C’era una volta, ma non poi tanto tempo fa, nell’antica e gloriosa terra di Persia, un tiranno che sfruttava il proprio popolo svendendo il petrolio ai perfidi americani corruttori, lo opprimeva con marce forzate verso la modernizzazione, lo controllava con una spietata polizia segreta, tenendo saldamente in pugno il suo potere grazie ad un potentissimo esercito. Chi si opponeva veniva imprigionato, torturato, ucciso, mentre i più fortunati erano costretti all’esilio.
Tra questi ultimi vi era un venerabile e anziano uomo di fede, la candida barba fluente dal nero turbante, lo sguardo pensoso ma deciso, che esprimeva volontà e fede d’acciaio. O, meglio ancora, una fede nel Potere della Fede, che lui sapeva fortissima nel suo popolo. Fu con i suoi sermoni, ispirati dal Sacro Libro e diffusi clandestinamente alla sua gente dal suo rifugio nella laica, tollerante e peccaminosa Parigi, che l’anziano anacoreta seppe infiammare con crescente passione politica i milioni di seguaci, incitandoli alla rivoluzione. E venne finalmente il giorno in cui non solo essi, ma persino i senza Dio comunisti, i liberali in odor di libertinaggio, le donne oppresse da secoli di segregazione, gli anziani e persino i bambini, insomma il popolo intero, scese nelle piazze scatenando una poderosa rivoluzione. Dopo settimane di sanguinosi scontri con le forze della dittatura, il popolo riuscì ad espugnare la torre del potere e a far fuggire il tiranno, che morì di lì a poco in esilio. Il vecchio uomo di fede tornò dalla Francia e venne accolto in aeroporto da una folla oceanica in delirio, mentre su di lui venivano sparse a piene mani le lodi di importanti intellettuali occidentali: primo fra tutti il filosofo Michel Foucault, che lo definì addirittura “…una specie di Santo”.
Il sant’uomo però non si accontentò di essere proclamato Padre Spirituale della Rivoluzione, ma, di fatto, assunti tutti i poteri, esautorò e costrinse all’esilio i collaboratori del vecchio regime. E poi, posseduto dall’ansia di purificazione catartica che sempre accompagna le rivoluzioni, iniziò a perseguitare, incarcerare, torturare, uccidere o costringere all’esilio anche coloro che avevano favorito la sua ascesa, in quanto colpevoli di non condividere la sua fede granitica e di essere impermeabili all’aura mistica che circondava la sua figura. Comunisti e liberali furono dunque eliminati dalla scena politica, le donne furono segregate in casa ad accudire vecchi e bambini, come avevano fatto da millenni, e i ragazzini più giovani furono mandati a morire, col Sacro Libro in mano, sui campi minati della vicina terra di Mesopotamia, rivale millenaria della Persia. Morivano col sorriso sulle labbra e volentieri si lasciavano saltare per aria perché sapevano che, col Sacro Libro in mano, le porte del Paradiso si sarebbero aperte all’istante per loro. L’unico vantaggio di quella guerra, durata diversi anni, l’ottenne la terra del deserto, ben concimata da milioni di morti. Insomma, mi sembra chiaro che sto parlando di Khomeini e della sua Rivoluzione islamica in Iran, che da quasi trentacinque anni è prigioniero di una dittatura teocratica che non ha vacillato neppure dopo la morte di quella “…specie di Santo”.
E cosa c’entra il glorioso, antichissimo Egitto, con tutto ciò?
C’entra, e di molto, perché anche lì le forze guidate dai Sant’Uomini di turno, col Sacro Libro in mano, sono riuscite a cacciare il tiranno, ma ancora una volta con l’aiuto fondamentale dei nati liberi (da Dio e dagli uomini) e delle donne dal viso gonfiato da secoli di oppressione. E di nuovo anche lì, i Sant’Uomini hanno proclamato un nuovo tiranno in giacca e cravatta che, come prima mossa, ha avocato a sé tutti i poteri per poi imporre, come unica Legge, quella proclamata dal Sacro Libro.
Ma questa volta sembra che il vecchio trucco, di farsi aiutare dai laici a salire sul carro per poi buttarli sotto a farsi maciullare dalle sue stesse ruote, non funzioni più. Perché questa volta in Egitto i laici sembrano aver imparato la lezione dell’Iran e sono nuovamente scesi nelle piazze a far sentire la loro voce, a farsi uccidere dalla polizia (decine di morti in pochi giorni) e ad assaltare i palazzi del potere. Capisca bene, il mondo intero, che non intendono farsi scippare la rivoluzione e, quanto a quelli del Sacro Libro, si mettano bene in testa un concetto molto semplice: che la libertà o è per tutti, o non è!
Ora bisognerà vedere se quelli del Sacro Libro lo capiranno, il concetto, o se scenderanno anche loro in piazza a scontrarsi con i laici, arenando la rivoluzione nel pantano di sangue della guerra civile.
E come reagirà l’Occidente a questa che è la VERA primavera araba, in opposizione a quella che tanto ingenuo entusiasmo aveva suscitato fino a pochi mesi fa e che avevo già stigmatizzato in un mio precedente articolo? E sarà capace Obama, così bravo a far mettere il faccione di Morsi sulla copertina di Tim, a sostituire dittatori amici dell’Occidente con altri che ne sono i nemici acerrimi?
Quanto a questo buco di Italia, staremo a vedere se Nichi Vendola, così pronto a dedicare le sue vittorie elettorali ai fratelli (o Fratelli?) Musulmani, saprà spendere due parole a favore di chi sta morendo adesso nelle strade del Cairo o ad organizzare per loro qualche manifestazione di sostegno.
Intanto non ci resta che tifare per questo nuovo Egitto che sta faticosamente nascendo dalle doglie di una rivoluzione che pare non finire mai. Perché la posta in gioco è di nuovo immensa: o da questi moti popolari nascerà la prima vera Libera Nazione del mondo islamico, voluta dal popolo, a differenza della Turchia laicizzata dall’alto da Ataturk, oppure si assisterà all’ennesima involuzione politica e sociale di questo mondo. Funzionale però all’accerchiamento della nostra balbettante Europa, chiusa a sud dalle masse ribollenti del risorgente Califfato, riesumato dai Fratelli Musulmani, e immobilizzata al suo interno dalla rete soffocante della società multietnica o, per meglio dire, multislamica. Rete nella quale, è bene non dimenticarlo mai, l’Europa stessa si è scioccamente avvolta, come fece a suo tempo Eracle con la camicia di Nesso.
Leonardo Bacchi