Acclamato come “rivoluzionario”, Francesco non è nemmeno un papa “riformatore”. Questa è la tesi forte — in netta controtendenza rispetto ai luoghi comuni mediatici che si fermano alla superficie dei “buonasera”, delle scarpe vecchie, delle battute accattivanti e “populiste” — del libro di Marco Marzano, sostenuta da un’argomentazione convincente e ben organizzata in tre densi capitoli.
Il primo, dopo aver chiarito cosa debba correttamente intendersi per riforma («un cambiamento intenzionale della forma strutturale di un’organizzazione […], promossa dal vertice”), prende in esame i nodi principali su cui la parte “progressista» del mondo cattolico aspetta da decenni (almeno dal Concilio Vaticano II) significativi cambiamenti: il potere della Curia, cuore dell’assetto centralistico e verticale dell’organizzazione ecclesiastica; la dottrina in tema di morale sessuale; il ruolo delle donne nella Chiesa e il celibato del clero. Su nessuno di questi punti papa Francesco ha introdotto novità sostanziali, a dispetto delle iniziali aspettative.
Sulla questione della riforma della Curia — su cui Montini, Wojtyla e Ratzinger innestarono decisamente la retromarcia rispetto alle istanze conciliari — Bergoglio espresse inizialmente intenzioni battagliere, nella prima intervista concessa a Eugenio Scalfari nel 2013 in cui definì la Curia “lebbra del papato” e soprattutto nell’esortazione apostolica Evangelii Gaudium considerata il manifesto programmatico del suo pontificato. Nulla tuttavia è avvenuto negli anni successivi: nessun cambiamento clamoroso o radicale, solo qualche aggiustamento “tecnico”, una mera «ottimizzazione delle risorse esistenti» come ebbe a dire nel 2016 il segretario di Stato Parolin, che lascia inalterata la struttura “tridentina” della Chiesa Romana.
Sul piano della morale sessuale, la convocazione di due sinodi dei vescovi (2014 e 2015) sul tema della famiglia aveva fatto sperare in cambiamenti sostanziali e aveva fatto emergere posizioni innovatrici maggioritarie rispetto a quelle conservatrici. Tuttavia l’esortazione apostolica Amoris Laetitia, successiva ai lavori del secondo sinodo, chiudeva bruscamente la questione, con una piccola concessione ai divorziati risposati, ma ribadendo posizioni tradizionalissime su contraccezione, obiezione di coscienza all’aborto (caldamente raccomandata dal papa), unioni gay e condanna della “teoria del gender”, in quest’ultimo caso con parole «che sarebbero immediatamente sottoscritte da qualsiasi fondamentalista evangelico».
«Alla questione femminile Francesco non pare particolarmente interessato»: i suoi discorsi sulle donne mostrano una visione decisamente tradizionale del ruolo delle donne nella società e nella Chiesa. La negazione del sacerdozio femminile è confermata dall’Evangelii Gaudium. Perfino le promesse ventilate sono in questo caso quanto mai blande, si prevede al massimo la concessione del grado più basso del magistero, l’“istituito” (introdotto nel 1972 come preparazione al sacerdozio). Sulle possibilità di abolizione del celibato obbligatorio per il clero, infine, caldeggiata da molti riformisti oltre che dalle numerose associazioni di “preti sposati” esistenti in Europa, papa Bergoglio si mostra quanto mai reticente: ha ribadito che «il celibato libero non è la soluzione», la soluzione semmai è intensificare le preghiere.
Questo “incerto e debole riformismo di papa Bergoglio” non dipende soltanto dalle sue convinzioni e dalla sua personalità, ma da ben più potenti “fattori di natura strutturale”: Santa Romana Chiesa è una grande e antica organizzazione burocratica, in quanto tale resistente al cambiamento, praticamente non riformabile. Di questo tratta il secondo capitolo, forse il più originale e interessante. «Al pari di tutti i suoi simili sociologici, cioè delle altre grandi burocrazie, la Chiesa ha sviluppato alcune specifiche patologie»: la “incapacità addestrata” di adattarsi alle novità; il “ritualismo burocratico”, cioè l’attaccamento dei funzionari al formalismo a scapito della sostanza della missione organizzativa; lo “spirito di corpo”, cioè la propensione dei funzionari a pensarsi come un gruppo separato e superiore rispetto al pubblico che sarebbe chiamato a servire. Le organizzazioni di questo genere tendono a diventare autoreferenziali ed estremamente resistenti al cambiamento.
Tra le grandi strutture burocratiche, la Chiesa cattolica presenta la peculiarità di avere al vertice un capo eletto a vita, popolare e influente anche all’esterno dell’organizzazione. Un simile leader deve svolgere due funzioni: tutelare l’integrità dell’istituzione proteggendone l’identità sedimentata attraverso la storia dell’organizzazione, da un lato; dall’altro, cercare legittimità e consenso all’esterno. In un mondo che cambia — nel caso della Chiesa cattolica, in un mondo che cambia, almeno nel vecchio continente, per “l’irresistibile avanzata della secolarizzazione” — tali funzioni possono risultare contraddittorie.
Eppure — per venire al terzo e ultimo capitolo — papa Francesco sembra capace di svolgerle molto bene. La sua — sostiene Marzano — è una strategia orientata alla “disgiunzione”: «affiancare alla struttura principale altre che si dedichino ad attività socialmente edificanti», un po’ come le imprese che producono detersivi e poi finanziano le associazioni che tutelano le balene, distraendo l’attenzione dagli effetti inquinanti dell’attività principale. Così papa Francesco, forte della propria popolarità, distrae l’opinione pubblica esterna alla Chiesa dalle riforme concentrando l’attenzione sui temi dell’economia e della società: la Chiesa è nei fatti immobile e reazionaria, ma il papa è a parole “anticapitalista”. Sul piano interno, opera una “disgiunzione” con un atteggiamento “amichevole” nei confronti della teologia della liberazione — duramente osteggiata e repressa dai suoi predecessori — depotenziandone tuttavia il messaggio; sul fronte opposto, compie gesti di riavvicinamento nei confronti dei seguaci di monsignor Lefebvre, tradizionalisti e radicalmente antimoderni. Un papa cerchiobottista, insomma, capace di pacificare le variegate e conflittuali componenti interne come di rendersi popolare e amato all’esterno. «Cosa chiedere di più?» conclude Marzano.
Maria Turchetto
Da L’Ateo n. 120