Questo libro è un utile compendio per capire le responsabilità storiche e politiche del Vaticano durante la II Guerra Mondiale. L’autore analizza una lunga serie di documenti emessi da Eugenio Pacelli durante la sua lunga attività, prima come nunzio apostolico in Baviera, poi come segretario di Stato e alla fine, dal 1939 fino alla morte avvenuta nel 1958, come papa con il nome di Pio XII.
Il ritratto di Eugenio Pacelli (1876 - 1958) è quello di un esponente tipico dell’aristocrazia cosiddetta “nera”, reazionaria e immobilista diffusa a Roma negli anni del papato e tuttora presente in certi ambienti della Capitale. Benché ancor oggi la famiglia Pacelli si fregî del titolo principesco, è opportuno ricordare che tale onorificenza - peraltro di relativamente fresca data - fu concessa da Pio IX al nonno paterno di Eugenio, originario di Acquapendente (VT), in virtù dei suoi meriti di viceministro dell’Interno come repressore di patrioti italiani dopo la breve esperienza della Repubblica Romana del 1848.
Germanofilo per formazione, reazionario per tradizione, antisemita per vocazione, il giovane Pacelli, fin dal suo insediamento come nunzio apostolico in Baviera, non mancò mai di lamentarsi della sconfitta della Germania nella Grande Guerra e della conseguente occupazione tedesca da parte delle truppe anglo-francesi: a suo dire, tale la cristianissima nazione era l’unico bastione contro il comunismo e l’ateismo e il suo indebolimento avrebbe aperto la strada ai disegni della cospirazione «giudeo-bolscevica» [sic] che partendo dalla presa del potere in Russia si adoperava per distruggere il sacro connubio tra Trono e Altare.
Addirittura le sue ossessioni raggiunsero il parossismo quando la repubblica tedesca vide l’avvento al governo di una maggioranza socialista nel 1919: siccome per egli, da nunzio apostolico, sarebbe stato «indecoroso» chiedere udienza al presidente della Repubblica dei Consigli di Monaco di Baviera (in quanto ebreo bolscevico), mandò il suo uditore. E dopo l’anticamera che il suo collaboratore dovette fare per essere ricevuto, Pacelli scrisse a Roma che «…a capo di questo gruppo […] vi è […] una giovane russa, ebrea, divorziata, che comanda da padrona. Ed a costei la Nunziatura ha dovuto pur troppo inchinarsi per avere il biglietto di libero passaggio!». Non stupisce che un uomo di tal fatta arrivasse a tollerare - se non a caldeggiare apertamente - l’avvento di un Hitler al potere, purché fossero salvaguardati i diritti dei cattolici tedeschi e si ponesse un argine al comunismo avanzante nonché all’eccessivo potere che gli ebrei avevano conseguito.
Le prove generali di joint-venture Vaticano-nazismo si tennero nel 1936, quando la Chiesa Cattolica si schierò contro la Repubblica spagnola e a favore del golpe del caudillo Francisco Franco, aiutato militarmente anche dal governo fascista italiano e quello nazista tedesco. Aiuto del quale lo stesso Hitler ebbe a pentirsi ben presto, di fronte allo squallido spettacolo che di loro stessi diedero sia Franco che la Chiesa spagnola: il dittatore tedesco definirà quello spagnolo «un regime di plutocrati sfruttatori in combutta con i preti» per arrivare a dire alfine «In Spagna, tra i cosiddetti “rossi” c’erano pochissimi comunisti […] Se fossi stato al corrente della realtà dei fatti non avrei mai consentito che nostri aerei venissero usati per uccidere degli affamati e per ripristinare i privilegî medievali dell’aristocrazia e del pretume spagnolo». Ulteriore testimonianza del fatto che, lungi dal subire il nazismo, il Vaticano lo cavalcò per conseguire i suoi più turpi obiettivi.
Nel 1939, mentre Pacelli diventava papa con il nome di Pio XII, Hitler dava avvio a quella che sarebbe diventata la II Guerra Mondiale. I Paesi circostanti il Reich, qualora non annessi come l’Austria o la Boemia (dei Sudeti), vedevano alla guida governi-fantoccio, vedi Slovacchia, Polonia, Croazia, Francia meridionale (Governo di Vichy), Ungheria. E in tutti questi territorî - a grande maggioranza cattolici - i governanti furono i principali collaborazionisti nel rastrellamento e nell’invio di ebrei nei campi di sterminio tedeschi. E incontrando il pressoché totale e incondizionato appoggio delle conferenze locali dei vescovi cattolici.
Pacelli sistematicamente ignorò i messaggi che arrivavano da quei pochi coraggiosi sacerdoti che denunciavano gli orrori compiuti ai danni degli ebrei. Rimase insensibile alle richieste dell’ambasciatore inglese Francis Osborne a Roma perché egli levasse la sua voce contro gli abusi compiuti dai tedeschi. Rispose infastidito a chi gli chiedeva di intervenire dicendo che «non v’erano prove di veri abusi». Diede la sua benedizione a monsignor Tiso, prelato slovacco a capo dello Stato, che fu tra i più fedeli esecutori del disegno hitleriano contro gli ebrei. Nulla ebbe a dire delle stragi compiute dai religiosi cattolici croati nei confronti dei serbi ortodossi, degli zingari e degli ebrei. Addirittura, un ufficiale dell’esercito italiano in Croazia racconterà in seguito di aver ordinato di passare per le armi quei religiosi croati che più si stavano distinguendo per l’efferatezza dei loro crimini. Nulla di tutto ciò mosse l’inerzia del papa, preoccupato solo di non indebolire il morale delle truppe tedesche, unico bastione contro il comunismo, a suo dire. Né valsero a smuoverlo le testimonianze di ebrei fuggiti ai campi di concentramento slovacchi rilasciate ai servizi d’intelligence dell’esercito inglese, i rapporti dell’ambasciatore polacco in esilio, le pressioni che riceveva da gran parte del corpo diplomatico. La sconfitta del comunismo poteva ben valere anche il sacrificio di parecchi “innocenti” cattolici polacchi (non di ebrei, di quegli non gli interessava nulla).
Quanto all’Italia, egli ebbe a dire che la responsabilità di molte stragi naziste erano dovute ai partigiani che invece di rispettare l’ordine, si producevano in atti di guerriglia contro le forze occupanti. Emblematico il caso delle Fosse Ardeatine, nel quale egli, pur sapendo in anticipo che 335 italiani sarebbero stati assassinati per ritorsione alla bomba di via Rasella, non mosse un dito.
In compenso, quando le sorti della guerra erano ormai saldamente in mano alle forze anglo-americane e l’esercito sovietico stava marciando verso il Reich distrutto, egli si spese con l’ambasciatore inglese Osborne perché «la Germania non venisse umiliata, viste le virtù cristiane del popolo tedesco, unico bastione contro l’ateismo bolscevico». Cosa questa che non impedì all’Armata Rossa di piantar bandiera a Berlino e agli inglesi di radere al suolo Dresda, come contrappasso dei feroci bombardamenti tedeschi su Londra e Coventry.
A guerra finita, finalmente egli si mosse, innanzitutto per chiedere un trattamento umano per il monsignore presidente slovacco Tiso: le autorità della ricostituita repubblica cecoslovacca lo avevano infatti messo sotto processo per crimini di guerra e collaborazionismo, e Pacelli rivendicò che egli fosse trattato «come il suo rango di monsignore imponeva» (poco caritatevolmente, Tiso fu condannato a morte e impiccato); poi per favorire la fuga in Sudamerica di religiosi che avevano appoggiato più o meno apertamente i governi-fantoccio filonazisti, e anche di numerosi gerarchi e ufficiali tedeschi e collaborazionisti. Tra di essi, il famoso Eric Priebke, poi ritrovato a Bariloche in Argentina (con il nome di Juan Maler) 50 anni dopo, il dittatore ustaša Ante Pavelić, l’Angelo della Morte dottor Josef Mengele, famoso per i suoi esperimenti parascientifici sui prigionieri torturati, il boia Adolf Eichmann (poi “prelevato” dal Mossad israeliano a Buenos Aires, processato, condannato a morte e impiccato a Tel Aviv nel 1962), Franz Stangl, uno dei peggiori serial killer della storia, comandante del lager di Treblinka e responsabile diretto dello sterminio di 750.000 prigionieri, in gran parte ebrei. Nel corridoio dei topi (The Rat Channel, così lo chiamarono gli anglo-americani), passarono i peggiori assassini matricolati della Seconda Guerra Mondiale, e tutto con la benedizione di Pacelli e i salvacondotti del Vaticano.
Pio XII continua a suscitare imbarazzi ancora adesso. Preliminarmente alla sua causa di beatificazione, una commissione di storici costituita nel 1999 appositamente per esaminare gli Atti della Santa Sede durante la II Guerra Mondiale (ADSS) e giudicare l’operato di Pacelli durante il nazismo e la guerra, composta da tre studiosi cattolici e tre ebrei, aveva chiesto l’accesso agli archivî del Vaticano. Richiesta respinta e accuse alla commissione di spargere notizie false e tendenziose su Pio XII, con gravi accuse alla professionalità degli studiosi, tra cui una serissima teologa cattolica di New York.
Insomma, un libro da leggere con attenzione, che magari in certi punti non “scorre” per via della sua struttura più affine al saggio storico-documentaristico che non al romanzo, ma che si consiglia per avere un quadro storico preciso di certi avvenimenti dei quali i libri di storia raramente - se non mai - ci parlano.
L’AUTORE
Marco Aurelio Rivelli è nato a Genova nel 1935. Ha dedicato parte dei suoi studi alle vicende della Seconda Guerra Mondiale. Ha scritto, tra l’altro, Le Génocide Occulté (L’Age d’Homme 1998), che poi, nella sua versione italiana è uscito come L’Arcivescovo del Genocidio (Kaos 1999) la cui recensione è presente in questa sezione.
Sergio D’Afflitto
circolo di Roma dell’UAAR
Gennaio 2003