Non più di tremila. In tre secoli. È il numero di martiri cristiani durante l’impero romano stimato dagli storici.
Un numero ben lontano da quanto gli apologeti cristiani hanno sempre fatto credere ai loro lettori. Si pensi alle undicimila vergini che sarebbero morte insieme a santa Ursula. Altro non era che un’errata lettura del nome proprio Undecimella. Si pensi anche alla persistenza del mito delle catacombe quale rifugio dei cristiani braccati: persino le stesse gerarchie ecclesiastiche ne riconoscono ormai l’infondatezza.
Eppure, lo sappiamo bene, i miti sono duri a morire. E certi miti più di altri. Se i negazionisti cattolici amano parlare, a proposito dell’Inquisizione, di «leggenda nera» creata dagli anticlericali, quella dei martiri dovrebbe conseguentemente essere definita «nerissima». E tuttavia, nell’immaginario collettivo degli italiani, perdura la convinzione che, nei primi tre secoli, sia avvenuto un autentico olocausto di cristiani.
Accade, forse, perché non disponiamo di studi adeguati. L’Italia vanta studiosi di livello, ma a differenza di altri paesi vige una diffusa autocensura, quando si affrontano certi temi. Ed ecco che, a colmare il vuoto, è giunto dalla Spagna uno studio sulle persecuzioni finalmente realizzato con un approccio critico.
L’autore, Raúl González Salinero, che insegna storia antica all’Università di Madrid, ci ricorda che «il martirio cristiano diventò una testimonianza sublime della fede e, pertanto, un elemento chiave per l’autoaffermazione della dottrina cristiana». Con gli esiti che tuti ben conosciamo, grazie all’apologetica posteriore. Ma perché i credenti erano perseguitati?
Quella cristiana era una setta nova, senza nemmeno un retroterra etnico. E le autorità romane, che improntavano la propria azione al rigoroso rispetto del diritto, sapevano che quella cristiana non era nemmeno una religione riconosciuta da alcun provvedimento ufficiale. Non era cioè una religio licita. In poche parole, si trovava in una posizione non molto diversa da quella in cui si trovano oggi i Testimoni di Geova o Scientology. Con la differenza fondamentale che i diritti dell’uomo e la libertà di associazione erano concetti che, allora, dovevano ancora essere concepiti. Tale condizione esponeva i cristiani, così come i fedeli di altre piccole sette, a pericoli continui, e soprattutto ad accuse di atti contro la morale. Poteva bastare anche soltanto definirsi cristiani per rischiare un’incriminazione.
Ma occorre anche tenere conto che i magistrati, dipinti dalla letteratura agiografica quali «agenti del male», in realtà non miravano affatto a impartire supplizi gratuiti, ma cercavano di far tornare il neofita cristiano alla religione tradizionale. Anche Plinio il Giovane, scrivendo all’imperatore Traiano, constatava che «molte persone possono essere recuperate se sì dà loro la possibilità di pentirsi».
Lo stesso scopo animò l’imperatore Decio, quando promosse la prima persecuzione vera e propria. Il primo editto noto emanato contro i cristiani nel 249 è opera sua: ma, nota González Salinero, la sua finalità «non era quella di provocare martiri, ma apostati». Fino ad allora c’era stata prima una generale «assenza di ostilità», e poi «azioni persecutorie di carattere sporadico e locale», per le quali le fonti disponibili sono peraltro «scarse e, frequentemente, poco attendibili».
Di fronte al rischio concreto di morire le apostasie furono copiose. Lo attestano le stesse fonti cristiane, come il De lapsis del vescovo Cipriano di Cartagine, che morì durante la seconda grande persecuzioni, quella di Valeriano del 257. Il nuovo imperatore voleva colpire soprattutto i vertici della Chiesa: forse allettato, in un periodo di grave crisi economica, anche dalle ricchezze che andava già allora accumulando. Ma già tre anni dopo il successore Gallieno concesse piena libertà di culto, consentendo alla Chiesa di poter finalmente cominciare a espandersi in maniera significativa.
Nel 303, dopo vent’anni di regno, Diocleziano lanciò la terza e ultima persecuzione. Le ragioni che lo spinsero a farlo rimangono oscure. Gli editti che furono diramati riprendevano quelli di qualche anno prima contro il manicheismo, che evidentemente era ritenuto un pericolo più grande. Le persecuzioni durarono alcuni anni e furono più blande nella parte occidentale dell’impero, dove il cristianesimo era assai meno diffuso.
Verrà poi Costantino, e il resto della storia è noto. Meno noto che per oltre due secoli si succederanno, quasi senza soluzione di continuità, editti persecutori di eretici, ebrei, pagani, apostati. Il livello assai più aspro rispetto alla legislazione anticattolica pagana (contrassegnata da pochi editti, con tre sole effettive persecuzioni su vasta scala durate al massimo una quindicina d’anni in tutto), è probabilmente poco percepito anche all’interno del mondo laico. González Salinero tira le conclusioni lasciando la parola a un altro storico, José Montserrat Torrents: «Il paganesimo non si estinse: fu eliminato dalla legge. I templi non caddero: furono chiusi e demoliti. I pagani non si convertirono: furono obbligati a farlo».
Corredata da una robusta bibliografia che ne attesta lo spessore, nonché da una prefazione di Mauro Pesce (noto per essere incorso negli strali vaticani per aver collaborato al libro di Corrado Augias Inchiesta su Gesù), Le persecuzioni contro i cristiani nell’impero romano è un libro di impronta accademica, ma di agile lettura. Di sicuro interesse per chi voglia informarsi su un periodo storico che incide ancora oggi assai profondamente sulle nostre vite.
Raffaele Carcano
marzo 2012