Firenze: Forum nazionale contro la mafia

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Martedì 23 Ottobre

Ore 15:00 > Le stragi e i traffici di armi e rifiuti

5 novembre 1992 – Firenze, Giardino di Boboli. Un sacchetto di plastica da immondizia contenente un proiettile di artiglieria viene fatto rinvenire ai piedi della statua del magistrato romano Marcus Cautius; a posizionarlo, secondo quanto appurato nei processi fiorentini sulle stragi del 1993, furono alcuni boss di Cosa Nostra provenienti da Catania.
14 maggio 1993 – Roma, via Fauro. Fallisce un attentato nei confronti di Maurizio Costanzo.
15 maggio 1993 – Roma, Ministero della Giustizia. Circa 150 mafiosi sottoposti a 41-bis vengono passati a carcere ordinario.
27 maggio 1993 – Firenze, via dei Georgofili: un’autobomba con quasi duecento chili di tritolo distrugge il centro storico fiorentino; muoiono 5 persone ed una quarantina rimangono gravemente ferite. A posizionare l’autobomba furono Spatuzza e i corleonesi del quartiere Brancaccio di Palermo controllato dalla famiglia Graviano.
L’episodio del proiettile di Boboli, a pochi mesi dalle stragi di Capaci e Via d’Amelio, costituisce un inquietante messaggio rivolto alla magistratura?
Un fatto centrale della trattativa Stato-mafia?
C’era qualcosa sul piatto della bilancia che non fosse soltanto il papello di Riina sul 41-bis e gli altri 11 punti?
A pochi mesi dall’arresto del capo-mafia di Barcellona Pozzo di Gotto Rosario Cattafi, a lungo indagato per traffico di armi, un incontro per fare luce sulle vicende dei traffici di armi e rifiuti e il legame di queste con le stragi dei primi anni Novanta.

Ne parliamo con:

* LUIGI GRIMALDI – Giornalista e Scrittore

* LUCIANO SCALETTARI – Giornalista e Scrittore

* FABIO REPICI – Avvocato Penalista

* GIOVANNA MAGGIANI CHELLI – Associazione tra i Familiari della Strage di Via de’ Georgofili

Mercoledì 24 Ottobre

Ore 09:30 > Grandi Opere Inutili

La corruzione nel campo delle grandi opere pubbliche non è presente solo nelle aree a tradizionale presenza mafiosa, ma è un’epidemia che dilaga nell’intero Paese. La presenza mafiosa negli appalti pubblici è frutto della duratura relazione fra mafia e politica; è il prezzo che quest’ultima paga per i favori ottenuti, una contropartita che va dalla monopolizzazione dei lavori di subappalto, alla imposizione delle forniture, alla segnalazione di persone di fiducia da assumere.
L’interesse dei gruppi malavitosi per gli appalti deriva sia dalla dimensione economica dei lavori e dal bisogno di riciclare denaro nero, sia dal desiderio di rafforzare il controllo sulla rete di relazioni sociali locali.
Un esempio attuale del sistema descritto è la “perversa catena”  di appalti e subappalti che ha permesso di costruire e permetterà di ingrandire la grande opera della Alta Velocità (TAV): il committente pubblico affida la progettazione, la gestione e la costruzione ad una società di diritto privato, ma con capitale pubblico gestito secondo il pericoloso metodo del project financing, lasciando libero spazio alle infiltrazioni criminali alle quali viene dato in subappalto ogni aspetto dell’opera secondo un sistema che prima consegna i soldi alle imprese e poi chiede ai cittadini di pagare anche gli eventuali debiti lasciati da queste.
Una politica per le infrastrutture fallimentare, che arriva a tagliare perfino sui costi della sicurezza, con conseguenze tragiche come dimostrato dalla strage di Viareggio di 3 anni fa.
In questa plenaria analizzeremo con esperti del settore la realtà sopra descritta per mettere in discussione il sistema imprenditoriale italiano e ricercare un metodo capace di spezzare questa “catena”.

Ne parliamo con:

* FERDINANDO IMPOSIMATO – Presidente Onorario della Suprema Corte di Cassazione

* IVAN CICCONI – Ingegnere ed Esperto di Appalti Pubblici

TIZIANO CARDOSI – Comitato No Tunnel Tav di Firenze

* RICCARDO ANTONINI – Assemblea 29 Giugno

* MARIO VENDITTI – Sostituto Procuratore di Milano

Ore 17:00 (Facoltà di Lettere e Filosofia, Piazza Brunelleschi) > Reading NOTTURNO 2 con WU MING 2 + Aperitivo della Cooperativa Lavoro e Non Solo con prodotti delle terre confiscate

Giovedì 25 Ottobre

Ore 10:30 > A vent’anni dalle stragi

Una trattativa indubbiamente ci fu e venne, quantomeno inizialmente, impostata su un do ut des” e “l’iniziativa fu assunta da rappresentanti delle istituzioni e non dagli uomini di mafia“. Così recita la recente sentenza di condanna in primo grado del boss Francesco Tagliavia, processato a Firenze per le stragi del 1993.

A venti anni dalle stragi di Capaci e Via d’Amelio e in vista del ventesimo anniversario della strage di via dei Georgofili, in un periodo estremamente delicato caratterizzato dall’avvicinarsi del processo palermitano sulla trattativa Stato-mafia (29 ottobre prossimo), torniamo a riflettere sui fatti che hanno sconvolto l’Italia dei primi anni Novanta.
Lo facciamo perché sicuri che non siano state solo stragi di mafia, e con la convinzione che un processo volto a chiarire le responsabilità esterne a Cosa Nostra sia necessario per arrivare alla verità completa, anche qualora questa dovesse risultare estremamente scomoda.

Ne parliamo con:

ANTONIO INGROIA - Procuratore Aggiunto di Palermo

SALVATORE BORSELLINO - Movimento Agende Rosse

GIOVANNA MAGGIANI CHELLI - Associazione tra i Familiari della Strage di Via de’ Georgofili

DANILO AMMANNATO - Avvocato Penalista

Ore 15:00 > Ai confini della mafia

Spesso facciamo presto a dire ”mafia”. In origine per “mafia” si intendeva Cosa Nostra, quell’organizzazione di potere – non solo criminale – radicata in Sicilia ma con interessi internazionali, con tante adesioni all’esterno ma un’architettura e un’organizzazione rigidissime e quasi impenetrabili, dalle caratteristiche emblematiche ma talvolta sensibilmente diverse dalle altre “mafie”, come la ‘Ndrangheta, la Camorra, la Sacra Corona Unita. Ci chiederemo in questa plenaria, però, se facciamo anche l’errore opposto: si fa tardi a dire ”mafia”? Prima di tutto perché la mafia EVOLVE, e se non fosse in grado di mutare al passo con i tempi avrebbe già trovato tempo or sono la sua fine. I tempi sono cambiati molto più velocemente dello stereotipo: LA MAFIA NON È PIÙ COPPOLA E LUPARA. Ha subìto in tutti questi anni una trasformazione dettata dall’evoluzione del sistema, che a poco a poco si confacesse agli scopi di accumulo di potere, danaro, “prestigio” e consensi tra la popolazione. Le cerchie mafiose sono sempre più ampie e meno chiuse, sempre più giovani brillantiprofessionisti capaci e perfino “servitori dello Stato”, per facili vantaggi o addirittura per quieto vivere, si piegano alle volontà criminaliSenza queste solide referenze, competenze, infiltrazioni nel tessuto sociale la mafia non potrebbe sopravvivere. Esistono inoltre delle organizzazioni di potere che non condividono tutte le caratteristiche di una “mafia”, ma certamente sonomolto simili in molti aspetti: organizzazione, finalità, impatto sociale, “culturale”, influenza su colletti bianchi e politica, etc. Ci chiederemo se è possibile – e oltre che grado di similitudine - chiamare “mafie” queste altre organizzazioni; ci chiederemo quanto un’associazione a delinquere si avvicini allo stampo mafioso.

Ne parliamo con:

ROCCO SCIARRONE - Professore di Sociologia, Università di Torino

GIANLUIGI NUZZI - Giornalista e Scrittore

SEBASTIANO CANNETTA - Giornalista e Scrittore

ERNESTO MILANESI - Giornalista e Scrittore

* GIOVANNI MAINETTO – Unione Atei e Agnostici Razionalisti

Ore 21:30 > CONCERTO LIVE DI TALCO + IVANOSKA

Mar, 23/10/2012 - 15:00-Gio, 25/10/2012 - 21:00
Polo di Novoli, nell’edificio D6 Firenze , FI
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Firenze IT