La laicità, di questi tempi, non se la passa tanto bene. Questo lo sappiamo da tempo, ma i risultati degli ultimi referendum ne hanno dato la conferma. Ora abbiamo cardinali che giocano contemporaneamente il ruolo dei politici e quello degli unici portatori d’autorità morale e spirituale. Il compito dei cittadini-sudditi, credenti e non, sarebbe quello di inchinarsi ai loro voleri e valori, obnubilando qualsiasi forma d’autonomia di pensiero. E certo! Tutto ciò che non rientra nei dettami catechetici dell’ormai papa Benedetto XVI, viene bollato come “relativismo etico”, considerato «un lasciarsi portare qua e là da ogni vento di dottrina» fino ad arrivare a essere una dittatura «che non riconosce nulla come definitivo e che lascia come ultima misura solo il proprio io e le sue voglie».
In risposta a questo “rinnovato” assolutismo etico, Giulio Giorello - professore di Filosofia della Scienza all’Università degli Studi di Milano - ha scritto un libro, un coraggioso pamphlet, che rivendica la libertà del laico a non avere nessuna chiesa. Nella fascia blu che avvolge la copertina c’è scritto: «I laici tendono a difendersi, è tempo di attaccare». Come non essere d’accordo?
Lo scontro, spiega il filosofo della scienza, è «tra una verità che non pretende di salvare neanche sé stessa e una verità che promette salvezza a chiunque vi si sottometta, tra una ragione che misura la propria gratuità e finitezza senza aver nostalgia di un fondamento e una ragione che nell’imposizione del fondamento trova il proprio sostegno e la propria giustificazione». Giorello rivaluta e difende il relativismo, inteso come impossibilità, da parte dell’uomo, di raggiungere certezze assolute e definitive e non come arbitrio incontrollato e privo di regole.
Ammettiamo, però, che il termine “relativismo” si presta a slogan fuorvianti, quelli che inducono i Pera e i Ratzinger a tuonare frasi come: «No alla dittatura del relativismo!», frase strumentale e a effetto per colpire il cuore della laicità dello Stato e della libertà di ricerca. A nostro dire sarebbe più corretto parlare di “pluralismo”, tuttavia, di fronte alla questione terminologica, Giorello non sembra preoccuparsene molto, anche se tenderebbe a preferire il termine “fallibilismo”, caro a Popper e a Peirce, cioè la capacità di imparare dagli errori, attraverso il confronto e la critica. Il relativismo, non essendo una religione o un dogma, è un atteggiamento mentale che consente a ogni teoria di avere i suoi critici e i suoi difensori pubblici. Permette a ogni posizione di avere il suo buon diritto a misurarsi e a mostrare i suoi fondamenti. Ed è proprio la scienza l’attività più imparentata al relativismo.
Di nessuna Chiesa è un libro di poche pagine, ma denso di concetti filosofici che a prima lettura possono apparire ostici per chi non è addetto ai lavori. Tuttavia fornisce molti spunti di riflessione che, specie in alcuni punti, sono illuminanti, compensando l’iniziale e superabile difficoltà interpretativa. Due esempi: «La solidarietà ha tre fili (natura, tecnica e società), non implica un principio trascendente, nemmeno pretende di escluderlo. In questo senso è disposta ad aprirsi ai membri di qualsiasi chiesa - purché costoro si impegnino al rispetto delle differenze, nella pratica prima ancora nella teoria». «Una società aperta e libera dovrebbe disporre di strutture protettive atte a garantire la tolleranza e a scoraggiare non solo l’intollerante, ma qualsiasi “ingegnere di anime” che, spinto da un irrefrenabile “altruismo”, voglia imporre le proprie ricette per plasmare l’uomo e la donna “nuovi”, costringendoli a scegliere quello che lui giudica essere il bene».
Rosalba Sgroia
luglio 2005
Non corrono tempi lieti per i laici, ancora peggio per gli anticlericali. I referendum sappiamo come sono andati e il cardinale Camillo Ruini si presenta ormai nelle vesti di paterna autorità morale e spirituale dell’intero Paese, alle cui esternazioni (anche le più scopertamente politiche e strumentali) occorre piegarsi con deferenza contrita. Intanto Benedetto XVI, non pago di pascolare il suo gregge, si rivolge anche ai miscredenti e li invita a comportarsi come se Dio ci fosse. Un classico del temporalismo cattolico: non importa tanto che crediate a Gesù Cristo quanto che obbediate ai suoi pretesi rappresentanti in terra.
In un clima così deprimente, è motivo di qualche consolazione il denso e coraggioso pamphlet di Giulio Giorello in difesa del relativismo correttamente inteso, cioè dell’idea che l’uomo è sempre soggetto a errori, quindi non gli è dato raggiungere certezze definitive. Lo scontro, spiega il filosofo della scienza, è «tra una verità che non pretende di salvare neanche se stessa e una verità che promette salvezza a chiunque vi si sottometta, tra una ragione che misura la propria gratuità e finitezza senza aver nostalgia di un fondamento e una ragione che nell’imposizione del fondamento trova il proprio sostegno e la propria giustificazione».
Non sono solo sottili questioni filosofiche, anzi hanno ricadute pratiche evidenti. Per esempio in materia di fecondazione assistita, passa lungo questo crinale l’alternativa «tra un intervento responsabile e un irresponsabile inchinarsi al caso», un caso camuffato dai paladini sanfedisti sotto le spoglie della natura o di Dio.
Più in generale il problema riguarda il rapporto tra la libertà di tutti e la pretesa d’infallibilità tipica del potere sacerdotale. Di fronte alla vulgata devota che rovescia sui laici l’accusa di minacciare i diritti della persona, insidiando le radici cristiane che ne sarebbero la fonte, Giorello rimette le cose a posto: «Può reggere una società aperta e libera “etsi Deus non daretur” (anche se Dio non esistesse)? C’è un “non” di troppo. La vera questione è se si possa dare una società aperta e libera “etsi Deus daretur” (se Dio esistesse). È il progetto che gli altri hanno su di noi di salvezza eterna (oppure, in una versione più pallida, di correttezza politica) a costituire un problema». Un problema che oggi in Italia si presenta grande come una casa.
Epicuro
ottobre 2005