di Luigi Tosti
È bene premettere che credere nell’esistenza della balena e credere nell’esistenza di Dio non è la stessa cosa.
Chi crede nella balena lo fa perché l’esistenza fisica del cetaceo è stata materialmente accertata e documentata e, inoltre, può essere riscontrata da chiunque lo voglia, viaggiando per mare o visitando acquari e/o musei di storia naturale.
Chi crede in Dio, invece, non lo fa perché l’esistenza fisica di Dio sia stata acclarata da qualcuno e possa essere, all’occorrenza, riscontrata da chi lo voglia: in realtà l’esistenza di Dio è stata (e viene tuttora) supposta per fornire la giustificazione “logica” dell’esistenza del Creato, cioè dell’Universo.
Si tratta di un’esigenza che è scaturita nel momento in cui l’uomo ha raggiunto l’autocoscienza, cioè la consapevolezza di esistere e di essere immerso in un universo che esisteva.
La propria esistenza non è stata percepita dall’uomo (né lo è tuttora) come ferma, illimitata e immutevole, ma in senso diametralmente opposto. In altre parole l’uomo ha la consapevolezza di nascere, prima, dai propri genitori, poi di crescere e, alla fine, di dover morire, e nel suo convincimento tutto questo avviene in un ciclo causale (cioè di causa-effetto) che si consuma nel tempo: se io esisto, lo devo al fatto che sono stato generato dai miei genitori i quali, a loro volta, sono stati generati dai loro genitori; e così via, a ritroso nel tempo.
Anche l’esistenza dell’universo è stata percepita (e viene percepita) come mutevole e limitata. Infatti tutto si muove, si trasforma e cambia: prima vi è una realtà, poi ve n’è un’altra e, infine, domani ve ne sarà un’altra ancora.
Orbene, la consapevolezza che l’esistenza propria e dell’universo fosse necessariamente correlata col tempo ha indotto l’uomo (e tutt’ora lo induce) a ipotizzare un “inizio” e a porsi, dunque, questa fatidica domanda: «chi mai ha creato l’uomo e il mondo?».
In altri termini, se l’esistenza dell’universo non è ferma, ma si è svolta nel passato, si svolge nel presente e si svolgerà nel futuro, è sembrato lecito (e tuttora lo sembra) chiedersi quando essa sia iniziata e, altresì, quando essa finirà.
Ebbene, la risposta primordiale a questa domanda è stata quella di ipotizzare che l’inizio del mondo e di tutti gli esseri viventi fosse da attribuire a un atto creativo di un Essere soprannaturale e immortale (quindi pre-esistente), capace appunto di creare dal nulla la materia e gli esseri viventi e a ipotizzare, poi, che vi dovesse essere anche la fine dell’universo (creato).
L’attributo principale ed essenziale che è stato (e che tuttora viene) appioppato a Dio, dunque, è quello di creatore dell’universo.
D’altra parte, se Dio non fosse un essere creatore, egli si troverebbe – come essere esistente – sullo stesso piano dell’universo. In altri termini, ipotizzare un Dio che esiste, ma che non ha creato nulla, è perfettamente inutile, dal momento che anche l’universo esiste e non ha creato nulla.
Tuttavia, la supposizione dell’esistenza di un Dio-creatore, oltre che assolutamente inconcludente sotto il profilo logico, si rivela del tutto incompatibile con una delle leggi fisiche fondamentali, quella secondo cui in natura nulla si crea, nulla si distrugge e tutto si trasforma: legge fisica dalla quale si deve trarre anche il necessario corollario che il tempo, inteso come inizio (o creazione) e fine (o annichilamento) della materia e, quindi dell’universo, in realtà non esiste.
La legge fisica in questione afferma, infatti, che se brucio un foglio di carta non ho in realtà distrutto un bel nulla, ma ho soltanto trasformato quel foglio di carta in calore e cenere. Il calore e la cenere corrispondono perfettamente, infatti, alla stessa materia che è stata coinvolta, all’inizio, in quel processo di trasformazione. Alla stessa stregua, l’esplosione di una bomba atomica non determina l’annichilimento di un solo atomo, bensì la trasformazione di materia in energia: un processo, questo, che può essere invertito, dal momento che l’energia può essere trasformata in materia.
Il corollario che scaturisce dalla legge fisica che in natura nulla si crea e nulla si distrugge è che il tempo (inteso come inizio – o creazione – e fine – o annichilamento – della materia) non esiste nella realtà fisica, ma è solo una rappresentazione convenzionale della nostra mente, necessaria per misurare il movimento della materia, cioè le sue continue trasformazioni.
Così, ad esempio, quando si dice che «è trascorso un anno», non si fa reale riferimento al trascorrere effettivo della entità “tempo”, quasi si trattasse di un punto (presente) che si muove verso il futuro lungo una retta, lasciando dietro di sé la scia del passato, ma si afferma soltanto che la terra ha fatto un giro attorno al sole. Quando si dice che «occorrono vent’anni perché un bambino diventi uomo», si fa un’affermazione scorretta, perché non è il tempo che fa crescere e maturare un bambino, ma sono le sostanze alimentari che egli ha assunto – e che l’organismo ha assimilato – che gli consentono di svilupparsi sino a quel punto. Se quel bambino avesse omesso di alimentarsi in quei venti anni (cioè in quei venti giri della terra attorno al sole), sicuramente non sarebbe divenuto uomo, ma si sarebbe trasformato in uno scheletrino.
E che il tempo sia soltanto un modo convenzionale per misurare il movimento della materia (organica o inorganica che sia) non può essere contestato, dal momento che la velocità del “movimento” della materia influisce sulla misurazione del tempo, rendendolo relativo. Un giorno terrestre dura le attuali 24 ore dell’orologio (anch’esso creato dall’uomo con meccanismi che «si muovono» per misurarlo) solo perché correlato all’attuale velocità di rotazione della terra. Se questa velocità raddoppiasse, però, il giorno durerebbe 12 ore dell’attuale “velocità di movimento” delle lancette dell’orologio.
Dalla diretta correlazione tempo-movimento deriva il necessario corollario che, se tutta la materia – dagli atomi all’universo – fosse completamente immobile (ivi compresa l’elaborazione dei pensieri da parte del nostro cervello), non si potrebbe neppure avere l’idea del tempo come attualmente la percepiamo: ogni attimo, infatti, sarebbe perfettamente eguale a quello precedente e a quello successivo, essendo tutto perfettamente eguale nel cosiddetto “passato”, nel cosiddetto “presente” e nel cosiddetto “futuro”.
Da queste considerazioni logiche discende che l’universo di cui facciamo parte non è minimamente influenzato dal “tempo” che, in realtà, non esiste: ciò che realmente esiste è soltanto la continua e incessante trasformazione della materia, ma questa “trasformazione” – che è la caratteristica intrinseca e peculiare della materia stessa – non ha mai determinato la distruzione – cioè l’annichilamento – di un solo atomo!
Per poter dimostrare che il tempo (inteso come inizio, trascorrere e fine dell’universo) esiste realmente, bisognerebbe dimostrare che è possibile creare o annichilare una pur minima porzione di materia: questa possibilità, però, cozza con la realtà della fisica e, dunque, si profila del tutto irrazionale e inammissibile.
Solo se qualcuno riuscisse a dimostrare che è possibile annichilare un solo atomo (e non, semplicemente, trasformare l’atomo in energia o viceversa), si potrà ipotizzare la tesi del creazionismo, cioè che vi possa essere stato un momento in cui è stata creata, dal nulla, la materia e, consequenzialmente, che il tempo esiste come entità, cioè come entità che consente a un Dio, già esistente, di creare ciò che prima non esisteva e magari, poi, di distruggerla.
Questa eventualità, tuttavia, è categoricamente esclusa dalla legge fisica che governa la natura, sicché si può tranquillamente affermare che è fisicamente impossibile che un solo atomo della materia dell’universo possa essere stato creato o possa essere distrutto da chicchessia, ivi incluso Dio.
In conclusione: è assolutamente incompatibile con la realtà fisica ipotizzare che l’universo possa essere stato creato (o possa essere annichilato) da chicchessia: caduta l’ipotesi del creazionismo, cade necessariamente l’ipotesi del Dio-creatore.
Pertanto, alla domanda «chi ha creato l’universo» si può fornire una sola risposta: «Nessuno». E il perché di questa risposta univoca è assai semplice: «Perché la domanda si fonda, in realtà, su un postulato falso, dal momento che le leggi fisiche escludono che vi sia la possibilità di creare materia: non è dunque possibile identificare l’autore di un’azione che è impossibile compiere».
Le stesse considerazioni varrebbero per qualsiasi altra domanda che si fondasse su postulati altrettanto falsi. Ad esempio, alla domanda «Chi è che fa volare le balene nel cielo?» solo gli Iddioti (neologismo che mi permetto di mutuare dal matematico prof. Piergiorgio Odifreddi) potrebbero scervellarsi per cercare di fornire le generalità di «Colui che fa volare le balene»; i sani di mente, al contrario, risponderebbero senza alcuna esitazione: «Nessuno!».
E la giustificazione di tanta certezza risiede anche qui nel fatto che la domanda si fonda su un postulato falso, dal momento che le leggi fisiche escludono che vi sia la possibilità che le balene volino nel cielo, sicché non è possibile identificare l’autore di un’azione che è impossibile compiere.
Queste conclusioni non possono essere invalidate dalla teoria del Big Bang: si può infatti tranquillamente affermare – al di là della validità o meno di questa teoria – che l’universo attualmente esistente è esattamente identico a quello esistente al momento del Big Bang.
La teoria del Big Bang, in effetti, non fa altro che ipotizzare l’esplosione di una quantità immane di materia che si era precedente addensata sino a raggiungere una massa volumetrica piccolissima. Questa esplosione avrebbe poi determinato il lancio e l’espansione della materia nello spazio e lo sviluppo di energia, analogamente a quanto avviene nell’esplosione di una stella supernova.
Il Big Bang non prova però nulla, né tantomeno prova che «l’universo esiste da tot miliardi di anni», come alcuni affermano, lasciando quasi supporre che, prima di quell’evento, l’universo… non esistesse!
In realtà il Big Bang nient’altro è se non uno degli infiniti eventi trasformativi della materia – presumibilmente ricorrenti – che riguarda quella porzione di universo infinito che noi possiamo indagare. All’attuale espansione dell’universo per noi visibile, infatti, potrebbe seguire una contrazione sino a generare un nuovo big bang: e così via di seguito, sino all’infinito.
Né si può ipotizzare che la cosiddetta “vita” sia una prerogativa esclusiva del pianeta Terra e che essa si sia formata soltanto qualche miliardo di anni fa. La constatazione che la materia si trasforma incessantemente deve indurre, semmai, a ipotizzare l’esatto contrario, e cioè che la materia ha la capacità di trasformarsi da forme inorganiche a forme organiche, e viceversa: e questo in qualsiasi punto dell’universo e in qualsiasi momento. Questa incessante trasformazione – nient’affatto influenzata dal “tempo” – non è a senso unico, cioè proiettata nel futuro, bensì ciclica: si può ragionevolmente affermare che tutto ciò che è accaduto accadrà di nuovo. Se vi è vita sulla terra, vi è stata vita e vi sarà vita anche in altri infiniti pianeti: qualsiasi trasformazione, infatti, avviene senza il minimo “dispendio” di materia e di energia, cioè senza che venga annichilato un solo atomo, sicché l’Universo si manifesta come una macchina eterna e illimitata, che non ha bisogno di Dio per funzionare e il cui bilancio tra energia e materia è sempre in pareggio.
D’altra parte, la tesi del Dio-creatore si rivela come un modo surrettizio e inconcludente di rispondere alla domanda «chi ha creato il mondo?».
Nel momento in cui, infatti, si identifica in Dio l’Essere che avrebbe “creato” l’universo in un certo istante, si deve necessariamente ipotizzare che quel Dio già esistesse e non abbia mai avuto un “inizio” e una “fine”: in caso contrario, infatti, questo Dio-creatore avrebbe le stesse caratteristiche che si attribuiscono all’universo-creato.
Ma allora sorge spontanea un domanda: che senso ha ipotizzare l’esistenza di un Essere (Dio), che non avrebbe mai avuto inizio e non avrà mai una fine, per giustificare l’esistenza di un altro Essere (l’Universo) che – sino a prova contraria – non ha mai anch’esso avuto un inizio e non avrà mai una fine? In altre parole, se il Dio-creatore esisteva già prima della creazione dell’universo, come si può negare che egli avesse la stessa identica prerogativa che compete all’attuale Universo, cioè quella dell’esistenza? E per quale motivo, allora, sarebbe necessario – per giustificare l’esistenza dell’Universo – ipotizzare l’esistenza di un Dio-creatore, e non sarebbe invece necessario ipotizzare l’esistenza di un altro Essere-creatore, per giustificare l’esistenza del Dio che ha creato l’Universo?
Come si vede, la “soluzione” del Dio-creatore, congetturata per giustificare l’esistenza dell’universo, non risolve un bel nulla ma, al contrario, fa sorgere la necessità di congetturare l’esistenza di una catena infinita di altri Dei-creatori, per giustificare l’esistenza di ciascuno di essi!!
Tanto vale, allora, affermare che l’Universo – che abbiamo sotto gli occhi e della cui esistenza siamo certi – c’è sempre stato e sempre ci sarà, come peraltro ci insegna e ci attesta in modo inconfutabile la fondamentale legge fisica secondo cui è assolutamente impossibile, in natura, creare o distruggere una pur infinitesimale porzione di materia.