A tre anni esatti dalla sua prima uscita l’Uaar ha deciso di contribuire alla ristampa di “Quasi quasi mi sbattezzo” di Alessandro Lise e Alberto Talami, un fortunato volumetto che ha avuto il merito di far ulteriormente conoscere quello che rischia di diventare un vero e proprio fenomeno popolare, lo sbattezzo per l’appunto.
Da quando nel 1999 la stessa Uaar si è vista riconoscere dal tribunale il rispetto della legge della privacy per quanti decidono di non far parte della Chiesa Cattolica, si stima che siano oltre 20.000 le persone sbattezzate; la pagina del gruppo Facebook sullo sbattezzo conta oltre 12.000 membri, mentre continuano ad aumentare le persone che scaricano il download del modulo per sbattezzarsi sul sito della pagina dell’Uaar.
Si badi bene, l’Uaar ha contribuito in questi anni a far conoscere questa modalità per disincorporarsi dalla Chiesa Cattolica, atteso l’incorporamento che (artt. 1267 e 1269 del Catechismo della Chiesa Cattolica) alla stessa dà ipso facto il rito del battesimo, ma tale prassi è diffusa in molte nazioni e trova crescente consenso.
Motivazioni, lacerazioni, contrasti, itinerario catecumenale a ritroso con comunicazioni tecniche e di servizio, ampia bibliografia, tutto questo è racchiuso dentro l’avvincente storia che vede come protagonista Beto, nel quale, con sempre discreta ironia, si travestono i nostri due autori, e che ad un certo punto si interseca con un altro singolare personaggio, Frolix, abitante di un pianeta lontano dalla terra ma assai simile per i riti di inoculazione a cui il nostro simpatico amico cercherà (riuscendo solo in punto di morte) a sottrarsi.
Una vicenda, quella di Beto, che racconta di vita vissuta e di esperienze provate da quanti, in altri contesti, con coraggio hanno intrapreso la strada dell’io non ci sto, foriera di nuove libertà e nuovi valori identitari. Il progressivo disincanto verso la religione organizzata e la sua longa manus nella comunità (dalla famiglia agli amici) trova punti di svolta decisivi nelle situazioni quotidiane, talvolta tragiche, le cui risposte date dall’apparato sacro risultano, ad un tempo, lubriche ed insufficienti. Come nel caso della scomparsa di Andrea, l’amico di Beto, morto in un incidente d’auto di ritorno dalla sua festa di laurea, e al cui funerale il prete dirà: “Il Signore l’ha preso a sé così giovane per preservarlo puro”. E Beto da quel giorno decide “di non andare più a messa”. Episodio che ricorda lo sgomento di Nanni Moretti ne “La stanza del figlio” nei panni del padre che alle esequie del proprio caro sente il prete pronunciare le parole evangeliche “State vigili, non conoscete l’ora” e che gli risuonano come una beffa senza senso.
Non si potrà carpire nel profondo il significato dello sbattezzo e la istintiva ritrosia, anche di molti non credenti, di fronte a quello che, erroneamente, viene considerato un anti-rito, laddove si tratta di un atto giuridico, se non si parte dal senso attribuito al rito che si vuole disconoscere. L’argomento principe contro il battesimo, in particolare dei bambini, pratica prevalente nella confessione cattolica, si basa in particolare sulla fedeltà alla tradizione e sulla necessità di assicurare l’esercizio del libero arbitrio nell’accettare consapevolmente l’azione della Grazia, condizione praticamente assente negli infanti. Tra le chiese riformate ci fu finanche un movimento, sprezzamente chiamato degli “Anabattisti” (cioè battezzati di nuovo), che considerava nullo il battesimo dei neonati; non era l’unico all’interno della galassia protestante ma fu particolarmente preso di mira.
In effetti l’usanza di battezzare gli infanti fu prassi che si affermò solo intorno al VII secolo. Inoltre la riflessione teologica attorno significato da attribuire al battesimo, il più importante e propedeutico del settenario sacramentale, è stata contrassegnata nel suo percorso storico da tappe controverse attese anche le grosse differenze all’interno delle chiese cristiane anche sulla prassi rituale. Non v’è dubbio che fare risalire l’istituzione del battesimo alle stesse parole di Gesù in Matteo 28,19 appare una forzatura inaccettabile. Quelle parole, infatti, sono altamente improbabili sulla bocca del profeta di Nazareth, perché riflettono una teologia tarda. Molto più probabile la possibilità che il battesimo praticato nelle prime comunità cristiane anche in epoca apostolica si situi in linea di continuità con il battesimo praticato in ambito giudaico, dagli Esseni ai seguaci del Battista anche per il gesto rituale dell’abluzione (senza dimenticare gli antecedenti nei riti di iniziazione di molte religioni) e che il rito era indistinguibile dalla Confermazione (più tardi chiamata Cresima e impartita in età più adulta).
I riferimenti neotestamentari mettono in stretto rapporto il battesimo con la conversione (in particolare la fede nella risurrezione di Cristo) e il cambiamento di vita. Il cammino del catecumeno (il candidato al battesimo si chiamava così) era lungo e si svolgeva per tappe. Superata una prima verifica il catecumeno veniva inserito tra i cosiddetti electi e sottoposto ad ulteriori esami e supportato dalla testimonianze di garanti e testimoni sulla genuinità della sua fede. Prima di approdare al battesimo, oltre a dover dare prova alla comunità di un reale cambiamento di vita, il battezzando veniva sottoposto a esorcismi ed imposizione delle mani. Per arrivare alla notte di Pasqua, dopo il giudizio insindacabile della comunità, alla spoliazione, unzione con olio e immersione nell’acqua. Seguivano ulteriori riti.
Ritorna il quesito, alla luce di quanto esposto, di come si possa essere arrivati alla pratica del battesimo ai neonati di fronte ad una tale sequela di riti che comportavano una fattiva collaborazione del catecumeno. Questa prassi troverà le giustificazioni sotto il profilo storico nella circostanza che, con l’affermarsi del Cristianesimo come unica religione dell’Impero, la civiltà cristiana (le cui aberrazioni saranno tristemente note), facendosi garante dell’educazione dei più piccoli, anticipava nel tempo il rito battesimale, venendo meno l’esigenza di un cammino catecumenale. Altra giustificazione verrà dal punto di vista teologico, con la riflessione patristica in particolare, che insisterà sulla gratuità dell’azione salvifica e in ambito più specificamente cattolico, sull’efficacia sacramentale ex opere operato cioè a prescindere dalla disposizione del soggetto, laddove nelle chiese riformate si metterà in risalto l’aspetto simbolico e rammemorante degli stessi sacramenti che sono inefficaci senza reale cambiamento di vita; in fondo già nei primissimi secoli i cosiddetti battesimi di sangue o di desiderio erano equiparati al battesimo sacramentale.
Tornando allo sbattezzo, oggi più che mai, in clima di crescente secolarizzazione, in una Europa che non vede preminenti le radici cristiane, l’arbitrarietà di un rito come il battesimo agli infanti appare in tutto la sua platealità. Un libro come questo può aiutare a comprenderne le ragioni profonde della scelta dell’apostasia, del cammino ancora lungo della laicità in un Paese, ancora, a sovranità limitata come l’Italia, l’importanza di aderire alla propria coscienza prima che a (presunte) comunità di appartenenza. Il valore, mai tramontato, del non possumus in chiave atea.
Stefano Marullo
marzo 2013