Racconto di Luca Rota
Un tempo c’era un tale, un povero tapino, che viveva in indigenza di spirito e dunque, per inevitabile conseguenza, di vita: un poco pusillanime, sovente pavido, invidioso di quelli che vedeva attorno a sé più vivaci di spirito grazie a loro fortunati motivi, se ne stava per l’intera giornata dentro o attorno la propria cadente baracca, che sorgeva adiacente a una grande cava di sabbia abbandonata.
Da lì, osservando quel mondo che gli pareva così diverso da sé e dunque così ostile, per molti versi, rimuginava nell’intimo su quel suo stato imprecando contro la sfortuna che non lo aveva ritenuto degno della stessa fortuna altrui e contro il mondo stesso, così immorale, depravato, corrotto – come il tarlo della propria invidia gli portava a giudicarlo, e come ogni qualvolta si girasse attorno a sé, verso l’orizzonte di quella sua triste dimora, fatto solo di cumuli di stupida, sporca, inutile sabbia…
Una tale acredine, si sa, nello spirito debole di tempra a lungo andare s’addensa, appesantisce, preme sull’animo, permette che una certa oscura malizia abbia più agio di movimento nella mente, e che ne derivi una scaltrezza assai meno virtuosa di quanto dovrebbe essere nell’animo disteso… Un giorno di ordinaria invettiva verso l’orizzonte sterile che lo attorniava, quel tale proruppe in una bizzarra e astrusa imprecazione: «Tutta questa schifosa, stramaledetta sabbia! Se solo un demone mi donasse il prodigio di convertirla in denaro, gli venderei l’anima seduta stante!».
Appena profuse tali parole, il tizio si bloccò, come folgorato da un’inaspettata, inopinata intuizione, lo sguardo bloccato sui grandi cumuli di sabbia… E se quella invero impossibile imprecazione nascondesse la soluzione a tutti i suoi mali? – si chiese sgomento… Cominciò a pensare, a speculare, a fantasticare, immobile sui suoi piedi, ogni istante sempre più intensamente, come rapito da una fantasmagorica visione tutta racchiusa nella mente, ancorché fosca, vaga, indeterminata…
Forse non era poi così assurdo, il senso di quella sua esecrante fantasia… Certo, lo era che egli potesse assurdamente tramutare la sabbia in denaro, che gli apparisse di fronte un demone e gli conferisse un tale incredibile potere, e in fondo che tutto ciò potesse, dovesse accadere proprio a lui… Tuttavia, un modo per cercare di rendere reale una tale assurdità ci poteva essere… E non era né magico né demoniaco, né tanto meno difficile, complicato, astruso… La sua mente lavorava, elaborava, escogitava, ciò che così indistinto prima c’era in essa sembrava ora diventare più definito, più netto, più concreto…
Qualche giorno dopo, il tizio si presentò in città, nel giorno di mercato e dunque di grande affluenza di popolo. Aveva estratto dal fondo di una polverosa cassa di legno quello che era forse il suo vestito più bello ancorché obsoleto nella foggia, per conferirsi un’immagine meno tapina del consueto, e se ne stava in piedi ritto nel mezzo della grande piazza, con la gran massa di gente che gli vorticava attorno e con qualcuno che già prendeva a fermarsi e ascoltarlo un attimo, incuriosito da quanto quello strano tipo stava asserendo: «Io sono l’uomo più ricco del mondo! Sono il più ricco, il più rispettabile, il più influente, quello più meritevole della vostra riverenza, più di qualsiasi altro voi possiate immaginare!…». Andava ripetendo di continuo tali sue “verità”, quasi macchinalmente, mentre quelli che si fermavano ad ascoltarle si chiedevano cosa ci facesse in quel mercato popolare uno così, che asseriva d’essere il più ricco al mondo e quindi certamente aduso a ben altri ambienti, e altri un poco più curiosi gli chiedevano su che basi concrete egli sostenesse quelle cose.
«Ah, su che basi? Poveri ingenui scettici, miseri diffidenti, tutti voi!…» esclamava sarcastico, e aggiungeva subito, con la massima pomposità: «Io posseggo un’intera cava di sabbia, e sono capace di mutare ogni singolo granello di quella sabbia in denaro! Dunque posseggo cumuli e cumuli di denaro, alti come montagne!!! Ah ah ah!!!… Così, io sono l’uomo più ricco del mondo, dell’universo!!!…».
Il suo uditorio era del tutto sgomento. I più se ne andavano ogni volta che la sua cantilena esaltata terminasse e prima che riprendesse, con in volto chiare espressioni di commiserazione o di disprezzo per quell’evidente follia manifesta; qualcuno restava a osservarlo, come per studiarne la figura e la presenza, o quasi si aspettasse da quel tale un qualche moto ancor più folle; un paio invero parevano esserne affascinati, ma probabilmente più per quanto asserito che per il personaggio in sé: poteva benissimo essere un pazzo, uno con parecchie rotelle fuori posto che farneticasse cose irrazionali… Però, se per assurdo – giusto per restare entro gli stessi termini del discorso – ciò che sosteneva fosse stato vero!… Trasformare la sabbia in denaro, ovvero diventare sterminatamente ricchi così facilmente!…
Quello strano tipo continuò per molti giorni consecutivi a scendere in città e parlare di quelle sue stramberie alla gente, quasi intuisse che pure le più evidenti assurdità, se continuamente e costantemente sostenute e – come sovente succede – risultando difficilmente contestabili se non scendendo al loro stesso livello di irrazionalità, cosa ostica per i più, avevano qualche probabilità di essere credute anche da altri – paradossalmente, dacché la loro stessa fonte le sapeva effettivamente assurde!
Poi qualcuno, ancora una volta tra i più curiosi, cercò di ricavare da quel tale qualcosa di più concreto circa le sue “verità”, e gli chiese di mostrare a essi e a chi d’altri lo volesse quella sua cava così preziosa. Egli non si scompose più tanto alla richiesta, e anzi sembrò farsi ancora più baldanzoso e spavaldo. Così, una mattina successiva, un piccolo gruppo di persone – una decina, o poco più – lo seguì fuori città, fino alla polverosa strada che portava oltre un breve ma fitto bosco alla sua baracca (che tuttavia egli si guardò bene dal presentare come la propria reale dimora), dietro la quale si apriva l’ampia depressione della cava abbandonata, ingombra di grandi cumuli di sabbia e circondata su tre lati dalle alte pareti del colle dalle quali quella sabbia era stata scavata ed estratta. I visitatori notarono che l’intero perimetro della cava era stato recintato, malamente da mano non esperta ma abbastanza da far che qualcuno – quel tizio, ovviamente – ne potesse rivendicare la proprietà e il divieto altrui d’accesso.
Di sabbia ce n’era in gran abbondanza, senza dubbio – notarono quelli, e certamente se lo strano tipo la sapeva veramente tramutare in denaro, c’era da credergli sul fatto che fosse così ricco, come nessun altro al mondo… E una tale ipotesi era profondamente suggestiva, affascinante fors’anche per il suo mistero, per la sua improbabilità, e per la relativa capacità di impressionare la mente dei più, come succede ogni qualvolta una domanda o un dubbio restino senza risposta o soluzione, permettendo in tal modo che anche la più strampalata ipotesi non possa per principio essere negata, e dunque possa essere sostenuta al pari o forse più di quelle più “ordinarie”…
Era inevitabile, così, che qualcuno cominciasse a credere a quel tale, che mettesse da parte nel proprio pensiero ogni razionalità al proposito per far posto a quella irrazionale nuova “verità”, e soprattutto a quanto essa permetteva di sperare – perché in fondo, chi ne veniva affascinato, era chi di quel tizio condivideva la situazione, probabilmente chi subiva gli stessi sentimenti verso il mondo d’intorno, chi invidiava e bramava la materia altrui anche per la propria esistenza, forse incapace di capire in quale altro modo poter conferire ad essa un qualche senso soddisfacente, una qualche considerabile importanza… Insomma, la cosa era fin troppo chiara, e chiaramente allettante: mutare la sabbia in denaro, come diceva di saper fare quel tipo, poterlo fare a propria volta… C’era altro da aggiungere?
Lo strano individuo già intuiva su di sé l’attenzione e l’ammirazione dei primi seguaci, i quali peraltro, venuti a conoscenza e consapevoli di cotanta strabiliante notizia, ovviamente avevano preso a trasmetterla anche ad altri, magari conservando ancora nella loro illustrazione dei fatti una certa dose di spontaneo umorismo e popolana faciloneria, ma d’altronde sapendo trasmetterne tutta la suggestiva eccezionalità e attrattiva. E il bello era – pensava tra sé ridendone compiaciuto – che non era nemmeno servito di mostrare una qualche somma di denaro, anche solo una qualche banconota, che poi egli nemmeno possedeva se non così di scarsa somma per farne motivo di dileggio, miserabile nelle sostanze com’era… Quella mezza mascalzonata che aveva escogitato – dacché, insomma, di ciò si trattava, una bella e buona panzana, una richiesta nemmeno così celata di farsi prendere per i fondelli da chi la ricevesse e vi desse credito… - stava funzionando oltre ogni sua più rosea previsione: ne era nell’intimo assai sorpreso ma parimenti anche fiero, e dalla considerazione ricevuta vi ricavava sempre più una certa orgogliosa esaltazione, che rendeva di contro sempre più flebile la concretezza dell’originaria, reale verità alla base di tutto, ovvero l’assurda panzana millantata della sabbia trasformata in denaro… Ma tant’era: la verità diviene tale non quando sia dimostrata ma quando sia creduta, soprattutto dal più ampio numero di soggetti possibile, e in effetti le due cose di rado coincidono…
Infatti la notizia dell’uomo più ricco del mondo dacché capace di mutare la semplice sabbia in denaro circolava sempre più, raggiungeva un sempre maggiore numero di persone, andava già oltre i confini della città, la eco popolare la portava fin nei più piccoli e isolati borghi sparsi per le campagne e le colline, dove sembrava di vivere un altro tempo rispetto all’animata e caotica città… Egli in questa continuava a scendere per annunciare la propria “verità”, e il piccolo e poco interessato crocchio dei primi giorni, che occupava un fazzoletto di piazza, era ora divenuto una buona moltitudine curiosa che spesso quella piazza colmava quasi del tutto. Addirittura il tale poteva godere di una sorta di proprio seguito fisso, con i primi suoi seguaci e con quelli che se ne facevano maggiormente suggestionare che invitavano i passanti ad approssimarsi, ad ascoltare, a credere, assicurando che loro avevano controllato e appurato, tutta la sabbia di quell’uomo l’avevano vista coi loro occhi, l’elemento prodigioso da cui egli ricavava la propria immensa ricchezza… Questi suoi ambasciatori, inoltre, contribuivano ad accrescerne rapidamente la notorietà, la fama, dunque un prestigio fascinoso che i più subivano più per crescente conformazione pubblica che per effettiva autorevolezza, ma per quell’uomo il risultato di ciò era comunque ammirazione, onore, riverenza.
In altre giornate, il pellegrinaggio si spostava alla “sua” cava e anche qui, dai primi pochi curiosi e/o diffidenti, già si era passati ai gruppi numerosi, che si fermavano stupiti di fronte al panorama della cava di sabbia, desolata e sterile, che tuttavia suscitava inopinatamente in essi espressioni di meraviglia, come se realmente quei disordinati, enormi cumuli sabbiosi fossero già composti da preziose monete auree… Lui, “l’uomo più ricco del mondo”, gonfiava il petto come un generale di fronte alla dimostrazione di potenza delle proprie truppe schierate prima di una battaglia decisiva, atteggiandosi volentieri a celebrità verso quelli che vi si avvicinavano per vederlo e conoscerlo, quasi per toccare – come fosse un idolo vivente – quel magico individuo. Aveva anche preso, giusto per ancor meglio rifinire la propria fulgente immagine, a dire che quella baracca fatiscente posta sul margine della cava – la sua vera casa, che si guardava bene dall’aprirla ai visitatori – non era che una costruzione di servizio alla stessa che egli avrebbe a breve magnanimamente sistemato e offerto a chiunque venisse in quel luogo e si volesse rifocillare, riposare o ripararsi dal sole più caldo…
Era, a tutti gli effetti, fremente d’una sorta di orgogliosa esaltazione; in sé l’originaria fandonia non era ormai che il piccolo nucleo di un’idea che si spandeva intorno come la pallina di un flipper, del tutto rivestita d’una dura crosta di suggestione, credulità e conformità che rendeva quel nucleo ormai impermeabile a qualsiasi possibile penetrazione della verità… E non poteva che essere così, quand’egli ebbe l’ennesima riprova di come la sua invenzione faceva presa sulle menti più incolte e meno aduse all’esercizio intellettuale e, paradossalmente, di come essa poteva addirittura diventare una realtà, in un certo senso: l’uomo stabilì un costo d’ingresso al perimetro della cava, esiguo abbastanza da non ingenerare scontento ma esteso a chiunque, e quella gente pagava! Pagava senza batter ciglio, talmente suggestionata da tutto quanto egli era riuscito a far credere e dunque senza rendersi conto, nemmeno lontanamente, che essa stessa compiva il prodigio, la trasformazione della sabbia in denaro, che l’uomo si stava ritrovando nelle tasche sempre più copiosamente!…
Ormai il volano degli eventi aveva acquisito una corsa e uno slancio irrefrenabili. La fama e il prestigio sociale di quell’uomo crescevano giorno dopo giorno – e, come sempre, senza che egli dovesse muovere un dito delle proprie mani, impegnate a contare i veri soldi elargitigli e dar motivo ai propri occhi e al proprio cuore di godere sommamente. In tanti si offrivano di divenire suoi collaboratori, suoi inservienti, o semplicemente di stargli vicino, forse sperando di subirne l’influenza al punto da poterlo almeno un poco emulare; moltissimi gli chiedevano consigli, suggerimenti, ammaestramenti, la sua immagine aveva ormai travalicato i confini (fasulli) entro cui era sorta per diventare luminosa anche dove ancor meno vi potesse essere il motivo affinché lo fosse; gli organi di informazione si interessavano a lui, ne parlavano diffusamente, gli dedicavano attenzioni sempre maggiori ed eclatanti; anche le autorità istituzionali, dovendo gioco forza prendere atto di quella presenza così acclamata dal pubblico, nonostante un iniziale scetticismo a volte anche ostile, incominciarono a riconoscerla, a dialogarvi insieme, a cercare il modo di instaurarvi un rapporto quanto più amichevole e vicendevolmente proficuo…
“L’uomo più ricco del mondo”, scaltramente, aveva ben compreso che in quella situazione di così ampia e diffusa riverenza, ogni sua parola poteva diventare, causare e ottenere qualsiasi cosa. Con una sfrontatezza adeguata al proprio agire, da miserrimo e pusillanime qual era fino a poco tempo addietro divenne veramente ricco e audace, ponendosi al centro di un circolo vorticoso nel quale gli orbitavano attorno le più diverse figure, tutte in qualche modo dipendenti da quel fulcro; accumulò denaro, rendite tra le più disparate e profitti dei più diversi, finanche possedimenti immobiliari anche donatigli da coloro i quali lo avevano eletto come guida, modello ed esempio delle loro vite, e dalle cui labbra pendevano quasi inebetiti, come se anche il più futile dei pensieri da egli espresso – che in bocca ad altri avrebbero causato derisioni e improperi – rappresentasse la soluzione per qualcuno dei loro sovente puerili e/o inesistenti problemi. Di contro egli rivendicava ovunque il possesso di altri giacimenti di sabbia simili al primo, che nel frattempo era divenuto una sorta di “santuario dei miracoli” con tanto di servizi per il flusso di visitatori che vi si recavano, e tutto quanto continuava ad aumentare la potenza suggestionante che era riuscito a generare attorno a sé.
Naturalmente, non tutti ritenevano di dover credere o prestare fiducia a quell’uomo, anche se è a rimarcare come l’incalzante corso degli eventi stringesse i dubbiosi, gli scettici e i razionalisti in un ambito sempre più ristretto e marginale, ponendoli al di fuori di un’opinione pubblica che ormai aveva stabilito quale fosse la “verità” su quell’uomo. Ma al mondo ogni cosa deve avere un senso – i pochi rilevavano, e la storia dell’uomo più ricco del mondo dacché capace di tramutare la sabbia in denaro di senso ne aveva ben poco, e quel poco pareva essere di segno piuttosto illusorio, dunque inconsistente, ovvero insensato… Eppure, al punto in cui si era giunti, chi osasse negare o anche mettere in dubbio la “verità” di quell’uomo già subiva le reprimende di tutti gli altri, le quali sovente, nelle discussioni più accalorate, giungevano all’offesa. Come poteva un singolo individuo sostenere che una “verità” fosse invero falsa, quando ve n’erano mille che la avallavano convintamente? E non serviva nemmeno più, a quei pochi diffidenti, la più chiara e lampante razionalità, il pensiero più logico e coerente, diversamente in grado, altrove, di smontare anche la più certa “credenza”: “nemici della verità” venivano addirittura definiti costoro, con un totale e paradossale ribaltamento dello stato dei fatti, che pareva sussistere definitivamente in una dimensione completamente diversa da quella usuale…
Egli, “l’uomo più ricco del mondo”, di questa nuova dimensione era, come già detto, il centro assoluto, ed in fondo la stessa non era che la riproposizione nell’ambito quotidiano di quanto era successo nella sua mente, i cui pensieri che un tempo svaporavano lenti in uno spazio svuotato dall’indigenza vitale, ora, di segno del tutto opposto, lo avevano trasformato, come cancellato e riscritto, quasi che la mente stessa fosse di un’altra persona e non del pover’uomo che viveva nella misera baracca accanto alla cava di sabbia abbandonata… Naturalmente egli, pur accecato massimamente da quella sua aura di gloria e grandezza, conservava nell’intimo l’effettiva verità delle cose, ma a solo beneficio del proprio inconscio originale, che non dialogava più con la mente, entrambi incapaci di parlare la stessa lingua…
La città nella quale, nei primi giorni, egli scendeva ad asserire la sua bizzarra “verità”, era ormai totalmente ai suoi piedi. Ovunque, tra le strade e i palazzi, spuntavano altissimi cumuli di sabbia, il simbolo della sua potenza e presenza, che la maggioranza osservava con sguardo di suprema reverenza, raggiungendo l’apice quando transitava davanti all’immenso, sontuoso palazzo nel quale ora abitava: un dono della società civile verso quel suo massimo rappresentante, lo sfarzoso centro dal quale la sua influenza si spandeva tutt’intorno. Il grande palazzo restava isolato dal resto della città dacché cinto su quasi tutto il perimetro da una altrettanto grande piazza, nella quale non passava ormai giorno che non vi si potessero trovare decine e decine di ambulanti che avevano intessuto un fitto commercio di souvenir, per tutti quelli che in città giungevano per visitarvi i segni della presenza del grande uomo: immagini d’ogni tipo e taglia, sacchettini di sabbia, cubi di vetro in cui piccoli specchi regalavano soprattutto ai bambini l’impressione che della semplice sabbia, se roteato il gioco, si trasformasse in una banconota, biografie, pubblicazioni d’ogni sorta e quant’altro che potesse rinnovare nuovamente – in buona sostanza – il prodigio della sabbia mutata in denaro, in tal caso a favore di tutti quei venditori… E a ben vedere, un’altra completa mutazione era avvenuta: il mercato “dei primi giorni” che snobbava quell’uomo che scendeva a raccontare del suo inaudito prodigio, ora era ormai diventato il mercato della sua glorificazione e mitizzazione, nel quale nulla vi era che non ne esaltasse la figura…
Egli a volte, e generalmente in giornate prestabilite, ostentando l’altezzosità di un sovrano assoluto scendeva a salutare la folla che costantemente stazionava davanti al suo palazzo, in certi casi mandandola in visibilio ovvero quando – con un’evidente e quasi pacchiana “magia” illusionistica – trasformava un piccolo cumulo di sabbia in un mazzetto di banconote; il tutto ora avveniva dietro la protezione di uno spesso vetro blindato che lo separava dalla folla – assolutamente necessario data la reale ricchezza che l’uomo aveva a tal punto accumulato e continuava ad accrescere, giorno dopo giorno – e con un piccolo esercito di guardie del corpo che guardavano a vista la moltitudine festante che ne decretava la grandezza ormai incontestabile: non solo la città era tutta ai suoi piedi, ma lo era anche, in ugual maniera, una buona parte del mondo d’intorno…
Il piccolo e pavido uomo stava vincendo la scommessa in cui s’era lanciato. Costante com’era nel suo essere pusillanime e povero di spirito, aveva sperimentato che la costanza vince l’ignoranza, e non solo la propria ma anche e soprattutto quella altrui, nel bene e nel male; in più, aveva anche comprovato che la verità è un elemento della realtà tanto essenziale quanto trascurato, dacché non esiste verità, anche la più palese e logica, se non sia creduta e tanto meglio dal maggior numero possibile di persone: e per paradosso, la verità più creduta, dunque più ritenuta tale quando invero non lo sia, vive e si rafforza meglio nell’ignoranza… Per tutto ciò, come poteva la massa negare la prima e più grande verità che quell’uomo aveva decretato? L’intero pianeta non è fatto di roccia? E la roccia, con assoluta facilità, non può essere trasformata in sabbia?
Così egli aveva mutato, in modo conclusivo, la realtà del mondo, facendo in modo che esso non potesse non soggiacere alla sua dominanza…
Ma la realtà è basata sul senso delle cose, altrimenti essa stessa e l’intero mondo non potrebbe esistere; e se il mondo continua ad esistere, è perché quel senso viene ancora percepito e compreso da qualcuno, da qualche parte: l’insensatezza è una epidemia possente, ma il restarne immune è ben più facile di quanto possa pensare lo spirito debole che ne viene passivamente contagiato…
Un giorno vi fu chi, senza andare direttamente contro l’uomo più ricco del mondo, la sua presenza, la sua influenza sociale assoluta, la sua potenza morale e materiale, non fece altro che segnalare una evidenza scientifica, perfettamente logica e lampante: tutta quella sabbia sparsa nel mondo – il simbolo onnipresente della sua presenza e potenza – avrebbe rapidamente desertificato il mondo stesso, reso sterile, arido, inospitale alla vita e alla sua quotidiana manifestazione! Fosse anche stata materia da tramutare in denaro, come egli asseriva, finché restava nella sua diffusissima forma originaria non poteva che causare gli effetti appena citati – e tale affermazione, a ben vedere, celava argutamente anche un’evidenza diretta ancor più grande, ovvero che mai nessuno, fino a quel punto, aveva visto la realizzazione di quanto egli andava affermando, la sabbia che si trasformasse in denaro – tutta quella sabbia…
Vi fu un’autentica sommossa popolare contro questi blasfemi “delatori”, accusati di voler corrompere la “verità”, di negare quanto tutti asserivano e accettavano; spesso, i più veementi difensori dello stato delle cose erano proprio quelli che dalla sabbia erano assediati, i cui cumuli enormi ombravano il paesaggio e nascondevano l’orizzonte delle loro case: coloro che non si curavano dell’oppressione e dall’affanno a cui venivano sottoposti dalle montagne sabbiose, ma viceversa ne rimanevano come estasiati, inebriati… Essi dichiaravano che quei delatori non avevano alcun diritto di parlare, di sostenere quelle loro fesserie, e se l’avessero fatto contro la pubblica volontà ne avrebbero sofferto le inevitabili conseguenze; ma invero non “sostenevano” nulla, i “delatori”, semmai riferivano semplicemente la realtà delle cose, la più manifesta obiettività, quanto i loro occhi vedevano, non quanto le menti credevano… Per l’appunto, essi non stavano dichiaratamente mettendo in discussione l’uomo più ricco del mondo e il “prodigio” alla base della sua ricchezza, ma segnalavano il dato più concreto e facilmente visibile che egli stava generando, e semmai discutevano la smarrita capacità di tanti di saperlo a loro volta cogliere ed elaborare…
Così, nonostante la possente avversione popolare, in forme sempre più diffusamente irose e scomposte, ogni giorno qualcuno in più si fermava un attimo a riflettere su quel dato di fatto, certamente ben più concreto e provato di ogni altro creduto, anche solo perché incapace di scansarne una così evidente obiettività: in tale situazione, solo il pensiero ormai spento e inerziale non andava oltre, affidandosi ancora alla più comoda e pronta “verità” diffusa, dacché anche la pur minima ponderazione del suddetto dato, se appena approfondita, inevitabilmente faceva di tanti di quelli che ne avevano intuito il valore dei nuovi scettici circa la verità dell’uomo più ricco del mondo…
Vi può essere chi sappia convincere le folle che il fuoco non bruci ma provochi solletico, e dunque vi saranno tanti, convinti di ciò, che si ustioneranno ridendo a crepapelle; ma se lo spirito vive in un corpo vivo, al primo minimo bruciore percepito il subitaneo dolore s’accompagnerà all’altrettanto istantaneo dubbio, su quella verità imposta e creduta…
Se ogni nuovo giorno contava nuovi sospettosi che, passando accanto agli immensi cumuli di sabbia, percepivano soltanto la pesantezza e la insalubrità dell’aria polverosa attorno, i sostenitori dell’uomo più ricco del mondo lo difendevano con crescente veemenza, quasi che il loro comportamento così collerico si generasse direttamente dalla debolezza della verità preservata, inconsciamente riconosciuta ma superficialmente negata e naturalmente ritenuta all’estremo opposto. Da par suo, l’uomo più ricco del mondo – forte dell’appoggio dei rappresentanti dei più vari poteri e acclamato dalle folle ancora numerose – tuonava dal suo palazzo la propria verità, sosteneva che la sua presenza aveva diffuso benessere anche agli altri, diffidava i delatori dal dichiarare che la sabbia soffocava il mondo dacché ne rappresentava la primaria ricchezza, e infondeva speranza a chi la potesse scorgere nel proprio sguardo… Gli scettici rispondevano che tutto quanto poteva essere vero, anzi era sicuramente vero, e dunque, se questa era la “verità”, sarebbe stato assolutamente semplice dimostrarla… Per di più, uno solo di quei giganteschi cumuli di sabbia tramutati in denaro, quanta gente bisognosa avrebbe potuto facilmente aiutare? Se il mondo, sovente così duro per tanta gente, aveva a portata di mano la soluzione per molti dei suoi “mali”, almeno dal punto di vista finanziario, perché non realizzarla subito?…
Ogni giorno, come detto, il numero degli scettici e dei raziocinanti aumentava, alcuni di questi manifestavano l’intenzione di allontanare il proprio domicilio il più possibile dagli enormi cumuli di sabbia, di tornare a vedere un orizzonte meno conforme; dall’altra parte, non mancavano episodi di fanatismo, di gente talmente infatuata dalla verità della sabbia tramutata in denaro che nelle stessa vi si tuffava come già in un mare di monete preziose, rischiando in breve di soffocare, e in ogni caso gli “adepti” dell’uomo più ricco del mondo, nonostante le defezioni, restavano in gran numero a formare la maggioranza, dunque a determinare ancora la “verità”
diffusa e approvata. Possibilità di dialogo sembravano non sorgere, e non tanto perché le due posizioni fossero così distanti e inconciliabili, quanto più perché l’una minava troppo pericolosamente gli interessi dell’altra: e l’opportunità di godere di un interesse proficuo precostituito rende nulla qualsiasi eventuale e pur nobilissima filantropia, quando altre opportunità la possano profilare all’orizzonte… Così – la storia umana insegna – pochi passi separano un possibile dialogo da un probabile scontro…
Ma il mondo gira, così si dice… E chissà che fu così girando, e in qualche particolare modo sul quale l’uomo ancora non possa imporre il proprio arbitrio, che venne un tempo nel quale per giorni e giorni e giorni, intere lunghe settimane, in quasi ogni ora del giorno e della notte, non fece altro che piovere… Spesso intensamente, a volte con violenti temporali, più raramente con pioggia fine e leggera, pareva che il mondo avesse raggiunta una zona dell’universo nel quale non solo la presenza del Sole era bandita, ma che fosse pure allagata o sommersa in un inopinato oceano cosmico… Naturalmente la vita continuava, in fondo non vi era nulla di così eccezionale in una fenomenologia meteorologica del genere, sicuramente piuttosto rara ma non inammissibile; la vita continuava, appunto, la gente sciamava nelle strade e nelle vie delle città per le proprie solite attività quotidiane, lavorative, pratiche, ludiche… Nessuno vi faceva caso, lo stava ancora notando, nessuno che ne cogliesse il dato premonitore, di quelle lunghe linee scure che i rigagnoli d’acqua formavano sui giganteschi cumuli di sabbia sparsi ovunque, dal vertice allargandosi e ingrossandosi scendendo verso la base, che ne incidevano i fianchi ora dopo ora sempre più, e più profondamente. Nessuno vi prestava attenzione, e considerava che, anche quando le precipitazioni diminuivano temporaneamente d’intensità, quei rigagnoli non perdevano consistenza se non impercettibilmente, quindi aumentando ancor più quando la pioggia tornava a cadere con particolare veemenza. Sembrava che tutti, pur nell’alzare lo sguardo verso i grandi cumuli sabbiosi, ne vedessero e percepissero soltanto la forma, l’iconografia, il simbolismo, e non più la concreta sostanza; avendone ormai assimilato totalmente e, in un certo senso, ineluttabilmente la presenza, non ne coglievano più l’essenza specifica. Anche per questo, gli stessi che qualche tempo addietro avevano preso a raziocinare sui cumuli di sabbia – e indirettamente, come detto, su quanto rappresentavano – che ora cominciavano anche a osservare con un poco più di interesse (e relativo timore) quanto stava accadendo agli stessi, non venivano ascoltati se manifestavano qualcosa di quella osservazione… La pioggia battente aveva fossilizzato il confronto, come se il cielo cupo di quella meteo bizzarra non concedesse a chi lo volesse di aprirsi nuovamente al dibattito, in attesa – come si dice in certi simili casi, e qui con pertinenza – di tempi migliori…
I primi, piccoli smottamenti scivolarono dai fianchi dei grandi cumuli silenziosi e quasi pittoreschi, nella loro innocuità: chi li notava pareva quasi sorriderne, e non cogliere per nulla l’insito segnale d’allarme, intendendoli come strane manifestazioni di forza vitale dei cumuli… Poi, dopo 48 ore di precipitazioni particolarmente forti e costanti nel vigore temporalesco, una notte nella periferia della città un grande cumulo franò per sua buona parte su un gruppo di opifici fortunatamente chiusi, danneggiandone le strutture. Il fragore provocato dall’accidente, e il trambusto degli uomini della sicurezza pubblica che si recavano verso la zona, attirò molti curiosi fuori dalle case adiacenti la stessa; in tutti, nonostante la suggestione generata dall’evento, vi era grande sollievo per il danno relativamente esiguo: le strutture si sarebbero potute rapidamente sistemare, la zona poteva essere resa nuovamente agibile in breve tempo – forse perché tutti se ne restavano acquattati sotto i propri ombrelli rigorosamente aperti per difendersi da quella pioggia battente, nessuno sembrava alzare lo sguardo verso la massa sabbiosa franata e ancora incombente, tetra sullo sfondo oscuro del cielo notturno ingombro di nubi come se potesse giungere nella sua profondità spaziale…
Ma anche quella selva di ombrelli illuminata dalle luci dei soccorritori si scosse violentemente al giungere di uno spostamento d’aria così possente da raggelare i presenti e suscitare in mente all’istante indistinte ma vivide immagini di terrore: solo pochi minuti erano passati, e a poca distanza un altro enorme e “venerato” cumulo di sabbia franò rovinosamente, questa volta, purtroppo, su un quartiere di abitazioni civili… Poi un terzo smottamento, ancora una volta su un piccolo gruppo di palazzine popolari appena fuori il centro della città…
Sembrava che il mondo si volesse scrollare di dosso, con la sua pioggia battente come arma efficace, quei giganteschi cumuli di sabbia disseminati ovunque, liberandone la potenziale letalità contro l’umanità istupidita che ne aveva invece irrazionalmente decretato la prodigiosa preziosità, fino a venerarne l’ammorbante presenza – come se il mondo avesse capito ciò che gli uomini non avevano compreso, o avevano distorto… L’ignoranza dona sempre il danno a colui che la coltiva mentre rende ricco quello che slealmente la sfrutta…
Tuttavia qualcuno – pochi invero, ma almeno qualcuno sì… – per le vie della città destatasi in quell’assurda dimensione di paura, si faceva largo tra la folla sgomenta e nel trambusto generale giungeva sulla grande piazza antistante il maestoso palazzo in cui viveva colui che diceva di essere l’uomo più ricco del mondo, impiantandosi davanti all’altissima cancellata con fare minaccioso, come in un’attesa infradiciata dalla pioggia incessante di vedere se quello, prima o poi, avesse il coraggio di uscire e dire qualcosa in merito… Il palazzo sembrava inanimato, così grigio, uniforme nella sua mastodontica mole, cupo come il cielo oscuro e come i grandi cumuli di sabbia, quasi che fosse fatto dello stesso materiale…