Questo libro, uscito in America nel 2011 e che Nessun Dogma fa conoscere per la prima volta al pubblico italiano, presenta non poche affinità con quello di Guy P. Harrison, pure tradotto da Nessun Dogma, che recita 50 motivi per cui si crede in Dio, 50 ragioni per dubitarne, e per certi versi ne è la naturale continuazione. Lì si trattava di analizzare le ragioni di chi crede, qui su quelle di chi non crede. Operazione necessaria, dopo secoli di criminalizzazione, ostracismo se non di vera e proprio persecuzione ai danni dell’ateismo e degli atei. La diffusione della non credenza va infatti pari passo con il processo della secolarizzazione, ma, come giustamente affermano Talisse e Aikin, filosofi statunitensi, la sua accettazione sociale fatica ad affermarsi. L’intento del volume, secondo le intenzioni dei due autori, rivolto propriamente ai credenti, è quello di presentare l’ateismo come qualcosa di razionale, niente affatto aggressivo e soprattutto moralmente rispettabile.
Impresa, questa, niente affatto incruenta. Parlate del tempo, di arte o di culinaria e troverete sempre interlocutori per lo più rispettosi e pronti a dire la loro. Non appena però si toccano questioni riguardanti religione, morale e politica, nulla è scontato e la discussione si fa irta e complessa, perché questi temi occupano la sfera molto privata delle persone. Ecco perché, secondo Aikin e Talisse, ci si deve attrezzare con un atteggiamento soft e rispettoso per avere qualche possibilità di far valere le proprie ragioni. Ateismo ragionevole prova a farlo. Il primo ostacolo è intendersi sul significato dei termini. Non è chiaro cosa sia religione, altrettanto ardua è una definizione esaustiva di ateismo ad un tempo visione morale umanista e (sano) disfattismo nichilista che annienta gli assoluti e ci introduce al relativismo. Comunque si voglia intendere l’ateismo, i nostri due autori spiegano molto bene come l’atto di negare la divinità, il miracolo o il concetto di peccato non abbia affatto una valenza peggiorativa e irrazionale. Si nega perché si hanno argomenti migliori per interpretare la realtà o per supportare le proprie convinzioni morali. Sennonché sarà necessario passare da quella che Aikin e Talisse chiamano l’etica della credenza, per valutare la bontà dei nostri convincimenti, perché anche la nostra condotta di vita è determinata dai nostri processi cognitivi. Questo vale oltremodo per l’ateismo, ovviamente.
Bisognerà smontare gli argomenti pronto-uso (che i nostri autori chiamano argomenti-oplà) tradizionalmente branditi dai credenti; quello cosmologico, per esempio, che finisce per dare a Dio l’eternità per giustificarne la causa incausata: ma allo stesso modo perché non si può pensare al mondo come sempre esistito?
D’altro canto, un altro noto argomento, quello teleologico, che, semplificando, non ammette un progetto senza progettante, stride con la casualità della teoria evolutiva.
Il misterismo spesso usato dai credenti (per giustificare l’incomprensibilità dell’Opus Dei) assomiglia molto ad una ritirata. L’argomento ontologico, presenta molte suggestioni e forse, a detta dei due filosofi che parlano non da filosofi ma ci tengono ad una discorsività che conservi il più possibile la valenza divulgativa, è stato ampliamente sottovalutato dai Nuovi Atei che lo liquidano con sufficienza. Ai vari Dennett, Dawkins, Harris & Co., gli autori rimproverano di avere, con argomenti molto efficaci e spavaldi, liquidato Dio ma di non essersi occupati abbastanza di filosofia morale. Qui il punto cruciale del libro: non si devono trattare i credenti come stupidi, ignoranti o malvagi e si devono prendere molto sul serio le argomentazioni da loro proposte, specialmente quelle relative alla teodicea: e seguendo il filo del loro ragionamento si scopre che giustificando Dio si cade nell’immoralismo e che comunque non c’è alcuna necessità, per un Essere benevolente e onnipotente di permettere che un bambino nasca con la spina bifida, sia pur per la salvezza dell’umanità! Il ricorso al libero arbitrio da parte dei credenti per spiegare il male morale (ammesso e non concesso, ma sarebbe comunque insufficiente a spiegare il male naturale) si scontra prepotentemente con il fatto che se Dio pretende di essere adorato, non ci tratta più da agenti morali razionali, dunque liberi, e tutto questo è immorale o semplicemente contraddittorio (ergo Dio non esiste).
L’approccio di Aikin e Talisse non cessa mai di mantenere una profonda onestà intellettuale di fondo quando affermano che in fondo “né l’ateismo, né la credenza religiosa fanno di un uomo una brava persona. Che lo sia o no dipende dalla sue azioni e dal suo carattere”; con tutto questo è giusto dire che non esiste alcun primato etico dei credenti sugli atei, che moltissimi atei sono persone moralmente ineccepibili e niente affatto stolti (come li chiama il salmista) e i loro argomenti non sono liquidabili, anzi. La parte finale del libro è una vera lezione di filosofia politica che contempla la necessità, non dell’ateismo, ma di una laicità responsabile che è necessaria per tutelare tutti, credenti e non.
Un libro apodittico, un vero capolavoro di raffinatezza intellettuale e non intellettualistica, utile anche agli atei per rivedere la fondatezza dei propri princìpi. Con un piccolo sassolino (che diventa un macigno) che gli autori lanciano in appendice attraverso un test da sottoporre ai lettori: un contatto immaginario con un gruppo di alieni che aprono i propri libri sacri nei quali si legge, tra l’altro, che un re sacrifica alla divinità la propria figlia per vincere una guerra con i nemici, che la donna deve essere sottomessa all’uomo, che un esercito possa per ordine della divinità fare strage dei nemici, abusare delle vergini e rendere schiavi i bambini. Naturalmente la reazione dei lettori, credenti inclusi, sarà di disgusto. Ebbene, quelle storie, sono tutte tratte dalla Bibbia e se i credenti, o buona parte di essi, non prendono alla lettera quello che vi è prescritto, vuol dire che la moralità è altra cosa rispetto alla religione (a dirla tutta, che questa può essere profondamente immorale). Eureka! Anche gli atei allora possono avere una morale? Chi l’avrebbe mai detto…
Stefano Marullo
giugno 2015