La libertà religiosa, “prototipo delle libertà moderne”, viene studiata in tre Parti: il sistema costituzionale, suddiviso in testo normativo, dibattito dottrinale e ricostruzione dell’autore (Parte I); la giurisprudenza costituzionale (Parte II); la legislazione, la giurisprudenza ordinaria e la prassi amministrativa (Parte III). L’indagine è acuta, approfondita, accuratamente documentata, altamente istruttiva e ispirata a una responsabile passione civile che non riduce, anzi vivifica, la lucidità delle diagnosi e delle conclusioni.
Nel testo della Costituzione la norma specifica sulla libertà religiosa è l’art. 19; gli artt. 7 (concordato con la Chiesa cattolica) e 8 (intese con le confessioni religiose diverse dalla cattolica) non la riguardano direttamente e vanno quindi interpretati restrittivamente. Inoltre l’art. 19, nell’intento originario dei costituenti, non era che l’applicazione al fenomeno religioso dei principi fondamentali della libertà di coscienza e di pensiero (art. 21) e della pari dignità di tutti i cittadini senza distinzione di sesso, di razza, di lingua, di religione, di opinioni politiche, di condizioni personali e sociali (art. 3). Se ne è distaccato solo per contingenti ragioni storiche.
La dottrina ha chiarito, laboriosamente ma definitivamente, l’infondatezza di ogni privilegiamento delle confessioni religiose rispetto alle convinzioni in materia religiosa e segnatamente all’ateismo, facendo sfumare la distinzione tra la libertà religiosa e la generale libertà di coscienza e di pensiero, in conformità con i testi costituzionali più moderni e le dichiarazioni internazionali e sovranazionali che l’Italia ha già da tempo sottoscritto.
Tutto questo impone una diversa lettura delle singole norme e del sistema, «tanto da non potersi neppure più parlare di libertà religiosa» (p. 121) per sua dissoluzione (e al tempo stesso valorizzazione essenziale) nel più ampio sistema delle libertà costituzionali; che comprende, ovviamente, la libertà dalla religione, e cioè non solo dalla eventuale religione di Stato, ma anche dalla religione di gruppi sociali o di altri individui in grado di esercitare influenza sulla persona. «Si aprono dunque spazi interpretativi per considerare doverosa costituzionalmente la riconduzione al diritto comune» della disciplina oggi vigente in materia religiosa (p. 122). Un’applicazione particolarmente significativa è l’ipotesi osée della possibile abrogazione per via ermeneutica degli artt. 7 (concordato) e 8 (intese) in quanto privilegino – per esempio riservando loro in esclusiva il diritto a ricevere l’8 per mille – gli enti di matrice religiosa rispetto alle formazioni sociali di altro genere, culturali, artistiche, benefiche, ricreative: sembra chiara l’antinomia tra il privilegiamento del fattore religioso e il principio – dichiarato “supremo” dalla Corte – di laicità dello Stato.
La giurisprudenza costituzionale, pur con qualche timidezza ermeneutica dovuta alla sua preferenza per «attendere gli sviluppi sociopolitici, piuttosto che anticiparli e indirizzarli nel senso della pienezza dell’espansione dei principi costituzionali» (p. 197), ha comunque finito per disegnare un quadro sistematico di tutto rispetto, che Croce riassume a pp. 200-201 in dieci punti e ritiene in gran parte legittimante la ricostruzione da lui tentata nella Parte I.
Provo a formalizzare, con assioma e teoremi, quello che per Marco Croce è il diritto italiano della religione al livello del testo, della dottrina e della giurisprudenza costituzionali, tra loro concordi o convergenti e a suo giudizio meritevoli di approvazione.
Assioma. È principio “supersupremo” dell’ordinamento italiano il secondo comma dell’art. 3: la Repubblica rimuove gli ostacoli che impediscono (detto positivamente: promuove) il pieno sviluppo della persona, sviluppo in tutta la misura del possibile autodefinito. Lo Stato è per la persona, non la persona è per lo Stato. La persona è titolare di diritti inviolabili da terzi, dallo Stato e da ogni altra formazione sociale.
L’assioma fonda i seguenti tre teoremi:
Teorema 1: la libertà, le libertà. Di coscienza, pensiero, manifestazione del pensiero, associazione, riunione (artt. 21, 18, 17).
Teorema 2: l’uguaglianza, la non discriminazione, la pari dignità (art. 3, primo comma).
Teorema 3: il pre-valere della persona sulle formazioni sociali di appartenenza (art. 2).
Le norme concernenti la religione non sono che corollari dei tre teoremi. La libertà religiosa (art. 19) è un corollario degli artt. 21, 18 e 17. L’uguaglianza tra le religioni, la non discriminazione in base alla religione e alle convinzioni (anche scettiche o negative) in materia religiosa è un corollario, anzi un sottoinsieme, del primo comma dell’art. 3. Il primato di valore della persona credente sulla chiesa o associazione religiosa di appartenenza, il primato della libertà religiosa sulla libertà ecclesiastica, la non rilevanza del criterio quantitativo per la meritevolezza di tutela della libertà di pensiero in materia religiosa sono corollari del teorema 3. La verosimile incostituzionalità di almeno alcuni aspetti o profili degli artt. 7 (concordato) e 8 (intese) è un corollario dei tre teoremi. E si potrebbe continuare, dimostrando la necessaria derivazione di tutti i 10 punti enunciati da Croce a pp. 200 e 201 dall’assioma e dai teoremi, la loro interna coerenza.
La conclusione semplificata di tutto ciò è la sparizione/superfluità del diritto religioso per assorbimento integrale nel diritto comune, fatte salve ovviamente le sue specificità come quelle di ogni altro fenomeno culturale giuridicamente riconosciuto.
La Parte III del libro constata che la legislazione, la giurisprudenza ordinaria e la prassi amministrativa in non pochi casi divergono dal sistema costituzionale, riducendone, al loro livello, l’effettività. Vengono esaminati criticamente: nel cap. I il sistema pattizio Stato-Chiesa come risultante dalla legge di esecuzione dell’Accordo Craxi-Casaroli del 1984 abrogativo del Concordato, le leggi emanate sulla base delle Intese con le confessioni religiose diverse dalla cattolica, la legge del 1929 sui “culti ammessi”, i progetti di legge in materia di libertà religiosa; nel cap. II la giurisprudenza in materia di riconoscimento delle confessioni, le norme sull’otto per mille e le norme fiscali di favore, la tutela penale delle confessioni religiose; sempre pervenendo a bene argomentate segnalazioni di incostituzionalità e irrazionalità. L’ultimo capitolo del libro percorre con acribia alcuni casi di rilevante attualità. Tra questi il caso Lautsi e il caso Tosti concernenti l’esposizione del crocifisso in spazi pubblici; la nuova normativa sull’ora di religione; il caso Lombardi Vallauri-Università Cattolica del Sacro Cuore di Milano, conclusosi con la vittoria del ricorrente alla Corte europea di Strasburgo contro lo Stato italiano.
A giudizio di Croce «l’indagine condotta nella Parte III ha mostrato chiaramente come si sia ben distanti non solo dalla piena realizzazione dell’eguaglianza nella libertà di pensiero, coscienza e religione come ricostruita teoricamente nella Parte I, ma anche dalla semplice applicazione degli esiti della giurisprudenza costituzionale raccolti e analizzati nella Parte II … il livello dell’effettività non corrisponde a quello della normatività» (p. 307). In parole più povere: il bilancio su Parlamento, governo, magistratura e prassi amministrativa è un bilancio necessariamente pessimista, aggravato da una situazione socio-culturale e politica per molti aspetti desolante.
Fin qui Croce, semplificato e riassunto. Ritengo il suo lavoro prezioso, se non insostituibile, per chi voglia documentarsi a fondo sui problemi giuridici da lui affrontati e orientarsi nella unübersehbar (non abbracciabile con lo sguardo) letteratura specialistica in argomento. Io mi trovo praticamente su tutti i punti d’accordo con lui. Un doloroso dubbio teorico-giuridico che ci accomuna è il seguente: chi considera diritto vigente non il law on paper, il diritto formalmente valido, ma il law in action, il diritto effettivo, cioè il diritto realmente osservato e applicato, non può arrivare a pensare, sulla base delle circostanziate denunce della Parte III del libro, che la Costituzione, per quanto riguarda la libertà religiosa, sia solo law on paper, come tale – in una prospettiva di realismo giuridico – disattendibile non solo dal giurista clericale ma anche dal giurista neutrale, professionalmente coscienzioso? Marco Croce il problema se lo pone all’inizio delle Conclusioni: c’è il rischio che le constatate incostituzionalità s’interpretino «come modificazioni tacite della Costituzione … o, ciò che è peggio, come facenti ormai parte della “Costituzione materiale”». Occorre quindi «ribadire che la mancata realizzazione dei principi costituzionali … non può significare che questi abbiano perduto quei caratteri di prescrittività che invece vanno difesi a oltranza e per i quali bisogna continuare a lottare. D’altronde, come ammoniva Arturo Carlo Jemolo, “la libertà … non basta averla conquistata una volta per sempre, ma occorre conservarla con uno sforzo di ogni giorno, rendendosene degni, avendo l’animo abbastanza forte per affrontare la lotta il giorno in cui fosse in pericolo”». Queste parole di Jemolo, mio professore a Roma, presidente della mia commissione di laurea nel 1958 e mio predecessore di allontanamento dall’Università Cattolica, parole che ricordano e riprendono il concetto di “lotta per il diritto” (Kampf ums Recht) del grande Jhering, credo possano degnamente riassumere l’impegnativo messaggio lanciato, con il suo libro, dal difensore scientifico della religione civile dei diritti umani Marco Croce.
Luigi Lombardi Vallauri
ottobre 2014