Roma, 16 dicembre 2014
Gentili rappresentanti dell’Unione delle Comunità Islamiche d’Italia (Ucoii), della Comunità Religiosa Islamica (Coreis), dell’Associazione Musulmani Italiani (Ami) e della Lega Musulmana Mondiale,
Vi scriviamo perché siamo seriamente preoccupati della sorte di tanti atei che, nel mondo, rischiano la vita soltanto in quanto atei. Non dovrebbe accadere. L’articolo 18 della Dichiarazione Universale dei Diritti dell’Uomo stabilisce che “ogni persona ha diritto alla libertà di pensiero, di coscienza e di religione; tale diritto include la libertà di cambiare religione o credo, così come la libertà di manifestare la propria religione o il proprio credo individualmente o collettivamente, in pubblico o in privato, mediante il culto, l’insegnamento, le pratiche e l’osservanza dei riti. La libertà di manifestare la propria religione o il proprio credo non può essere oggetto di restrizioni diverse da quelle che sono stabilite dalla legge e costituiscono misure necessarie, in una società democratica, per la pubblica sicurezza, la protezione dell’ordine, della salute o della morale pubblica, o per la protezione dei diritti e della libertà altrui”. Il commento generale n. 22 dell’ufficio dell’Alto commissario ONU per i diritti umani ha inoltre sancito, già da oltre venti anni, che l’articolo 18 della Dichiarazione Universale dei Diritti dell’Uomo «protegge le convinzioni non-teistiche e atee» e «include il diritto di sostituire la propria fede o convinzione con un’altra o di adottare punti di vista atei».
Nel mondo vi sono però, come rivela il Freedom of Thought Report diffuso nei giorni scorsi, tredici paesi in cui essere atei significa rischiare la pena di morte: sono paesi a maggioranza islamica, paesi che fanno parte dell’Organizzazione della Cooperazione islamica.
I musulmani amano presentare la loro fede come una “religione di pace”. Non vediamo tuttavia come tale asserzione possa essere compatibile con la condanna a morte di persone “colpevoli” soltanto di aver manifestato la loro opinione in materia religiosa. La nostra associazione si batte per la libertà religiosa e di coscienza: si batte quindi per il diritto di tutti, credenti e non, a poter manifestare liberamente e ovunque le proprie convinzioni, religiose e non. E di poterle cambiare in ogni momento, manifestando liberamente e ovunque convinzioni diverse dalle precedenti. Per questo motivo denunciamo senza riserve anche coloro che, volendo imporre con la forza un pensiero non religioso, violano i diritti dei credenti.
Vorremo sapere cosa pensate di queste considerazioni. Qualora le condividiate, avremmo piacere di poter collaborare con voi per vederle tradotte in pratica.
Cordiali saluti
Raffaele Carcano, Segretario Uaar