Perché scrivere una lettera al papa? L’autore, uno dei più stimati antropologi italiani, ha deciso di fargli presente come i contenuti della sua disciplina, «un sapere che fa della molteplicità irriducibile delle soluzioni umane il suo interesse principale e il suo punto di forza», «rischiano troppe volte, di questi tempi, di porsi in contrasto con l’insegnamento della Chiesa». Ancora una volta, siamo dunque di fronte a una replica all’accusa di relativismo culturale che il pontefice tedesco scaglia con metodica, teutonica costanza nei confronti della società occidentale e del suo mondo intellettuale e scientifico.
Il relativismo culturale, afferma Remotti, «è per così dire la mossa iniziale dell’antropologia, ma niente di più che la mossa iniziale». Ciononostante, essa si trova inevitabilmente in contrapposizione con la posizione teologica cattolica, che rivendica invece con enfasi la sua aderenza non solo alla rivelazione divina, ma anche ai valori «naturalmente» insiti nel mondo reale (ritenuto ovviamente creato dallo stesso essere). A questa rivendicazione l’antropologo ribatte che è proprio il cristianesimo a costituire «una cultura particolarmente ricca di aspetti “contro-naturali” (dalle pratiche di mortificazione del corpo al celibato dei preti e delle suore)». Affermazione pertinente soprattutto per la sua variante romana.
Oggetto di questo studio è una particolare declinazione della dottrina cattolica, la «famiglia naturale», monogamica e indissolubile: ritenuta, tra le varie tipologie esistenti, la forma incomparabilmente più alta, o meglio ancora l’unica che può aspirare a un riconoscimento, proprio perché supportata non solo dalle Sacre Scritture, ma anche dai dati di fatto della natura umana.
Ma è proprio vero? Una poligamia molto, molto particolare è concepita dalla stessa teologia cattolica: quando nell’aldilà le anime dei defunti si incontreranno nuovamente, come sarà possibile gestire (per l’eternità!) le relazioni degli uomini e delle donne risposatisi canonicamente dopo il decesso dei precedenti coniugi? La Bibbia, non manca di ricordare Remotti, non vieta espressamente la poligamia: anzi, fornisce esempi che vanno, semmai, nella direzione esattamente opposta. Se si guarda ai Vangeli, la situazione non cambia granché: nei confronti dell’istituto della famiglia Gesù ha operato una notevole svalutazione, se non una vera e propria «distruzione». Il favore del fondatore del cristianesimo e della confessione cristiana più rappresentativa vanno indiscutibilmente a un altro tipo di unione, la famiglia «spirituale» costituita dalla primitiva comunità cristiana e poi dalla Chiesa. Legittima, ovviamente, ma tutto fuorché «naturale».
Ma ancor meno naturale appare la forma di famiglia perorata dal Vaticano. L’autore si premura di precisare che non intende presentare un elenco completo, ma solo alcuni esempi rappresentativi (limitati peraltro alla sola specie umana). Nonostante questo, la molteplicità di articolazioni familiari che emergono dal testo è impressionante.
Per cominciare, nelle civiltà umane la poliginia è assai più diffusa della monogamia. Ma anche la poliandria, sebbene assai più rara, è diffusa: e non mancano società in cui gli uomini sposano abitualmente più donne molto più giovani di loro, le quali possono dunque accedere a una sorta di poliandria seriale. Del resto, la poligamia seriale è un modello che, da quando è stato legittimato il divorzio, si è ormai diffuso anche nel mondo occidentale.
Se si guarda poi ai singoli casi, il panorama che si presenta ai nostri occhi è quanto di più variegato: tra i Wahehe della Tanzania sono diffuse le convivenze tra nonni e nipoti; tra i Chukchi siberiani, donne mature possono sposarsi con bambini anche di due anni; i Nuer del Sudan hanno inventato il ghost marriage, attraverso cui il bestiame di un defunto serve a pagare la dote di una donna i cui figli, ovviamente concepiti con un altro uomo, saranno “legalmente” considerati come prole ed eredi del trapassato.
Tra le culture tradizionali non mancano figure che vanno oltre i generi, come i «Due spiriti» degli indiani nordamericani Ojibwa, o i nádleehé (traduzione: «uno che cambia di continuo») nella società Navajo. Quasi la totalità dei matrimoni tra gli Inuit dell’Alaska termina con una separazione che non cancella la prima unione, ma sfocia talvolta in forme di convivenza tra le nuove coppie ricostituite (tanto da poter parlare di «co-matrimonio»). E che dire dei Na cinesi e dei Nayar dell’India? In queste società il nucleo familiare è basato su unioni di fratelli e sorelle: non che vi siano casi di incesto, tassativamente vietato, ma molto più semplicemente i rapporti sessuali, e conseguentemente la procreazione, sono completamente sganciati dalla crescita della prole, tanto che è fortemente disapprovata la costituzione di famiglie tra un uomo e una donna privi di rapporti di parentela (che è poi esattamente il modello cristiano).
Secondo Remotti occorre cercare di «attraversare» quest’enorme diversità culturale, di «andare oltre» il relativismo culturale senza rinnegarlo: anche se poi è estremamente difficile capire come. La realtà è che ogni cultura cerca di realizzare forme di stabilizzazione familiare più o meno definitive, che andrebbero forse definite con più precisione “gruppi domestici”: ma in tal senso è inutile «sostenere che un tipo di famiglia è “migliore” dell’altro», anche se, a suo dire, «la famiglia nucleare è la famiglia instabile per eccellenza, che rispetto ad altri tipi di strutture familiari svela tutta la sua limitatezza».
Osservate da un altro punto di vista, le culture sembrano seguire quattro approcci: vi sono quelle che ammettono una molteplicità di modelli, quelle che riconoscono la molteplicità ma stabiliscono una sorta di gerarchia di valore, quelle che non ammettono la molteplicità e quelle che non solo non la ammettono, ma per soprammercato la vogliono imporre agli altri. Uno schema molto utile, perché permette di comprendere le ragioni profonde dell’asprezza del conflitto in corso sul modello familiare da seguire: laicità e clericalismo si pongono infatti esattamente agli estremi di questa serie.
Ma la lettura di Contro natura permette di avanzare anche un’altra considerazione: la teologia sembra collocarsi esattamente a metà strada tra un passato, quello delle culture tradizionali, che contraddice in pieno la presunta «naturalità» della famiglia cattolica, e un presente (che sempre più pare proiettarsi verso il futuro) che supera la formula matrimoniale cattolica in direzione della compresenza di una pluralità di istituti, accessibili a tutta la popolazione. Osservazione che finisce per evidenziare come la dottrina cattolica abbia caratteristiche inequivocabilmente storiche. E, in quanto tali, fatalmente transitorie.
Raffaele Carcano,
Circolo UAAR di Roma,
maggio 2008