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- Intolerance (id., USA 1916) di David Wark Griffith, con Constance Talmadge, Elmer Crifton, Alfred Paget, Howard Gaye, Lillian Langdon, Olga Grey, Josephine Crowell, Margery Wilson, Spottiswoode Aiken, Mae Marsh, Fred Turner, Robert Harron.
- Un classico del muto, imperniato non tanto sull’intolleranza vista in vari contesti storici (tenue filo tematico che unisce i 4 episodi di cui è composto il film), ma quanto sulla lotta per la vita in varie epoche ed ambienti (infatti, uno dei sottotitoli del film è proprio Love’s Struggle Through The Ages).
- Entr’Acte (id., Francia 1924) di René Clair, con Jean Borlin, Francis Picabia, Man Ray, Marcel Duchamp, Erik Satie, Georges Auric, Marcel Achard.
- Da citare soprattutto per la sequenza finale: uno dei funerali più irriverenti della storia del cinema.
- L’età dell’oro (L’âge d’or, Francia 1930) di Luis Buñuel, con Gaston Modot, Lya Lys, Caridad de Labardesque, Pierre Prévert, Max Ernst, Germaine Noizet.
- Film surrealista (il 2° di Buñuel dopo Un chien andalou) di complessa interpretazione. Questo piccolo capolavoro lungo soltanto 60 minuti inizia come se fosse un documentario sugli scorpioni, e prosegue con una serie di episodi e personaggi eterogenei (c’è pure il marchese De Sade…). In definitiva, si tratta di una critica feroce all’ipocrisia borghese e, in particolare, alla religione e al clero.
- La donna del miracolo (The Miracle Woman, USA 1931) di Frank Capra, con Barbara Stanwyck, Sam Hardy, David Manners, Beryl Mercer.
- Storia di una predicatrice di una setta evangelista (Barbara Stanwyck) che diventerà un idolo delle folle, mischiando affari e Bibbia. Finché incontrerà un aviatore cieco, che la metterà in crisi. Ispirato alla carriera di Aimée Semple MacPherson (1890-1944), fondatrice dell’International Church of the Foursquare Gospel, è un dramma sul fanatismo religioso e la religione intesa come spettacolo.
- Giovanna d’Arco (Das Mächden Johanna, Germania 1935) di Gustav Ucicky, con Angela Salloker, Gustav Gründgens, Heinrich George, René Deltgen, Erich Ponto, Willy Birgel.
- Non è un gran film (oltretutto propagandistico, in chiave anti-britannica), ma lo segnalo comunque come semplice curiosità, perché fra le numerose versioni delle gesta della «pulzella d’Orleans», è una di quelle del tutto prive d’elementi religiosi o soprannaturali. Infatti, in Italia le Segnalazioni del Centro Cattolico Cinematografico lo sconsigliarono decisamente, commentando: «Tutta la trama è impostata su un principio anticattolico e blasfemo che misconosce ogni elemento soprannaturale» (sic!).
- Narciso nero (Black Narcissus, GB 1947) di Michael Powell & Emeric Pressburger, con Deborah Kerr, David Farrar, Jean Simmons, Sabù, Flora Robson, Kathleen Byron.
- Liberamente tratto dal romanzo Black Narcissus (1939) della scrittrice britannica Rumer Godden (1907-1998), è la storia di un fallimento: quello di un gruppo di suore che, fondato un centro missionario in Himalaya, vedono pian piano vacillare le loro sicurezze colonial-evangelizzatrici e, anche in seguito a una disgrazia (una delle religiose muore nel tentativo di uccidere la madre superiora), chiudono la missione e tornano «sconfitte» a Calcutta. La contrapposizione fra l’arroganza delle religiose e la pagana spontaneità dei nativi, fra la repressione sessuale autoimpostisi dalle suore e la sensualità invece «naturale», libera da condizionamenti legati al concetto di peccato, di Kanchi e del giovane generale, sono evidenziate dai due registi facendo agire i personaggi in un’atmosfera pesante, torrida, visi imperlati di sudore, inquadrature studiatissime e splendidamente fotografate. Alla fine è l’ambiente ostile a vincere (i monti maestosi, il clima: quindi la Natura, incontaminata, non «convertita», né addomesticata…).
- Nel ruolo della maliziosa Kanchi, paragonata nel libro della Godden a un «paniere di frutta dolce, deliziosa, pronta da mangiare», vera e propria personificazione della sensualità liberata, amorale ma «innocente» (un po’ come certe eroine che, anni dopo e ad altre latitudini, il bahiano Jorge Amado descriverà nei suoi romanzi), troviamo una quasi esordiente Jean Simmons (17 anni all’epoca delle riprese), il cui viso e la cui pelle venivano scurite in sedute di trucco della durata di 90 minuti cadauna!
- Un capolavoro misconosciuto, da rivalutare e conservare gelosamente in videoteca. Fra l’altro può vantare una delle più belle e suggestive fotografie a colori dell’intera storia del cinema.
- Il principe ribelle (Italia 1947) di Pino Mercanti, con Massimo Serato, Mariella Lotti, Otello Toso, Mario Ferrari, Giovanni Grasso, Paolo Stoppa, Umberto Spadaro, Giovanni Onorato, Arturo Dominici.
- Sicilia, XVIII secolo, sotto il dominio asburgico. Il buon principe Francesco di Sant’Agata si schiera con i popolani ribelli ma il Vicerè lo fa catturare e induce l’arcivescovo a scomunicarlo e a condannarlo al rogo. Ovvero: la Chiesa siciliana alleata con gli oppressori contro gli oppressi (come del resto accadeva, oh se accadeva, nella realtà storica…!). Per l’evidente vena anticlericale, questo modesto cappa & spada fu classificato dalle solite Segnalazioni del Centro Cattolico Cinematografico come «escluso a tutti».
- Nazarin (id., Messico 1958) di Luis Buñuel, con Francisco Rabal, Marga López, Rita Macedo, Jesús Fernández, Ignacio Lopez Tarso, Ofelia Guilmáin, Luis Aceves Castañeda, Rosenda Monteros, Noé Murayama, Manuel Arvide, Antonio Bravo, Aurora Molina.
- Primi del 1900, nel Messico feudale del dittatore Porfirio Diaz (1830-1915). Nazarin (Francisco Rabal) è un giovane sacerdote che vive in povertà, praticando stoicamente i dettami del vangelo. Le virtù che persegue, tuttavia, si rivoltano contro se stesso e contro il suo prossimo.
- Tratto dal romanzo omonimo (1895) di Benito Pérez Galdós, questo film di Buñuel unisce in parallelo la vicenda di Gesù Cristo ai temi del Don Chisciotte, per giungere a dimostrare che, anche se applicato con eroismo, il cristianesimo non è in grado di cambiare il mondo. Come scrive il critico Octavio Paz: «[Nazarin capisce che] tanto la sua “bontà” quanto la “malvagità” di uno dei suoi compagni di pena, assassino e ladro di chiese, sono ugualmente inutili in un mondo che venera come valore supremo l’utilità». Bella la fotografia in bianco e nero del grande Gabriel Figueroa.
- Il moralista (Italia 1959) di Giorgio Bianchi, con Alberto Sordi, Vittorio De Sica, Franca Valeri, Gina Mattarolo, Franco Fabrizi, Maria Perschy, Mara Berni, Christiane Nielsen, Carl Very, Piera Arico, Mimo Billi, Leopoldo Trieste.
- Agostino (Alberto Sordi), segretario della succursale italiana de l’Organizzazione Internazionale della Morale Pubblica, è, almeno in apparenza, un burocrate bigotto, ben visto dal presidente di tale organizzazione (Vittorio De Sica) che lo vorrebbe come genero, facendogli sposare la racchia figlia Virginia (Franca Valeri). Agostino, però, si rivelerà ben presto un fasullo dalla doppia vita (gestisce, insieme alla complice Eleonora (Gina Mattarolo), numerosi night-club, locali di strip-tease, casinò, e via peggiorando). Il bersaglio principale del film è ovviamente la censura democristiana che imperava negli anni ’50. La satira non sempre raggiunge il suo bersaglio, ma nel complesso la commedia è divertente e merita un posticino nella nostra videoteca (inoltre, il personaggio tratteggiato da Alberto Sordi è assolutamente “da antologia”).
- Per anni è andata in onda sulle reti Fininvest (ora Mediaset) una versione del film abbondantemente mutilata (ironia della sorte: un film sulla censura a sua volta censurato!). Solo di recente RAI 2 ha trasmesso un paio di volte una nuova copia, che finalmente include le sequenze a suo tempo mancanti. Fra queste ultime vanno citate: un’estemporanea scena in cui Agostino risponde esattamente a due domande sui papi Bonifacio VIII, Anacleto I e Anacleto II, poste in televisione durante Lascia o raddoppia?; e una successiva nella quale appare brevemente Lidia Simoneschi nel ruolo della madre della starlette Vera Serni (Mara Berni): una figura di madre invadente (che gli sceneggiatori del film devono senz’altro aver incontrato più volte nella vita reale…) la quale per favorire il successo della figlia avvenente sarebbe disposta a spingerla fra le braccia (meglio: nel letto) di qualche anziano ma ricco «mecenate». Madri tutt’oggi molto presenti (si vedano i numerosi concorsi di Miss «qualcosa» e simili) ma che per molto tempo il perbenismo borghese imponeva di ignorare. Fin troppo evidenti i motivi per l’eliminazione delle due sequenze citate da alcune copie del film…
- Caldamente raccomandato a coloro che pensano (giustamente) che spesso chi sta al potere finge ipocritamente di seguire le regole che impone al popolino, aiutato in ciò dalla religione-oppio-dei-popoli, e invece, nel suo privato, protetto dal potere e dal capitale, le trasgredisce allegramente, comportandosi se possibile in modi ancor più turpi. Da segnalare infine la simpatica canzoncina di Fred Buscaglione, che dice così: «Se ti parlo d’ideali, se ti parlo di virtù — non mi credere: sono frottole, parole, e nulla più. Non ti fidare di me, perché perché, t’ingannerò. Moralista: mi sa dire la morale che cos’è…? È una favola, per i semplici, ma non è fatta per me…».
- Devi [La dea] (Devi, India 1960) di Satyajit Ray, con Chhabi Biswas, Sumitra Jatterjee, Sharmila Tagore, Purnendu Mukherjee, Karuna Bannerjee, Arpan Chowdhury, Kali Sarkar.
- Un anziano proprietario terriero si convince che la nuora sia la reincarnazione della dea Kali e così le fa tributare onori adeguati. Il figlio dell’uomo cerca inutilmente di fargli capire l’assurdità della cosa. Un auspicato miracolo non si verifica ed allora la «dea» perde la ragione. Ispirato a un racconto dello scrittore indiano Rabindranath Tagore (1861-1941), il film tratta, con stile sorvegliato e sobrio, della contrapposizione tra fede superstiziosa e razionalismo.
- …e l’uomo creò Satana (Inherit The Wind, USA 1960) di Stanley Kramer, con Spencer Tracy, Fredric March, Gene Kelly, Florence Eldridge, Dick York, Harry Morgan, Claude Akins, Elliott Reid, Donna Anderson, Jimmy Boyd.
- USA, 1925. In un piccolo villaggio il pastore, d’accordo con i maggiorenti locali, denuncia l’insegnante Bertram T. Cates (Dick York) perché illustra ai suoi allievi le teorie darwiniste sull’evoluzione della specie. In tribunale si scontreranno l’avvocato difensore Henry Drummond (Spencer Tracy) e il pubblico ministero Matthew Harrison Brady (Fredric March). Interessante e ben recitato dramma giudiziario tratto da un testo teatrale famoso, Inherit The Wind di Jerome Lawrence e Robert E. Lee.
- La stessa storia ha dato (finora) origine a tre tv-movie: uno nel 1965 (con Melvyn Douglas e Ed Begley), uno nel 1988 (con Kirk Douglas e Jason Robards) e l’ultimo nel 1999 (con Jack Lemmon e George C. Scott).