Un bellissimo racconto. Che poi non è nemmeno un racconto, perché è storia pura, non romanzata. È invece la storia a sembrare un romanzo: e quando chi la racconta è così bravo da meritarsi un Pulitzer (nella sezione Nonfiction) anche la lettura diventa un piacere. Non capita così spesso.
Il libro racconta le vicende del De rerum natura: la scelta di Lucrezio di esporre filosofia e scienza in forma di poema, l’oblio che cadde sull’opera, la sua riscoperta nel Quattrocento – e in un monastero, la sua per niente scontata diffusione, l’effetto che ebbe sui contemporanei e i meccanismi che mise in moto. Meccanismi che hanno cambiato la storia del mondo. Una concatenazione di eventi assai improbabili, che lo stesso Greenblatt è tentato di definire «miracolosi»: non fosse che l’autore del manoscritto «non credeva nei miracoli». Meglio allora parlare di una deviazione significativa dalla traiettoria già accidentata della storia: per dirla con Lucrezio, un clinamen. O meglio, diversi clinamina.
Della scuola filosofica atomista è giunto fino a noi ben poco: del resto, già Epicuro si guardò bene dal mostrare il proprio debito nei confronti di Leucippo e Democrito. Ma anche Epicuro, nonostante la straordinaria diffusione del suo pensiero, incappò nella stessa sorte. Troppo alternativo, anche per la mentalità dell’antichità classica. L’imperatore Giuliano, un autentico fanatico “pagano” stranamente venerato da molti atei, decise che i libri degli epicurei erano da proscrivere. Anche gli ebrei definirono apikoros tutti i circoncisi non conformisti. Il cristianesimo, quando ascese al potere, si trovò dunque un’autentica autostrada già spianata. Si trattava soltanto di dare il colpo di grazia.
Di tutto quel fervore, a salvarsi dall’oblio della storia è dunque stato, alquanto inopinatamente, quasi soltanto il poema di Lucrezio. Grazie alla scelta, assolutamente temeraria, di fare divulgazione scientifica e filosofica attraverso la poesia. Tra i suoi contemporanei la diffusione fu limitata. E quando venne il tempo della distruzione della cultura antica, san Girolamo (il più grande attaccabrighe del primo millennio) mise in giro la voce che Lucrezio era impazzito per un filtro d’amore, e si era poi suicidato a 44 anni. Un’accusa alquanto ridicola, se si pensa alla lucida sistematizzazione operata da Lucrezio. Dargli del pazzo serviva evidentemente a minarne il pensiero, così razionale e così persuasivo. Se il poeta era in anticipo sui tempi già nell’epoca classica, figuriamoci quanto poteva esserlo una volta che la società aveva dovuto ingranare la retromarcia cristiana.
Ma se il poema si è salvato, è stato solo in quanto poema. Di qualità. Qualcuno pensò che valesse la pena che fosse riprodotto, quale esempio di scrittura da imitare. Molti secoli dopo, quando la cultura del mondo classico tornò a ricevere l’attenzione che si meritava, un umanista ritrovò una copia del manoscritto nella biblioteca di un monastero. «L’atto della scoperta appagò la passione inestinguibile di un brillante cacciatore di libri», scrive Greenblatt. Che, «senza volerlo e senza rendersene conto, divenne l’iniziatore della modernità».
Vien da chiedersi se Poggio Bracciolini si sia realmente «reso conto del pericolo», se abbia davvero concepito «di essere sul punto di scatenare qualcosa che avrebbe minacciato il suo universo mentale». Bracciolini era stato e sarebbe stato ancora al servizio dei papi. Ma la brama di conoscenza che lo pervadeva lo spinse a non ricacciare definitivamente nell’oscurità quel poema così potenzialmente pestifero. Una volta ritornato disponibile, il testo circolò. Piano piano l’atomismo e l’etica epicurea si diffusero negli ambienti più elevati. E costituirono uno dei fattori decisivi per far nascere la civiltà moderna, quella in cui viviamo ancora oggi.
Come si vede, il racconto è quasi un trionfo dell’improbabilità. Viene in mente quanto ha scritto Telmo Pievani nel suo La vita inaspettata: siamo tutti «figli contingenti di “sola storia”, cioè di una sequenza di eventi irripetibili e generosi». La storia poteva procedere diversamente. Ma la storia non è mai scritta una volta per tutte. Non dimentichiamolo, mai. Cerchiamo invece di seminare qualcosa. Anche quando i frutti potrebbero essere raccolti soltanto un millennio e mezzo dopo. Non è indispensabile provare il piacere di assaporarli in vita: è forse più importante costruirsi un’esistenza in linea con le nostre convinzioni, dandole un senso e gustandone il meglio giorno dopo giorno.
Cercare di cambiare in meglio questo pianeta è, almeno per chi scrive, uno di questi piaceri. Un altro è stato il poter leggere questo libro, scriverne la recensione e proporvela. Se ho potuto fare questo, se voi avete potuto leggere queste mie elucubrazioni un poco ardite, è anche merito di un oscuro poeta vissuto oltre due millenni di anni fa. Leggetevi allora anche Il manoscritto, e siate anche voi partecipi di una meravigliosa avventura umana.
Raffaele Carcano
ottobre 2012