di Lorenzo Galoppini
Come vadano le cose in Italia in materia di ricerca scientifica e relativi finanziamenti più o meno lo sappiamo tutti. Oltre alle ingerenze clericali - scusate, volevo dire: le legittime espressioni di pareri da parte della Chiesa -, la cronica scarsità di fondi costringe molti ricercatori a emigrare all’estero per poter lavorare: la ben nota “fuga dei cervelli”, che è diventata una delle tante frasi fatte nel gergo giornalistico. Quello che però nessuno sembra aver compreso veramente fino in fondo è la fondamentale importanza, assai più di quella che pare essere l’opinione diffusa, che questo settore riveste per la nostra vita e per il futuro nostro e del pianeta su cui viviamo. Il progresso della scienza dipende strettamente dalle risorse che vi vengono investite: se scienziati e ricercatori disponessero di finanziamenti molto maggiori, le ricerche progredirebbero più velocemente e si farebbe prima a trovare una cura a malattie oggi incurabili e assai temute come cancro, Aids, morbo di Alzheimer e molte altre. Lo stesso discorso vale per lo sviluppo tecnologico e, in generale, per ogni invenzione o scoperta che potrebbe risolvere molti problemi dell’uomo e cambiarci la vita. Se ne deduce quindi facilmente l’importanza vitale e l’estrema convenienza di investire di più, molto di più, nella ricerca scientifica, per il bene di tutti. Inoltre, secondo quanto affermò anni fa Piero Angela in una puntata di Superquark, è dimostrato che i Paesi che investono maggiormente nella ricerca scientifica hanno una situazione economica migliore (così come quelli più progrediti e all’avanguardia nei diritti civili, guarda un po’…).
Con questo non voglio dire che la scienza sia tutta una mera questione economica. Il progresso scientifico ha comunque i suoi tempi. Ma non sarebbe certo un male se questi tempi, qualsiasi essi siano, anche secoli, si potessero ragionevolmente accorciare, specialmente nel campo della medicina, che naturalmente è quello che ha la priorità assoluta. Da anni ormai non passa settimana senza che tv, quotidiani e riviste specializzate - e non - riportino notizie più o meno attendibili su importanti passi avanti nella lotta contro gravi malattie, riguardo alla scoperta di quella tale proteina, quel certo gene, quella molecola o quell’enzima che sembrano essersi rivelati efficaci nelle sperimentazioni sui topi contro una determinata patologia. Le cellule staminali paiono essere la fonte più preziosa e promettente e hanno già dato importanti risultati, anche se finora solo parziali. Ma gli entusiasmi vengono regolarmente raffreddati quando, secondo un copione fisso e immutabile, subito dopo ci viene detto che «tuttavia occorreranno ancora molti anni, forse decenni, prima della sperimentazione sull’uomo» e «prima di arrivare a un farmaco». Ci vuol poco a capire che quanto prima si riuscisse a debellare una malattia, tante più vite umane verrebbero salvate. Purtroppo in Italia non sembra esserci la mentalità giusta in questo senso. Non ricordo di nessun governo, presente o passato, che abbia incrementato in modo significativo i fondi per la ricerca; semmai il contrario. Talvolta alcune personalità di rilievo del mondo scientifico si sono battute per la ricerca nel nostro Paese: quella che si è più distinta in questo senso mi pare sia il premio Nobel Rita Levi Montalcini, di cui sono noti i periodici interventi a favore della ricerca e sulla sua importanza, e contro le condizioni deplorevoli che inducono molti giovani scienziati alla fuga all’estero. È di pochi giorni fa la notizia che la senatrice a vita è riuscita a ottenere dal governo un finanziamento di circa 200 milioni in tre anni all’Università e alla Ricerca, minacciando di non votare la Legge Finanziaria in Parlamento qualora non fosse stato ritirato l’emendamento che prevedeva, tanto per cambiare, ulteriori tagli alle istituzioni universitarie. Dati il prestigio e lo spessore del personaggio e la sua rilevanza, l’esecutivo ha preferito cedere per evitare rischi di crisi nella maggioranza, e ha concesso dei fondi aggiuntivi con cui assumere personale, assicurare la ricerca e mettere un freno alla “fuga dei cervelli”. Non è molto, certo, ma sempre meglio di niente.
Ma i destini della scienza non possono riposare unicamente sulle spalle della minuta ma combattiva scienziata, peraltro penalizzata per il futuro dall’età avanzata, alla quale auguro di poter continuare a far sentire la propria autorevole voce finché ne avrà la possibilità.
Di qui l’importanza di far sorgere e attecchire nel nostro Paese una vera e propria cultura e un movimento d’opinione a sostegno della ricerca scientifica e dei suoi finanziamenti per arrivare a sconfiggere il prima possibile le malattie mortali, allungare la vita umana e la giovinezza e ridare sollievo a un’umanità sofferente. Negli ultimi anni sono sorti molti movimenti e organizzazioni in seno alla società civile (anche se in verità attualmente paiono un po’ spenti). Sarebbe bene che qualcuno di essi si occupasse anche di questo importantissimo settore, con l’auspicio di far partire dal basso una vera e propria “riscossa” che metta la scienza al centro dei programmi politici insieme ad altre questioni fondamentali come la disoccupazione o la crisi economica. È necessaria una decisa e costante opera di informazione, educazione e sensibilizzazione (le parole chiave per risolvere ogni problema, almeno a mio parere) da parte di tutte le istituzioni più importanti (scuola in primis). È nell’interesse di tutti. Nessuno escluso.