Il nostro tempo vede riaccendersi una forte contrapposizione tra pensiero razionale e religioni, con scontri e confronti a volte durissimi su etica, scienza, democrazia, laicismo, dove il grande assente è spesso il dialogo. In una situazione di sostanziale stallo, è interessante questa sorta di “esperimento filosofico” – quasi una riedizione dei salotti illuministi – in cui si incontrano (e scontrano) tre intellettuali diversi, per formazione e idee, come d’Arcais, Onfray e Vattimo.
Il testo comprende tre discorsi introduttivi di ognuno degli autori, cui seguono una serie di capitoli di dibattiti – che rappresentano il nocciolo del libro –, il tutto concluso da tre poscritti “ciechi” (ovvero, stilati senza alcuna visione di ciò che avrebbero scritto gli altri). Tutto ha un che di non sistematico, con notevoli digressioni, punti poco chiariti e accantonati, detti e non detti, in bilico nel dispensare perle fulminanti e conclamare banalità (e assurdità): questa caratteristica, che potrebbe apparire un limite, testimonia in maniera vivida la complessità e la passione del dibattito, rispecchia proprio la ratio del confronto, una specie di moderno simposio nella casa torinese di Arcais, svoltosi nel dicembre del 2006.
Tutto sembra promettere bene, all’insegna di un grande confronto filosofico tra figure di spicco (e in un certo senso, le promesse del libro vengono mantenute): ma il dibattito si infrange su una cortina di incomprensione, a tratti una vera e propria ostilità del Vattimo credente nei confronti dell’ateo Arcais (cui non risparmia mai punzecchiature – invero, distorcendone le posizioni), con Onfray che si pone come una sorta di raccordo tra i due, a volte appoggiando il primo.
Se d’Arcais esordisce con un “sappiamo tutto” volutamente provocatorio, affermando che l’ateismo «dovrebbe essere, già da molto tempo, l’orizzonte “normale” e addirittura ovvio della filosofia» (specie dopo Hume e Darwin), Vattimo controbatte accusando ingenerosamente il primo di «assolutismo scientista», quasi di “imperialismo intellettuale” (che farebbe il paio all’imperialismo capitalistico degli USA), e rifacendosi a una tradizione religiosa e metafisica che ritiene relativisticamente “razionale” e che proclama insostituibile e irrinunciabile. Onfray – pur confermando il suo ateismo – accoglie alcune considerazioni di Vattimo in merito alla pluralità di “ragioni” e di “verità”, ponendo la necessità di «riconsiderare la questione della ragione».
La questione dei valori etici diventa un punto di attrito molto forte, perché è il nocciolo della questione: Vattimo tenta di ricollegare i caratteri della modernità (secolarizzazione, diritti umani, laicità, uguaglianza) al cristianesimo, considerandoli inconcepibili senza quel fulcro storico che sarebbe l’Incarnazione, arrivando a dire cose abbastanza discutibili del tipo «Il vero cristianesimo di quel momento era la Rivoluzione» (francese). Valgono in realtà a poco le puntualizzazioni di Arcais sulle contraddizioni della teologia e le serrate critiche sulla storia del cristianesimo di Onfray, che Vattimo bellamente ignora, riducendo la sua fede ai minimi termini, come una «proposta della carità».
Il ritorno del religioso è un’altra questione trattata; secondo Arcais, ciò è motivato non solo dalle classiche paure umane, ma in generale, oggi, dalla «crisi della politica, la sottrazione di cittadinanza, il potere autoreferenziale della gilda dei politici di professione, e il “fare establishment” di questo potere con quello affaristico (ma anche mafioso, ormai) e mediatico. E la frustrazione di massa che ne consegue». Secondo Onfray, l’etologia in particolare può essere uno spunto per fondare la genealogia dei valori, spiegando le dinamiche di gruppo e quindi quelle politiche. Ma Arcais ha una visione più volontaristica, che valorizza la scelta umana e meno il determinismo; Vattimo invece gli contesta di non poter costruire in maniera logica dei valori atei, perché si ostinerebbe a non comprendere la “grazia”.
La politica deve rispondere alle sfide lanciate dal ritorno del religioso, soprattutto considerando l’aggressività di un certo islam. Arcais e Onfray ribadiscono il rigetto del multiculturalismo, in nome di un’impostazione laica e fondata sui diritti umani, dato che «in nome dell’eguale dignità delle culture si sopprime l’eguale dignità degli individui», mentre per Vattimo questa politica sarebbe l’anticamera dell’imperialismo. La soluzione di Vattimo? «Si può solo sperare che il cristianesimo si “diffonda”, come l’Occidente, in quanto religione via via meno “religiosa”, ridotta all’osso della carità».
Un ruolo particolare, nella costruzione della società del futuro, lo ha ovviamente la scuola. Per Onfray e Arcais l’istruzione deve educare allo spirito critico, alla riflessione, alla convivenza civile – di qui il ruolo particolare riservato alla scienza e alla filosofia – ma Vattimo teme l’imposizione di una sorta di “verità di Stato” di matrice tecno-scientista e utile all’imperialismo occidentale – arrivando persino a scandalizzarsi quando Arcais nega che il creazionismo possa essere imposto nelle scuole in quanto dottrina non scientifica. All’incalzare dei sofismi di Vattimo – che accosta addirittura la questione dell’aborto ai bombardamenti in Iraq – Arcais riserva una stilettata da antologia: «Le obiezioni che mi stai facendo sono le stesse che mi ha rivolto Rocco Buttiglione». Il problema è che ha una bella fetta di ragione.
Il relativismo esasperato di Vattimo, che non sembra accettare una concreta distinzione tra religioni, idee irrazionali e discipline fondate su metodi più attendibili, ha i suoi limiti, tanto che Arcais ribatte: «nella pratica, tu stesso, Gianni, accetti queste verità [scientifiche], ogni volta che accendi la luce…».
Insomma, più che un dibattito, questo libro rischia a tratti di diventare un dialogo tra sordi. Comunque, lascia almeno delle opzioni: l’ateo razionalista e illuminista apprezzerà la granitica andatura di Arcais; per un ateo più sghembo e disincantato andrà bene Onfray; l’agnostico scetticissimo o il credente fai da te preferiranno Vattimo.
Dato che il recensore è chiaramente fazioso, propendendo tra l’Onfray e il d’Arcais, conclude così. Le esternazioni di Vattimo lasciano a volte basiti: il suo “cristianesimo” bricolage – secolarizzato, rammodernato e decontestualizzato –, venato di Nietzsche, post-comunismo e iper-relativismo, ostinatamente cristocentrico, è per certi versi l’espressione filosofica di quella confusione che caratterizza una certa cultura dell’odierna sinistra, un pensiero “debole” – quello sì – che di fatto spiana la strada a quello “forte” di Ratzinger e compagnia – e di cui in fondo è figlio.
Valentino Salvatore,
Circolo UAAR di Roma,
dicembre 2007