Corte costituzionale, 20 marzo 2006

 

REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE COSTITUZIONALE

composta dai signori:

Annibale MARINI, Presidente
Franco BILE, Giudice
Giovanni Maria FLICK, Giudice
Francesco AMIRANTE, Giudice
Ugo DE SIERVO, Giudice
Romano VACCARELLA, Giudice
Paolo MADDALENA, Giudice
Alfio FINOCCHIARO, Giudice
Alfonso QUARANTA, Giudice
Franco GALLO, Giudice
Luigi MAZZELLA, Giudice
Gaetano SILVESTRI, Giudice
Sabino CASSESE, Giudice
Maria Rita SAULLE, Giudice
Giuseppe TESAURO, Giudice

    ha pronunciato la seguente

     

    ORDINANZA

    nel giudizio per conflitto di attribuzione tra poteri dello Stato sorto a seguito della circolare del Ministro di grazia e giustizia – Div. III del 29 maggio 1926, n. 2134/1867, relativa alla «Collocazione del Crocefisso nelle aule di udienza» e consequenziale diniego dell’attuale Ministro della giustizia alla rimozione dei crocifissi nelle aule giudiziarie, promosso con ricorso di Luigi Tosti, nella qualità di giudice monocratico del Tribunale di Camerino, nei confronti del Ministro della giustizia, depositato in cancelleria il 5 dicembre 2005 e iscritto al n. 43 del registro conflitti tra poteri dello Stato, fase di ammissibilità.

    Udito nella camera di consiglio dell’8 marzo 2006 il Giudice relatore Franco Bile.

    Ritenuto che – con ricorso depositato nella cancelleria del Tribunale di Camerino il 29 novembre 2005, trasmesso a questa Corte dal Presidente del Tribunale il giorno successivo – «Tosti Luigi, nella qualità di magistrato monocratico ordinario con funzioni civili e penali (GIP, GUP supplente) presso il Tribunale di Camerino», ha proposto conflitto di attribuzione fra poteri dello Stato nei confronti del Ministro della giustizia e «in relazione alla esposizione obbligatoria dei crocifissi negli uffici giudiziari»;

    che il ricorrente premette di avere, il 31 ottobre 2003, chiesto con lettera al Ministro la rimozione del simbolo religioso del crocifisso dalle aule giudiziarie, disposta dal Ministro di grazia e giustizia con circolare del 29 maggio 1926, da considerare abrogata, ai sensi dell’art. 15 delle disposizioni preliminari del codice civile, perché incompatibile con i principî costituzionali; di non aver ottenuto alcuna risposta; di avere allora proposto ricorso al Tribunale amministrativo regionale delle Marche il 20 ottobre 2004, «nella veste di lavoratore dipendente del Ministro di Giustizia» per ottenere la rimozione del crocifisso dalle aule giudiziarie, precisando che, in caso contrario, si sarebbe rifiutato di espletare le sue funzioni pubbliche per «libertà di coscienza»; di avere ancora, il 1° maggio e il 15 novembre 2005, reiterato la richiesta di rimozione al Ministro della giustizia, chiedendo in alternativa di poter esporre la menorah, simbolo della religione ebraica cui aveva aderito; di avere deciso, non avendo avuto risposta, di astenersi dalle udienze dal 9 maggio 2005; di avere infine il 15 novembre 2005 rinnovato le precedenti richieste, preannunciando (ove non fossero state accolte) la proposizione di un ricorso per conflitto di attribuzioni;
    che, a sostegno delle ragioni del conflitto, il ricorrente ravvisa nell’imposizione di esporre il crocifisso «un’illegittima invasione della sfera di competenza del potere giurisdizionale da parte del potere amministrativo, dal momento che l’art. 110 della Costituzione limita la competenza del Ministro di Giustizia all’organizzazione e al funzionamento dei servizi relativi alla giustizia, sicché deve ritenersi inibita al Ministro l’imposizione di qualsiasi simbolo che valga a connotare in modo partigiano e parziale l’esercizio dell’attività giurisdizionale da parte dei giudici la quale per converso deve essere e apparire imparziale, neutrale e equidistante nei confronti di qualsiasi credo o non credo religioso ai sensi degli artt. 101, 102, 104, 97, 111, 3, 8 e 19 della Costituzione, non potendo lo Stato (e quindi il potere giurisdizionale) identificarsi in simboli religiosi di parte come il crocifisso, ma semmai in simboli che identificano l’unità nazionale e il popolo italiano (art. 12 della Costituzione)»;
    che, ad avviso del ricorrente, il conflitto è ammissibile, ricorrendo sia i requisiti soggettivi (poiché egli «riveste le funzioni (anche) di giudice monocratico civile e penale presso il Tribunale di Camerino, sicché gode di assoluta indipendenza e autonomia nell’ambito del più vasto “potere giurisdizionale” cui appartiene»), sia quelli oggettivi (perché il conflitto concerne un atto amministrativo di natura regolamentare o, comunque, un comportamento di “rifiuto” di rimozione dei crocifissi dalle aule giudiziarie), mentre la violazione delle attribuzioni giurisdizionali trova fondamento nelle norme costituzionali sopra richiamate.

    Considerato che in questa fase la Corte deve, a norma dell’art. 37, terzo e quarto comma, della legge 11 marzo 1953, n. 87, deliberare preliminarmente, senza contraddittorio, se il ricorso sia ammissibile in quanto esista la materia di un conflitto di attribuzione tra poteri dello Stato la cui risoluzione spetti alla sua competenza, in riferimento ai requisiti soggettivi e oggettivi indicati nel primo comma dello stesso art. 37;
    che questa Corte ha già affermato – in sede di prima valutazione di ammissibilità – che in tanto un organo giudiziario (con funzioni giudicanti, come l’attuale ricorrente) è, a causa del carattere diffuso del potere cui appartiene, legittimato a proporre conflitto tra poteri dello Stato, in quanto «esso sia attualmente investito del processo, in relazione al quale soltanto i singoli giudici si configurano come “organi competenti a dichiarare definitivamente la volontà del potere cui appartengono”, ai sensi dell’art. 37, primo comma» della legge citata (ordinanza n. 144 del 2000);
    che nel ricorso, recante la data del 25 novembre 2005, il ricorrente ammette di essersi astenuto dall’esercizio delle funzioni giurisdizionali fin dal 9 maggio precedente;
    che, inoltre, il ricorso per conflitto – come risulta dalla sua complessiva formulazione – non prospetta in realtà alcuna menomazione delle attribuzioni costituzionalmente garantite agli appartenenti all’ordine giudiziario, ma esprime solo il personale disagio di un «lavoratore dipendente del Ministro di Giustizia» per lo stato dell’ambiente nel quale deve svolgere la sua attività;

    che pertanto – mancando, sia sotto il profilo soggettivo che sotto quello oggettivo, la materia di un conflitto costituzionale di attribuzione, la cui risoluzione spetti alla competenza di questa Corte – il ricorso deve essere dichiarato inammissibile.

     

    PER QUESTI MOTIVI

    LA CORTE COSTITUZIONALE

    dichiara inammissibile, a norma dell’art. 37 della legge 11 marzo 1953, n. 87, il conflitto di attribuzione proposto da «Tosti Luigi, nella qualità di magistrato monocratico ordinario con funzioni civili e penali (GIP, GUP supplente) presso il Tribunale di Camerino» nei confronti del Ministro della giustizia, con l’atto introduttivo indicato in epigrafe.

    Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 20 marzo 2006.

    Annibale MARINI, Presidente

    Franco BILE, Redattore
    Giuseppe DI PAOLA, Cancelliere

    Depositata in Cancelleria il 24 marzo 2006.

    Il Direttore della Cancelleria

    f.to DI PAOLA