Probabilmente anche voi sarete rimasti sorpresi dal constatare quante pagine dedichino i manuali di filosofia alla patristica e alla scolastica. Con tutta la più buona volontà, lo spazio concesso ad Agostino e Tommaso (per non parlare di Roscellino e della scuola di Chartres, tanto per fare dei nomi) è francamente troppo. Soprattutto perché arrivano dopo Plotino e Porfirio e prima di Marsilio Ficino: non meno predisposti a lanciarsi, e senza paracadute, in arditissime elucubrazioni metafisiche.
Così come A.C. Grayling, anche Tamagnone ha scritto un libro in cui la storia della filosofia è vista come una specie di battaglia di lungo periodo tra diverse macro-correnti di pensiero: se in Una storia del bene la storia dell’etica è stata interpretata come una contrapposizione tra laici e dogmatici, qui il confronto viene condotto sul terreno dell’ontologia, e la conclusione dell’autore è ancora più drastica: «da Platone in poi quella che viene chiamata “filosofia” perlopiù è mera teologia». Per la precisione, è “teologia filosofale”, definizione sotto cui ricadono «tutte le religioni e le pseudo-religioni metafisiche che si sono presentate sotto le millantate spoglie della filosofia attraverso i millennî».
A detta di Tamagnone, «la teologia filosofale è latrice, ieri come oggi, di una supponente e totale indifferenza (quando non di vero e proprio odio) per la scienza intesa in senso moderno (quale indagine sul mondo fisico)». Il quadro che viene dipinto mostra dunque «una scienza che opera sul terreno, una filosofia che opera un po’ più in alto (ma sempre in vista del terreno) e una teologia che con le sue fantasie opera a un’altezza tale da perdere di vista il terreno». La teologia non coinciderebbe con la religione, mentre «la religione non è che una forma della teologia, quella dottrinale e cultuale, che è la meno importante, in quanto priva di supporto razionale e dimostrativo». Utile quantomeno ad assicurare un’adeguata omeostasi: un concetto caro all’autore, con cui identifica l’«esigenza psichica conseguibile al meglio attraverso la credenza in Dio quale ordinatore e ottimizzatore del cosmo».
Questa è la struttura da cui Tamagnone parte per sviluppare la propria ricerca. Il testo, tuttavia, non si rivela una sorta di contro-manuale di filosofia, perché l’autore preferisce concentrare la propria analisi sui vari aspetti sotto le cui spoglie si sono presentate le diverse “teologie filosofali”. Di qui le critiche all’antropocentrismo, al determinismo (o “teologia della necessità”), al finalismo, al monismo.
Vi sono due modi differenti di rapportarsi alla conoscenza, che evidenziano una contrapposizione netta: «O si fa riferimento “alla” realtà o si fa riferimento al pensiero “sulla” realtà». Da questo punto di vista, ciò che contesta Tamagnone «è che il linguaggio da “strumento” contingente di espressione conoscitiva diventi “essenza” della conoscenza». Un’affermazione è particolarmente forte: «La realtà appare nel momento in cui tramonta la verità logica», perché «la logica non è nata per indagare il cosmo, ma piuttosto per giustificare le acrobazie del discorso».
Strettamente legato a questa impostazione è la concezione dell’idealismo, nei confini del quale viene fatta rientrare «ogni teorizzazione che si basi su “idee”, sull’essere, a prescindere dalla fisicità del cosmo stesso», «un indirizzo dl fare filosofia che assume a proprio fondamento il “pensiero dell’uomo sulla natura” e non la realtà fisica che nel linguaggio umano viene indicata con “natura”». In contrasto con l’opinione corrente, anche Aristotele è stato inserito nella categoria: senza le sue seppur piccole correzioni di rotta, tuttavia, le cose sarebbero andate ancora peggio, perché «al peggio non vi sono limiti e che il meglio consta talvolta nel meno peggio».
Certo, non tutte le teologie sono uguali o del medesimo valore: i panteismi, ad esempio, sono di un livello superiore, in quanto espressioni religiose «non soltanto più razionali, ma spiritualmente “più alte” dei monoteismi, e ciò proprio sotto il profilo religioso-sacrale, in quanto si fa a meno dell’esteriore teatralità cultuale». L’autore svaria con gli esempi nel tempo e nello spazio, prestando attenzione anche a correnti di pensiero, come il taoismo o il Vedanta, non particolarmente note agli studiosi occidentali (né citate, peraltro, dai manuali di filosofia). Tamagnone, con la sua orgogliosa rivendicazione ateistica, non fa sconti a nessuno: così facendo, causerà forse dei dispiaceri anche a qualche nostro lettore. Spinoza e Kant sono finiti anch’essi nel mirino, e così è accaduto per quello che l’autore definisce “determinismo materialista” (Hobbes, d’Holbach, Laplace).
«All’autentica filosofia» – scrive Tamagnone - «compete il compito gravoso di ritrovare le proprie origini gnoseologiche precedenti il disastroso avvento dell’idealismo e quello di ricostruire un legame con l’attività scientifica in ogni suo aspetto e branca […] Il problema di fondo di fronte al quale si trova oggi la filosofia è quindi quello di cercare di capire che è auto-distruttivo continuare a rivendicare un’autonomia cognitiva rispetto alla scienza che è manifestamente inconsistente e anacronistica».
Tamagnone compie dunque un’operazione uguale e inversa al libro precedente. Dopo aver tentato di estrarre quanto di ateo poteva esservi nella filosofia antica, ha ora evidenziato quanto di teologico è contenuto nella storia della filosofia tout-court: ed è veramente parecchio. Una constatazione che è anche un invito a cercare di costruire modelli filosofici rigorosamente non metafisici. Da parte sua, concludendo l’opera, l’autore si ripromette di proseguire lo studio di «un nuovo modo di produrre ontologia filosofica». Un impegno stimolante.
Raffaele Carcano,
gennaio 2007