Della copiosa produzione floresdarcasiana, questo libretto (o forse dovremmo chiamarlo libello?) rappresenta il momento più apologetico. Non certo per i contenuti ma solo per i toni, vibranti e appassionati alla maniera di Flores d’Arcais. Si tratta piuttosto diuna lunga orazione laica, limpida, icastica, lapalissiana che condensa in un solo libro tutte le tematiche care al filosofo di MicroMega. Se volete, la risposta più convincente ad un altro libro, La scommessa del laico di Jocelyn Maclure e Charles Taylor, nel quale i due filosofi canadesi provavano, con atteggiamento conciliarista, a situare le istanze religiose all’interno di una società complessa e plurale come la democrazia liberale. Niente compromessi per Flores d’Arcais: la democrazia è atea e la religione “deve essere messa al bando della vita pubblica”; in fondo più di un imperatore romano pensava che i cristiani fossero dei cattivi cittadini. Si badi bene: nel difendere l’ethos comune della democrazia, Paolo Flores non concede all’ateo più di quanto non conceda al credente: nessuno può imporre agli altri la propria visione della vita poiché la democrazia è esattamente questo, “il rispetto di ogni stile di vita che non comporti imposizione ad altri”. Sotto questa prospettiva appare altamente mistificante l’abusato “date a Cesare quel che è di Cesare e date a Dio quel che è di Dio” dei fautori della laicità temperata: chi infatti, ribadisce Flores, può stabilire la linea di demarcazione tra quanto spetta a Cesare e quanto spetta a Dio? E rispetto a quanto spetta a Dio, a quale Dio? Le religioni sono un crogiolo di definizioni della divinità ora unica ora politeista, terribile e misericordiosa; quanto ai temi eticamente sensibili, ci sono interpretazioni e divisioni all’interno delle stesse chiese. Non c’è spazio per due sovrani: o si sceglie Dio o il cittadino. Il cognitivismo etico contro il relativismo etico insomma. E quest’ultimo, sottraendo il sacro dalla sfera pubblica, su quale ethos si deve reggere se non ha verità preconfezionate e calate dall’alto? Quello basato sul riconoscimento comune e reciproco dell’autonomia di-tutti-e-di-ciascuno che ha come substrato l’uguaglianza socio- economica e culturale nonché giuridico-politica degli individui. Senza dimenticare, chiosa Flores, che “il pluralismo esige un confine, un altolà, ai nemici del pluralismo. Dio fuori dalla scena pubblica, abbiamo visto, ma anche i razzismi e i fascismi di ogni ceppo e risma”.
Parole e concetti ineccepibili, non c’è che dire, in tempi in cui la debolezza delle democrazie occidentali che fanno i conti con la mondialità e con la crisi della rappresentanza politica può dar luogo a tentazioni oscurantiste e nostalgiche. C’è un solo modo per salvare una democrazia in crisi: non certo quello di negarla, piuttosto quella di prenderla sul serio, laicamente. Ma questo è tema di un altro libro di Flores d’Arcais a cui volentieri si rimanda.
Stefano Marullo
ottobre 2013