Il saggio di Veronesi è interessante perché offre un punto di vista che non è né politico, né giuridico, né filosofico, ma nasce invece dall’esperienza diretta di un oncologo quotidianamente sollecitato dalla realtà concreta della morte; un medico che per un breve periodo ha peraltro assunto anche l’incarico “tecnico” di ministro della sanità italiana.
«Come uomo e come medico io sento un solo dovere: quello di un appello alla pietà. E la pietà non è ideologica»: sono le parole contenute nella premessa del testo, con cui Veronesi sembra voler basare la sua riflessione facendo appello ai sentimenti piuttosto che alla ragione. In realtà all’interno della pagine convivono entrambi i momenti, filtrati dalla sensibilità laica dell’autore, secondo la quale «tocca all’uomo costruirsi coscientemente una scala di valori etici che sarà tenuto a rispettare»: la concezione laica si distinguerebbe dunque da quelle religiose in quanto «ogni persona è unica e irrepetibile, e di questa “dignità” della vita fa parte la libertà, e quindi anche il concetto di poter disporre della propria vita». Una diversità che scaturisce, del resto, da un differente concezione della vita, non ritenuta un mero fatto biologico ma fatta «coincidere con forme più o meno estese di “consapevolezza del sé”», ed è per questo che è possibile affermare «il diritto dell’individuo a difendere la qualità della propria vita anche in prossimità della morte, e quindi il diritto di chiedere l’eutanasia se la sofferenza sta riducendo a nulla la qualità di vita». Che una simile concezione possa addirittura portare a un rapporto meno problematico con la propria finitudine è testimoniato dall’esperienza stessa dell’oncologo: «le persone che affrontano la morte con maggiore serenità sono spesso coloro che non sono sorrette da una fede nell’aldilà».
Quattro sono i capisaldi su cui si innesta il ragionamento di Veronesi: la richiesta di eutanasia non contrasta con alcuna legge “naturale”; l’eutanasia non nuoce ad alcun altro membro della società; se la società nega tale rivendicazione finisce per opprimere l’individuo che formula la richiesta; ogni membro di quella società dovrebbe immedesimarsi con la sofferenza di chi chiede l’eutanasia. Sono temi tipicamente liberali, basati sul diritto dell’autodeterminazione dell’individuo, che si compenetrano però con un’attenzione per i rapporti interpersonali che rende l’impianto della riflessione decisamente più amabile. Temi peraltro estremamente attuali, che toccano corde profonde della sensibilità collettiva, e da cui scaturisce la «profonda scissione fra istituzione politica e opinione pubblica».
Il testo di Veronesi contiene anche rapidi excursus sulla storia, sulla dottrina delle religioni del Libro e sulle legislazioni all’estero, soffermandosi anche su altre angolazioni del problema quali il testamento biologico, l’hospice, l’accanimento terapeutico e alcuni casi di pazienti in stato vegetativo permanente portati all’attenzione dell’opinione pubblica (da quello di Eluana Englaro a quello di Terri Schiavo: topica “fallace” compresa).
Il libro si chiude con una citazione di Seneca: «l’uomo saggio vive finché deve, non finché può», a dimostrazione che la ricerca di una morte dignitosa travalica limiti di tempo e spazio. Con la parziale eccezione, purtroppo, di qualche sede del potere politico e religioso.
Raffaele Carcano
Ottobre 2006