L’Inquisizione a Napoli

Il processo agli ateisti, 1688-1697
Luciano Osbat
Edizioni di storia e letteratura
1974
ISBN: 
9788884987471

Più di un secolo prima della rivoluzione del 1799, Napoli era già una città attraversata da fermenti razionalisti. Nella seconda metà del XVII secolo era nata l’Accademia degli Investiganti: vi aderivano le più belle menti della città, che per la stima che raccoglievano riuscivano a ottenere sempre nuovi incarichi a corte. Era una situazione per nulla gradita agli ambienti curiali, e sfociò, guarda caso, in un processo inquisitoriale. A essere presi di mira furono i matematici, e tutti coloro che amavano discettare di atomismo, Lucrezio, Cartesio e Gassendi più di quanto le gerarchie ecclesiastiche consentissero (praticamente zero).

Il processo si aprì nel 1688, e coinvolse principalmente quattro uomini: Filippo Belli, Giacinto de Cristofaro, Basilio Giannelli e Francesco Paolo Manuzzi (il delatore reo confesso). Erano giovani avvocati e non erano i nomi più in vista degli ambienti culturali della capitale. Forse non era un caso: colpendo loro, si volle mandare un avvertimento preventivo agli intellettuali più famosi. Un messaggio che sarebbe andato a buon segno: Vico, per fare un esempio illustre, prese decisamente le distanze dagli ambienti anticuriali.

Il processo si fermò tuttavia quasi subito a causa di un “miracolo”: il terremoto del 5 giugno impedì infatti gli arresti, già previsti, consentendo dunque agli inquisiti di mettersi al sicuro. Ma nel 1691, giusto un mese dopo che l’arcivescovo di Napoli Antonio Pignatelli fu eletto papa con il nome di Innocenzo XII, Belli e de Cristofaro furono colpiti da un ordine di arresto con l’accusa di «propositioni ereticali e ateismo», mentre altri uomini finirono sotto accusa. Gli arresti si succedettero per un anno intero, mentre i procedimenti andavano moltiplicandosi.

La vicenda si inserì sullo scontro in atto tra l’aristocrazia e i nuovi ceti emergenti, ansiosi di contribuire al rinnovamento della società e dell’amministrazione statale. Accadde pertanto un evento che, oggi, ci sembrerebbe fantascienza pura: una sollevazione popolare contro l’Inquisizione, che purtroppo non sortì risultati duraturi. Il nunzio a Madrid riferì a corte che «con la scuola degli Atomi si insegna nella medesima Città l’Ateismo»; l’inquisitore fu sostituito, ma fu lo stesso arcivescovo di Napoli a subentrargli nell’incarico; il papa minacciò di scagliare l’interdetto sulla città. Nonostante una petizione che raccolse seimila firme, la forze innovatrici si divisero, gli aristocratici si schierarono risolutamente con la curia, e gli interrogatori ripresero riproponendo le stesse modalità antigiuridiche del passato.

Per tutta la durata del processo, la propaganda cattolica non rimase mai silenziosa. Guidata dai gesuiti, non mancarono le prediche contro gli «atei ignoranti» e le allusioni di omosessualità. Le delazioni, come sempre nei processi inquisitoriali, furono parecchie; abbondarono le deposizioni estorte e le testimonianze falsate, mentre il rispetto dalla stessa normativa inquisitoriale si rivelò un optional, la violenza fisica la prassi. Difficile, in queste condizioni, comprendere la reale portata dell’ateismo degli imputati.

Giannelli cedette nel 1692, accusando Lucrezio di averlo portato a deviare dall’insegnamento cattolico: fu condannato alla confisca dei beni, all’esilio per quattro anni e al divieto di leggere libri pericolosi per la fede. Nel 1693 abiurarono altri due sospetti di ateismo, mentre il Belli, dopo aver rischiato di essere ucciso da uno zelante dipendente del tribunale, abiurò nel 1695, venendo per qualche tempo condannato al domicilio obbligato. La vicenda si chiuse nel 1697, quando dopo sei anni di carcere Giacinto de Cristofaro fu costretto all’abiura e alle penitenze salutari.

De Cristofaro scriverà in seguito due notevoli trattati di matematica, diventando addirittura “Matematico Imperiale”, prima di morire improvvisamente nel 1725. Basilio Giannelli, al contrario, si mise prontamente sotto la protezione del vescovo di Benevento, il futuro Benedetto XIII, non trovando però più quella creatività che, in gioventù, gli era valso un esteso apprezzamento come poeta: l’aver rinunciato a Lucrezio aveva i suoi costi. Gli altri due ricoprirono incarichi di piccolo cabotaggio nelle province del Viceregno.

Il testo di Luciano Osbat ricostruisce con cura, benché con scrittura e dettagli talvolta troppo accademici, le diverse fasi del lungo processo. Il suo lavoro, ormai di difficile reperibilità, rappresenta ancora oggi la miglior documentazione disponibile su questa torbida vicenda.

Mette tristezza pensare a quale avrebbe potuto essere lo sviluppo della città se non le fosse stata messa la mordacchia: negli stessi anni del processo agli ateisti, in Olanda gli esuli Pierre Bayle e John Locke scrivevano i loro fondamentali lavori sulla tolleranza. Il Meridione italiano ha conosciuto spesso momenti in cui sembrava potersi trasformare in una fucina intellettuale: ma la Chiesa ha sempre contribuito a mantenerlo in una condizione di minorità, combattendo battaglie durissime contro la cultura e la scienza. Come nel caso degli ateisti del Seicento.

Raffaele Carcano
Marzo 2008