Sen. Maria Pellegatta
Intervento in Aula della sen. Maria Pellegatta - insieme con l’Unione-Verdi Comunisti Italiani - sulla Proposta di decisione del Parlamento europeo e del Consiglio concernente il Settimo Programma Quadro di attività comunitarie di ricerca, sviluppo tecnologico e dimostrazione (2007-2013). Roma, 19 luglio 2006
In primo luogo sembrano opportune e utili alcune considerazioni procedurali.
La partecipazione del Parlamento nazionale all’adozione degli atti comunitari di grande importanza qual è il Settimo programma-quadro per la ricerca è stabilita dal Trattato europeo che garantisce il massimo coinvolgimento dei Parlamenti e dei Governi nazionali e un iter complesso che tutela appieno le realtà nazionali, tanto da prevedere anche la facoltà della “minoranza di blocco” che concorre a determinare una maggioranza qualificata.
La proposta di deliberazione che proviene dal Parlamento europeo e che siamo chiamati a esaminare ha superato dunque un lungo iter e si presenta come la risultante di un esame approfondito svolto nelle sedi competenti.
La partecipazione dell’Italia alle decisioni comunitarie è regolata invece da una recente legge voluta dalla maggioranza della passata legislatura. Essa è farraginosa: anziché semplificare ne complica l’iter tanto da prevedere che la Camere esaminino non solo la proposta del Parlamento europeo, ma anche tutti gli elementi, quelli documentali e quelli informativi degli atti in via di formazione; è costosa, tanto che prevede la trasmissione degli atti sottoposti a deliberazione, ma anche dei documenti dell’istruttoria e, come se non bastasse, di tutti i documenti di consultazione, i libri verdi, i libri bianchi, le comunicazioni, le direttive, le risoluzioni, i regolamenti, le decisioni etc., insomma quintali di carta.
È dunque tendenzialmente paralizzante la procedura stabilita dalla cosiddetta “legge Buttiglione” che si presta – o forse sollecita? – contenziosi a non finire.
Probabilmente occorre riesaminare questa materia; la procedura in atto obiettivamente ingolfa l’agenda delle Commissioni parlamentari senza peraltro centrare l’obiettivo della compartecipazione consapevole alle deliberazioni europee e aggiungere garanzie a quanto è sancito dal Trattato.
Il punto di riflessione mi sembra questo: assumere la partecipazione dell’Italia all’UE non come un vincolo esterno, talvolta indesiderato, ma come un fatto costitutivo della nuova dimensione identitaria nazionale: l’Europa è la nostra casa, come spesso ripetuto dal Presidente della Repubblica. Ed è sbagliato utilizzare l’Europa come velo o giustificazione a decisioni politiche difficili, conflittuali talvolta, ma necessarie, giuste ed eque.
Stupisce che la c.d. “legge Buttiglione” sia stata voluta da chi ha promosso una riforma della Costituzione – per buona sorte bocciata dagli elettori italiani – che si proponeva di limitare le competenze del Parlamento a favore del Governo e soprattutto del cosiddetto Primo Ministro. Dunque appare evidente che la motivazione del centrodestra derivava soprattutto da euroscetticismo o da qualcosa di più accentuato e retrogrado.
Nel momento in cui esaminiamo la delicata e importante materia della ricerca in campo medico e genetico, possiamo rilevare come l’orientamento del Governo che ci ha preceduto fosse rivolto non a partecipare a un dibattito costruttivo, non alla collaborazione, ma alla frapposizione di ostacoli in sede europea.
L’allora ministro della ricerca aveva sottoscritto la Dichiarazione etica. Una scelta che faceva compiere all’Italia un ruolo di ostacolo preventivo ai programmi di ricerca e, se mantenuta, avrebbe comportato ora una sorta di veto (“minoranza di blocco”) delle deliberazioni del Consiglio europeo.
L’iniziativa del Ministro Mussi il mese scorso a Strasburgo di ritirare la firma dell’Italia alla “Dichiarazione etica” è stata corretta: risponde all’esigenza di tutela della laicità dello Stato, principio costituzionale che garantisce tutti, e opportuna sul piano politico. L’iniziativa contribuisce a segnare una profonda svolta rispetto al Governo espresso nella passata legislatura.
L’iniziativa del Ministro Mussi non ha alcuna attinenza, né conseguenza sulla legislazione italiana.
Ma a questo proposito, non posso non ribadire che essa è molto restrittiva e non posso non augurarmi che le forze politiche, il Parlamento, con il contributo della Comunità scientifica, tornino a discuterne partendo dal presupposto che la scienza evolve, non è statica.
E inoltre, se la nostra legislazione è restrittiva, non per questo possiamo porci da ostacolo in sede europea, ostacolo per Paesi in cui la ricerca scientifica nel campo delle cellule staminali è sostenuta con proprie leggi.
La proposta che stiamo esaminando, con specifico riferimento alla ricerca sulle cellule staminali, deriva da un ampio e approfondito dibattito; consente di finanziare progetti di ricerca ed è interesse dell’Italia sostenere tutte le iniziative, scientificamente e rigorosamente fondate, che intendano combattere le malattie genetiche e invalidanti quali ad esempio il Parkinson, l’Alzheimer e la Sclerosi multipla; tiene conto delle problematiche etiche e delle valutazioni della comunità scientifica e pone delle limitazioni ai progetti finanziabili a cominciare dalla clonazione, che rendono il testo equilibrato e adeguato – allo stato – all’attuale stadio delle conoscenze scientifiche e del dibattito ideale, politico e culturale.
Il Parlamento europeo, nelle sedi competenti, ha posto tre importanti limitazioni al finanziamento dei progetti: la ricerca volta alla clonazione umana a fini riproduttivi; la ricerca volta a modificare il patrimonio genetico degli esseri umani che potrebbe rendere ereditabili tali modifiche, l’attività di ricerca volta a creare embrioni umani esclusivamente a fini di ricerca.
Limitazioni che sono ponderate sull’attuale patrimonio delle conoscenze e che sono state poste al vaglio di criteri politici e culturali espressi dalle istituzioni democratiche preposte. Peraltro la deliberazione viene assunta non come definitiva in quanto si prevede una revisione del progetto alla luce del progresso scientifico.
Il programma comunitario per la ricerca scientifica offre una opportunità ai nostri ricercatori. Una parte del programma, denominata “Persone” ha come obiettivo la formazione e il miglioramento delle condizioni dei ricercatori.
Si può iniziare un percorso di costruzione di reti internazionali nelle quali le nostre università giochino un ruolo da protagoniste; si pone un argine alla fuga individuale, conseguenza spesso dei tagli miopi e scriteriati che si sono abbattuti sul sistema universitario e della ricerca in questi anni.
Il dibattito nel nostro Paese si è concentrato prevalentemente sul tema della ricerca nel campo della salute e specificatamente della genetica. Non lo si deve eludere certo, ma non perdiamo di vista il quadro complessivo: il Settimo programma europeo per la ricerca scientifica approvato recentemente dal Parlamento europeo.
In linea con la Strategia di Lisbona del 2000 che assegnava alla ricerca un ruolo fondamentale per la crescita e l’occupazione in Europa, con il Settimo programma l’UE compie una scelta sul piano degli investimenti: il raddoppio dei finanziamenti previsti dal precedente Programma.
Il Programma europeo affronta un’emergenza delle società moderne: la crisi delle professioni scientifiche e tecniche che è evidenziata anche dalla diminuzione degli iscritti nelle Facoltà universitarie dell’area scientifica che dipende da molti e complessi fattori. Per dare un contributo in questa direzione occorre smantellare l’impianto della riforma Moratti della scuola superiore, salvare e valorizzare l’istruzione tecnica e professionale.
Il Programma europeo prevede una aumento degli investimenti nella ricerca scientifica: non basta che l’Italia ne colga le opportunità; occorre, in coerenza con il programma dell’Unione, che anche gli investimenti dello Stato italiano tendano al raggiungimento degli obiettivi europei e che lo status dei ricercatori italiani sia in linea con gli standard europei. Peraltro, se la ricerca italiana è di prim’ordine nonostante i limiti denunciati, ciò è dovuto anche alla preparazione che offre il modello della scuola italiana: la frammentazione, la riduzione dell’accesso agli studi, l’asservimento di settori della scuola al mercato, come previsto dalla riforma Moratti, sarebbero andati in direzione opposta.
Infine, se il Programma europeo riguarda la ricerca scientifica, occorre non dimenticare il settore delle cosiddette scienze umane, anzi, al contrario, è compito del Ministero a questo riguardo sostenere la ricerca in questo settore ed evitare sperequazioni.
Con l’adesione al programma europeo da parte del Parlamento, l’Italia esercita un ruolo importante, non più da comprimaria, nel panorama europeo, ruolo che le spetta anche per le sue tradizioni storiche nel campo della ricerca.
Riteniamo che l’approvazione del Programma quadro europeo per la ricerca scientifica corrisponda all’interesse nazionale.
Con la decisione che assumiamo e con l’indirizzo nuovo che il Governo ha assunto, l’Italia dà un contributo importante allo sviluppo della ricerca scientifica, a liberare la ricerca da divieti, censure, sudditanze integralistiche e nella consapevolezza che, se si vuole perseguire, come stiamo facendo il bene comune, non ci sottrarremo né al dibattito né a contemplare ulteriori evoluzioni della ricerca scientifica.