Questo libro rappresenta l’ideale continuazione di una discussione iniziata tra l’autore, filosofo ateo militante e Jopeph Ratzinger, ancora prefetto della Congregazione per la dottrina della fede, quando quel 21 settembre 2000 si incontrarono al teatro Quirino di Roma, in un confronto ad armi pari inedito, davanti a duemila persone e con Gad Lerner come moderatore. Il titolo della storica serata era Controversia su Dio, incontro che viene interamente riportato in appendice al libro. Al contempo, La sfida oscurantista di Joseph Ratzinger rappresenta una sorta di soluzione di continuità rispetto a quelle prove di dialogo, e una rottura sancita da quella che il direttore di MicroMega concepisce come svolta regressiva rispetto alle timide aperture che quel dibattito irripetibile, anche per le vicende che investiranno prima di tutto la storia personale del card. Ratzinger divenuto Benedetto XVI e d’Arcais alle prese con l’impegno civile con il movimento dei girotondi, aveva suscitato.
L’accusa più forte che Flores d’Arcais rivolge a Ratzinger, sin dalle prime battute del libro, è quella di avere disfatto come “papa inquisitore” il cammino intrapreso dal “papa buono”. Se il Concilio Vaticano II è stato, in positivo, lo spartiacque tra il costantinismo teocratico condito dalla svolta reazionaria del Sillabo e una cattolicità intesa come dialogo con il mondo e recupero dei valori autentici di un vangelo non compromesso con il potere, il post-Concilio e in particolare gli ultimi due pontificati hanno sostanzialmente, in negativo, disatteso le speranze di quanti scommettevano in una nuova primavera di una Chiesa riconciliata con la modernità.
Non a caso il termine “oscurantista” è ricorrente in Flores d’Arcais che lo aveva già usato in Etica senza fede (e ancora ne L’individuo libertario), parlando di Karol Wojtyla, definito “il papa di una dichiarata crociata oscurantista contro lo spirito critico e l’eredità dei lumi”. La storia dunque si ripete e la traiettoria di Benedetto XVI riprende la linea del suo predecessore, con un’aggravante non indifferente; l’inanellarsi di una serie di gaffes imbarazzanti conseguenti ad una maldestra ed impacciata incapacità di parlare in pubblico. Nel libro vengono impietosamente ricordate le infelicissime uscite di Benedetto XVI durante il suo viaggio in Camerun il 17 marzo 2009, riguardo al preservativo (che, piuttosto che combattere il problema dell’AIDS, ne aumenterebbe l’incidenza), durante la V Conferenza dell’episcopato latinoamericano ad Aparecida il 13 maggio 2007 (quando affermò che l’arrivo dei Conquistadores e l’annuncio del Vangelo non comportò alcun nocumento per le culture pre-columbiane), le tardive parole di reprimenda sugli innumerevoli casi di pedofilia che hanno coinvolto le gerarchie ecclesiastiche a tutti i livelli dopo decenni di silenzi imposti e muri di gomma di ogni sorta.
Nella sua visione restauratrice, che rimandano al Vaticano I se non al Concilio di Trento, Benedetto XVI tradisce un pessimismo di fondo riguardo alla capacità dell’uomo di autodeterminarsi: persino la democrazia sarebbe esposta al nichilismo perché in balia della legge del più forte; l’uomo senza Dio non è che una caricatura incapace di autentica libertà. Scrive Flores d’Arcais: “La diagnosi papale è stilata senza incertezze, l’oblio delle radici e dell’identità cristiane è il virus che sta minando l’Occidente”. Finanche l’ostilità che si manifesta con il terrorismo da parte delle frange estreme dell’islam contro l’occidente è secondo il papa un odio non già verso il cristianesimo ma contro la scristianizzazione. Paradossalmente, aggiunge il direttore di MicroMega, Benedetto XVI detesta il Grande Satana (l’occidente secolarizzato) allo stesso modo del fondamentalista islamico. E l’alleanza di “tutti i monoteismi” contro l’oblio di Dio, ricorrente nei discorsi papali, non ne è che l’ennesima riprova.
Beninteso, il libro chiarisce come la sfida ratzingeriana non intenda tornare sic et simpliciter ad una riedizione aggiornata del Sillabo; per certi versi la strategia è opposta: “colonizzare la modernità anziché respingerla”, con il tentativo di annettere la ragione, in salsa tomista-postmoderna; una ragione metafisica, vero ossimoro e blasfemia filosofica. I contenuti rimangono, ahimé, quelli anatemici del beato Pio IX.
Non si pensi comunque ad un libro pieno di invettive. Lo stile floresdarcaisiano non si smentisce e da questa prospettiva c’è una perfetta continuità con le opere precedenti: libro appassionato ed insieme raffinato, una vera e propria summa delle sane ossessioni del filosofo; la democrazia (si rimanda all’eccellente Il sovrano e il dissidente ovvero la democrazia presa sul serio dello stesso autore), l’autodeterminazione dell’individuo, la ragione erede dei Lumi, il disincanto della laicità, l’elogio del relativismo.
Un solo neo a pagina 33: la citazione della Taxa Camerae di Leone X, documento la cui inautenticità è ormai acclarata.
Stefano Marullo
Novembre 2010