Quello dei catari fu un movimento religioso riformatore medievale che si era diffuso soprattutto nella Francia meridionale, quasi in contemporanea con l’eresia valdese, e che aveva assunto una tale importanza da provocare la reazione violenta politica e religiosa da un lato del re di Francia, che voleva conquistare il sud del Paese, e dall’altro del papa Innocenzo III, che voleva eliminare i movimenti eretici. Venne così bandita la “Crociata contro gli Albigesi” (altro nome dei catari) nel 1208 che portò alla distruzione di quel movimento, all’unificazione dei territori francesi sotto un unico re e alla “sottomissione” della lingua d’oc (l’occitano) che veniva parlata in quei luoghi oggi ridotta al rango di dialetto (il provenzale).
Il libro di Petta narra, sotto forma di romanzo, le vicende di quegli anni, seguendo la storia di più personaggi, che egli riunisce in un’unica figura, quella di Giordano Nemorario/Giovanni di Sacrobosco. Egli disegna così il profilo di un medievale genio leonardesco: astronomo, matematico, inventore, depositario di idee straordinarie che avrebbero rivoluzionato le conoscenze e lo sviluppo dell’epoca, ma che si sarebbero in realtà imposte solo dopo molti anni: parliamo dell’invenzione della stampa, della riaffermazione della teoria eliocentrica, della scoperta della polvere da sparo.
La vicenda si sviluppa seguendo la vita da perseguitato religioso di questo studioso e i suoi tentativi di sfuggire alla caccia che Innocenzo III aveva scatenato nei confronti degli eretici europei e che, nel caso dei catari, porterà a quello che oggi chiameremmo un vero genocidio: ricordiamo, tra le tante efferatezze, lo storico assedio e distruzione della città di Béziers, roccaforte catara; vi si narra dell’episodio in cui, alla richiesta all’inquisitore Arnauld-Amaury di come i soldati avrebbero potuto distinguere i cattolici da ebrei ed eretici, all’interno della città conquistata, la risposta fu: «Ammazzateli tutti: Dio riconoscerà i suoi». Uno stile ancor oggi apprezzato e applicato da vari sedicenti portavoce del loro dio!
Lo stile del libro (invece) è, come detto, quello del romanzo storico. La lettura è a tratti avvincente; i salti d’epoca, che ci fanno scorrere un arco di tempo di oltre 40 anni, sono intervallati da resoconti storici utili e interessanti. I richiami culturali sono stimolanti senza diventare pedanti. E il richiamo di episodi alquanto trascurati (chissà perché…) nell’insegnamento delle nostre scuole, il ricordo della nascita dell’Inquisizione e di un certo modo di interpretare il potere religioso, non può che fare piacere, unendo l’utile al dilettevole.
Massimo Albertin,
circolo UAAR di Padova,
2006