Quello di Vittorio Lingiardi è un saggio di grande qualità, aggiornato nei riferimenti e ben argomentato. Un testo esemplare di impegno civile.
Civile, esattamente: sin dalla copertina, è chiaro infatti che «il titolo di questo libro accosta cittadinanza e omosessualità. Abbinamento teoricamente paradossale: dovrebbe importare qualcosa, allo Stato, dell’orientamento sessuale dei suoi cittadini?» (pag. 9). Eppure, quello delle unioni omosessuali resta un tema estremamente delicato, in cui si giocano discriminazione e diritti. Come fa notare l’autore, «non si tratta di perorare la causa del matrimonio (ognuno organizzi e custodisca i propri affetti come meglio crede), bensì quella dell’eguaglianza di tutti i cittadini davanti allo Stato» (pag. 11).
Servendosi di una bibliografia precisa e aggiornata, Vittorio Lingiardi costruisce il proprio discorso sui diritti omosessuali nella convinzione il concetto di famiglia non è unico e immodificabile e che il mancato riconoscimento, pubblico e legale, di un legame affettivo fra due persone può danneggiarne il benessere psicologico (pag. 20).
Così, l’autore dedica un intero capitolo all’analisi della letteratura sul soggetto, passando per Foucault, per Kinsey, per Freud e mettendo in luce come il concetto di (omo)sessualità sia solo una costruzione (contro l’argomento di chi sostiene che vi sia un “grado zero” di normalità, o più semplicemente di ciò che è “naturale”). E, come costruzione, esso è sottoposto ad una serie di vincoli psicologici, sociali, antropologici e politici.
Poi, è la volta delle omofobie e dei meccanismi di coming out; infine, l’autore si dedica alla complessa e delicatissima questione delle famiglie omogenitoriali. E lo fa con competenze di psichiatra e con il supporto di una certa quantità dati statistici.
L’omosessualità non è solo una problematica affettiva e privata, ma essa diventa questione civile e dunque pubblica nella misura in cui subentrano riconoscimenti giuridici e sociali. Occuparsene non è interesse dei pochi che si sentono chiamati in causa in prima persona, ma la questione riguarda tutti, poiché è un fatto di “citizenship”. Per questo, mi preme sollecitare l’attenzione dei lettori de L’ateo suggerendone la lettura. Perché «noi chiamiamo contro natura quello che avviene contro la consuetudine; non c’è niente se non secondo essa, qualunque cosa sia. Che questa ragione universale e naturale cacci da noi l’errore e lo stupore che ci arreca la novità» (da Michel de Montaigne, pag. 25).
Federica Turriziani Colonna
agosto 2013