Con questo libro — una raccolta di articoli che approfondisce alcune questioni riguardanti san Francesco e che fa il paio col precedente Lo stregone di Assisi — Andrea Armati continua i suoi studi su questa figura ritenuta intoccabile, scrostandone ancora di più la patina di purezza e semplicità diffusa dalla tradizione e accettata acriticamente. Lo stile si fa ancora più ironico e impertinente, ed è sentita anche la polemica anti-accademica che porta avanti l’autore, rivolta ai molti studiosi mainstream che hanno perpetuato un vero e proprio «insabbiamento» della vita di san Francesco, «per non tradire le attese di un pubblico confessionale».
Il tono non deve lasciar supporre che questo lavoro sia semplicemente un attacco anticlericale irriverente e superficiale, perché anzi l’autore scava con attenzione proprio le fonti francescane, traendone aneddoti e indizi tanto succosi quanto imbarazzanti e rivelatori, tali da inquadrare il personaggio sotto una luce ben più umana, forse troppo, nonostante la scientifica opera di distruzione delle fonti non allineate da parte della Chiesa e la diffusione di una versione «canonica» (appunto!) della vita del santo.
Questione di un certo rilievo è quella delle stimmate, «prodigio» inizialmente visto con una malcelata diffidenza (dalla curia e dai domenicani, concorrenti dei francescani), ma poi riconosciuto dalla Chiesa, anche per venire incontro alla religiosità popolare. La Verna, il luogo ameno dove il santo avrebbe ricevuto le stimmate, si rivela in realtà un santuario fulcro di riti pagani di cui al tempo di Francesco ancora rimanevano tracce e che egli cerca di estirpare — o quantomeno di diluire e reinterpretare in senso cristiano. Tanto che dopo il prodigio presso La Verna, che l’autore non esita ad accostare ad un vero e proprio rituale di iniziazione sciamanica con tanto di estasi e ferite auto-inflitte (le stimmate, appunto), Francesco viene riconosciuto come uno «stregone» dalle genti del contado che, nonostante la diffusione del cristianesimo, ancora sono profondamente imbevute di simbologie paganeggianti. Così la tradizione ci parla di magie per purificare le acque e la terra, guarire gli animali, di divinazioni sui testi sacri, di comunicazione con gli animali (gli episodi di prediche agli uccelli andrebbero inquadrati infatti in questo contesto, piuttosto che come vago animalismo ante litteram): per la cronaca, tutte pratiche ritenute stregonesche, avversate per secoli dalla Chiesa e passibili di scomunica.
La predicazione di Francesco d’altra parte non è esente da motivazioni politiche: si veda ad esempio il caso di Narni, cittadina con velleità autonomiste rispetto al papa, teatro di una sospetto iperattività dei francescani. Le gesta di Francesco rivelano — al contrario della retorica mitizzante delle salde radici cristiane — che in larghe aree extra-urbane rimanevano, anche nel Medioevo inoltrato, radicate tradizioni pagane, sulle quali era necessario avviare vere e proprie campagne di ri-evangelizzazione. Lo stesso Francesco, appropriandosi di tradizioni precedenti e reinterpretandole in senso cristiano, con un «compromesso magico» riuscirà dove i benedettini (dediti invece alla sistematica distruzione di boschi sacri e santuari antichi) avevano fallito. L’autore arricchisce le sue ricostruzioni con i resoconti delle visite sul campo, con un esplicito piglio da «detective» provocatoriamente in contrasto con l’approccio accademico, accompagnandoci nei luoghi simbolo della predicazione francescana tra Rieti e Terni (come La Verna e Greccio - luogo dove verrà imbastito un presepe paganeggiante) per svelarne i misteri e gli aspetti meno noti e controversi. Altro capitolo sul quale indaga Armati è il rapporto tra Francesco e santa Chiara: al di là delle rappresentazioni idilliache, tra i due esiste una strisciante concorrenza alimentata anche dalla nota misoginia del santo, con tentativi di Chiara di rendersi indipendente dalla tutela di Francesco e di ingraziarsi il papa. D’altra parte, Francesco contrasterà con una durezza che male si accorda alla sua tanto proclamata mitezza le spinte alternative presenti tra i suoi confratelli per mantenere la leadership, cercando il sostegno dell’alto clero.
Altro mito da ridimensionare è quello della povertà francescana: indagando le fonti si nota come invece il movimento di Francesco avesse una non trascurabile disponibilità di mezzi, che ne permetteva le attività (tanto che la povertà dei predicatori, chiosa l’autore, all’epoca era di fatto «un lusso»), grazie a supporters di rilievo.
Quella che emerge è la figura di un santo scaltro e a suo modo geniale, che vive di contraddizioni, di luci ed ombre, «un uomo in carne ed ossa, non un ectoplasma traslucido o un ologramma spiritato, ma un personaggio storico a tutto tondo», che da un lato si fa portatore di un populismo che coglie il cambiamento dalla società feudale a quella borghese e dall’altro si sottomette alla Chiesa e alla nobiltà portando avanti una «rivoluzione solo apparente» in campo dottrinale; che esalta povertà e astinenza, ma non disdegna affatto il sostegno dei ricchi e dei potenti; che mischia nella sua predicazione — sempre sul filo del rasoio e della scomunica — elementi pagani e cristiani. Il tutto, ovviamente, sempre ad maiorem Dei (et Ecclesiae) gloriam.
Valentino Salvatore
Marzo 2010