Focke [9], per l’importanza e l’autorevolezza del suo volume Die Pflanzenmischlinge (Gli ibridi delle piante).
La situazione cambia decisamente con i lavori di Hugo de Vries, Carl Correns e Erich von Tschermak [10], ai quali la tradizione attribuisce una clamorosa e improvvisa “riscoperta” di Mendel. La situazione, in realtà, è più complessa ed è stata oggetto di un’abbondante e controversa letteratura, negli ultimi decenni del Novecento. Già Sturtevant, nella sua storia della genetica [11], riportava la diffusa opinione che De Vries avesse in un primo tempo pensato di cancellare ogni riferimento a Mendel, nel lavoro che stava per pubblicare nel 1900, proprio per mettere maggiormente in risalto la novità e l’interesse dei propri risultati: avrebbe però cambiato idea, venendo a conoscere che Mendel sarebbe stato comunque citato da Correns e da Tschermak nei loro articoli. In effetti, la prima pubblicazione di De Vries sull’argomento è un breve testo in francese [12], in cui Mendel non è citato, mentre il suo nome compare nel lavoro più esteso, pubblicato da De Vries nello stesso anno. Alla fine, il richiamo a Mendel da parte di tutti e tre gli studiosi avrebbe permesso di ridurre grandemente la disputa fra loro per il primato, facendoli invece emergere tutti insieme nel ruolo di ricercatori esperti, tutti capaci di recuperare da un lungo oblio un lavoro importante fino ad allora dimenticato.
Fin dalla prima ora, la “riscoperta” degli studi di Mendel (cioè la nascita della genetica moderna) ha trovato riscontro in discipline che vanno dalla biologia pura alla medicina, all’agraria e alla filosofia. Particolarmente importante, ma all’inizio problematico, è stato il rapporto tra genetica ed evoluzionismo. La nuova scienza dell’eredità veniva a colmare una lacuna nel modello darwiniano dell’evoluzione. Questo presuppone l’ereditabilità dei caratteri sui quali la selezione può operare, ma Darwin aveva formulato una teoria dell’eredità che era poco sostenuta dai fatti e che presto si sarebbe dimostrata inadeguata. Con la nuova genetica, il problema poteva sembrare risolto, ma si veniva nello stesso tempo ad aprire un nuovo fronte, perché il modello mendeliano presentava un’eredità basata su fattori discreti (quelli che nel 1909 Wilhelm Johanssen avrebbe chiamato geni) che non sembrava facile mettere d’accordo con quella variazione continua dei caratteri, sfumati per gradi infinitesimi, che Darwin aveva presupposto nella sua teoria dell’evoluzione per selezione naturale. Si vennero così a contrapporre due scuole: da un lato i biometristi, come Karl Pearson e Walter Frank Raphael Weldon, che si proclamavano darwinisti e sostenevano il carattere continuo dei cambiamenti evolutivi, dall’altro i mendeliani come William Bateson, che si definivano non darwinisti e sostenevano invece la discontinuità dei processi evolutivi.
Verso la fine del Novecento, comunque, gli aspetti più singolari della “storia straordinaria” di Mendel potevano dirsi ridimensionati. Questo non esauriva tuttavia il dibattito sul nostro autore e sulla sua opera.
Note
[1] J. Sapp, The nine lives of Gregor Mendel, in Experimental Inquires, a cura di H.E. Legrand, Kluwer, Dordrecht, pp. 137-166.
[2] J. Goss, On the variation in the colour of peas, occasioned by cross-impregnation, in “Transactions of Horticultural Society”, London, V, 1824, pp. 234-236.
[3] A. Seton, On the variation in the colour of peas from cross-impregnation, in “Transactions of the Horticultural Society”, London, 1824, V, pp. 236-237.
[4] W. Bateson, Mendel’s Principles of Heredity: a Defence, Cambridge University Press, Cambridge 1909 (ristampa: Dover, Mineola 2010).
[5] E.B. Gaskin, Why was Mendel’s work ignored?, in “Journal of the History of Ideas”, XX, 1959, pp. 60-84.
[6] L.A. Callender, Gregor Mendel: an opponent of descent with modification, in “History of Science”, XXIV, 1988, pp. 41-75.
[7] Le memorie presentate alla Società dei naturalisti di Brünn nel 1865: Versuche über Pflanzenhybriden, in “Verhandlungen des Naturforschenden Vereins in Brünn”, IV, 1865.
[8] H. Hoffmann, Untersuchungen zur Bestimmung des Werthes von Spezies und Varietät. Ein Beitrag zur Kritik der Darwinschen Hypothese, Giessen 1869.
[9] W.O. Focke, Die Pflanzenmischlinge, Bornträger, Berlin 1881.
[10] H. de Vries, Das Spaltungsgesetz der Bastarde, in “Berichte der deutschen botanischen Gesellschaft”, XVIII, 1900, pp. 79-82; C. Correns, G. Mendel’s Regel über das Verhalten der Nachkommenschaft der Rassenbastarde, in “Berichte der deutschen botanischen Gesellschaft”, XVIII, 1900, pp. 158-168; E. von Tschermak, Über künstliche Kreuzung bei Pisum sativum, in “Berichte der deutschen botanischen Gesellschaft”, XVIII, 1900, pp. 232-239.
[11] A.H. Sturtevant, A history of genetics, Cold Spring Harbor Laboratory Press, New York 1964.
[12] H. de Vries, Sur la loi de disjonctiondes hybrids, in “Comptes rendus de l’Académie des Sciences (Paris)”, CXXX, 1900, pp. 845-847.
Alessandro Minelli, già professore ordinario di Zoologia presso l’Università di Padova, ha iniziato la sua attività di ricerca dedicandosi a problemi di sistematica zoologica, filogenesi e biodiversità, per poi indirizzarsi verso la Biologia evoluzionistica dello sviluppo. È autore dei volumi Biological Systematics (1993), The Development of Animal Form (2003), Forme del divenire (2007), Perspectives in Animal Phylogeny and Evolution (2009). Il presente testo è tratto dalla sua introduzione a Gregor Mendel, Le leggi dell’ereditarietà, Mimesis, Milano-Udine 2014 (vedi recensione nel box).