E Gesù diventò Dio

L’esaltazione di un predicatore ebreo della Galilea
Bart D. Ehrman
Nessun Dogma
2017
ISBN: 
9788898602360

Questo libro è pubblicato da Nessun Dogma, il progetto editoriale dell’UAAR.

Manuale di apoteosi (ovvero, come diventare Dio in meno di 48 ore)

Bart D. Ehrman è uno studioso rispettato, autore di opere pregevoli quali The Orthodox Corruption of Scripture e di un numero in crescita continua di best seller dedicati al cristianesimo e alla figura storica di Gesù. È probabile che al suo successo planetario, oltre la sua autorità accademica, abbia contribuito un tratto di storia personale. Egli nasce infatti come cristiano fondamentalista che intraprende gli studi per rafforzare la sua fede e, come a noi pare inevitabile se l’approfondimento è condotto con onestà, giunge all’abbandono della stessa (anche se gli sono serviti trent’anni e, diciamolo, poteva farcela anche un po’ prima). La circostanza ha probabilmente preso in contropiede i Defensor fidei nostrani che l’avevano schierato un po’ frettolosamente nella trincea scavata con affanno per arginare l’impeto anticristiano suscitato da Il Codice Da Vinci. Con la traduzione a velocità del fulmine di una sua opera critica nei confronti del romanzo di Dan Brown si erano ingannati: a parte il fatto che per denunciare le grossolanità storiche dell’opera non occorreva cotanto studioso, non si erano accorti che il loro beniamino covava nel seno ben altro e che sarebbe divenuto per loro una spina nel fianco.

Eppure avrebbero avuto modo di immaginarselo perché già in quella traduzione del 2005 cominciava a prendere corpo una peculiarità del rapporto dell’autore con l’editoria italiana: la necessità di addomesticarlo. Il titolo originale Truth and Fiction in The Da Vinci Code lasciava intendere che alcune affermazioni contenute nel romanzo fossero fondate e altre no: troppo pericoloso. In italiano fu titolato La Verità sul Codice Da Vinci, ovvero «sono tutte sciocchezze, ora vi diciamo come stanno veramente le cose». Il gioco delle tre carte si è ripetuto con Forged: Writing in the Name of God, un testo del 2011 il cui titolo allude senza mezzi termini al vizio degli autori cristiani di spacciarsi abusivamente per personaggi famosi della loro fede. Anche questo era troppo. Il pio traduttore lo emendò in Sotto falso nome. Verità e menzogna nella letteratura cristiana antica ricordando a chi si fosse distratto che, insomma, oltre alle menzogne in quella produzione letteraria c’era anche tanta verità.

Ma il colmo è raggiunto dal fatto che, nonostante dell’autore siano stati fino ad oggi tradotti con celerità in italiano ben 11 titoli — tutti, tranne quello che qui recensiamo, da case editrici cattoliche o vicine ai cattolici — proprio i due testi [1] [2] in cui l’autore parla diffusamente, e non fra le righe come negli altri, del suo abbandono della fede cristiana, non sono stati mai tradotti. Un caso? E chi ci crede?

Ora, per la verità, anche il titolo del libro che abbiamo in mano ha sofferto una lieve alterazione, ma stavolta, osiamo credere, per motivi meno torbidi. Sembra infatti che i traduttori abbiano voluto evitare l’ovvia traduzione di How Jesus became God in Come Gesù diventò Dio. In effetti mentre il titolo inglese, vai a capire perché, non lascia dubbi sul suo taglio ironico, quello italiano potrebbe essere interpretato in senso adozionista (cioè che a un certo punto della sua vita, Gesù, da uomo, fosse diventato davvero Dio, come voleva l’eresia di Paolo di Samosata). Specialmente da parte del pubblico ipnotizzato dalla colonizzazione clericale di media vecchi e nuovi. Ma, diciamo noi, in fondo si poteva correre il rischio di una traduzione letterale e farla funzionare come una trappola. Dopo tutto il credente attratto da questa interpretazione sarebbe andato incontro ad un’amara, ma pedagogica, delusione.

Ehrman si colloca nel filone forse più affollato della ricerca sul Gesù storico, quello che va da Schweitzer a Sanders, Fredriksen e Allison. È l’orientamento che vede in Gesù un profeta apocalittico fallito, che ha previsto l’imminente intervento divino nella storia, vuoi con eventi cataclismici, vuoi con l’invio di eserciti angelici che annientano gli empi adoratori di divinità straniere e ristabiliscono il regno di Dio sulla terra (o almeno nella Palestina).

Alla luce di tale concezione, E Gesù diventò Dio illustra la parabola di un gruppo di ebrei che prima si convinse del diritto del proprio umanissimo leader ad aspirare al trono di Israele, come il Messia annunciato dalle scritture e, dopo la sua (peraltro facilmente prevedibile) crocifissione per mano dei romani e alcune allucinatorie apparizioni del defunto, cominciò a proclamare una qualche forma di compartecipazione dello stesso alla sfera divina. Gradualmente amplificata da chi venne dopo fino a giungere all’estremo dell’identificazione col Dio unico. E questo senza che egli avesse mai rivendicato per sé alcuna prerogativa del genere — un fatto sul quale, come Ehrman tiene a sottolineare, concordano tutti i più importanti studiosi del Gesù storico.

A permettere questo percorso, a dir poco impervio per degli ebrei ortodossi quali i seguaci di Gesù dovevano, come del resto lui, essere, concorsero diversi elementi del panorama culturale dell’epoca, ai quali Ehrman dedica ampio spazio. E proprio di concorrenza si deve parlare: dall’intenso traffico bidirezionale tra la sfera umana e divina dei più svariati personaggi del mondo pagano, Romolo, Cesare, Augusto, Apollonio di Tiana, per citare i più famosi, alle nascite di esseri umani, semiumani e divini da vergini divinamente impalmate, requisito quasi obbligatorio per i VIP dell’epoca. E non è che la via tra cielo e terra fosse chiusa al traffico in Palestina: si pensi a Enoch, Mosè, Elia, per non parlare dell’andirivieni tra suolo e nuvole di schiere di angeli, buoni per tutte le occasioni.

Ehrman svolge la sua analisi della documentazione storica con un assiduo e fiducioso uso dei più accettati criteri di storicità (primo tra tutti quello della molteplicità delle fonti). Se certo non mancano critici dei criteri e dell’uso che Ehrman ne fa, convinti che egli conceda troppo alla storicità delle narrazioni evangeliche, è altrettanto sicuro che anche con tali larghe maglie, le sue reti trattengano un bel po’ di risultati devastanti per la tradizione cristiana. E tuttavia, come l’autore fa notare, si tratta di risultati mediamente insegnati nei seminari di molte confessioni protestanti ma tenuti ben nascosti ai parrocchiani, evidentemente non ritenuti “pronti” a conoscere il parere degli studiosi.

Al lettore attento può sorgere il dubbio che lo stesso autore non sia “pronto” ad accettare tutte le conseguenze delle proprie conclusioni. Prendiamo per esempio la questione della messianicità di Gesù. Secondo Ehrman, Gesù si riteneva il Messia. Messia (Ebr. Mashiach, Gr. Christós, It. Unto), significava in primo luogo “Re di Israele”. Sebbene non mancassero interpretazioni differenti e più late, l’elaborazione in senso esclusivamente spirituale del concetto di Messia è ritenuta, per consenso diffuso tra gli studiosi, in larga misura opera dei seguaci che, di fronte allo shock causato dalla morte di chi doveva condurli all’affermazione del regno messianico, cercarono nelle scritture ebraiche strumenti interpretativi utili a sanare la dissonanza cognitiva creatasi.

Anche concedendo le doti profetiche che la tradizione cristiana attribuisce a Gesù, certo l’interpretazione puramente spirituale del ruolo messianico non era attribuibile alla sua cerchia mentre egli era in vita, come le stesse scritture cristiane riconoscono (Lc 24:21). E ci sono comunque forti indizi che lo stesso Gesù interpretasse il ruolo messianico in senso prevalentemente terreno. Solo un personaggio di un’ingenuità al di là del credibile poteva dire ai discepoli «Siederete anche voi su dodici troni per giudicare le dodici tribù di Israele» (Mt 19:28, Lc 18:30) e pensare che essi lo avrebbero interpretato in senso spirituale. Tanto è vero che si mettono pure a litigare tra loro per la poltrona (Mc 10:37, pietosamente spostato dalla bocca di due discepoli a quella della loro madre da uno dei soliti maldestri interventi di Matteo, Mt 20:20, tesi a sanare gli imbarazzi ma risultanti nella loro solenne sottolineatura).

Ora, ci si chiede come sia possibile che Ehrman affermi che Gesù ritenesse di essere il Messia, che lo ritenessero tale i suoi seguaci, che fosse un ebreo ortodosso, per non dire fanatico, che fosse un profeta apocalittico convinto che Dio sarebbe a breve intervenuto a distruggere le forze del male e a riportare il regno di Dio sulla terra e allo stesso tempo possa non aderire alla visione di chi attribuisce a Gesù una partecipazione, fosse anche solo nella forma di un semplice sostegno morale, ad attività insurrezionali e antiromane. Ci auguriamo di non dover attendere altri trent’anni per avere un suo ripensamento in proposito.

La speranza è incoraggiata dall’onestà e dall’apertura mentale di cui egli ha dato più volte prova, per esempio accettando, primo tra gli studiosi della corporazione dei biblisti, di affrontare pubblicamente il confronto con le tesi dei miticisti, certo molto discutibili ma anche meritevoli di molta più attenzione di quella solitamente concessa. È vero, non ci è piaciuto che in quell’occasione li abbia invitati a desistere poiché «facendo propria una posizione che nessun altro accetta, si espongono alla derisione e ad accuse di disonestà intellettuale» [3] (se tutti gli studiosi del passato fossero stati così opportunisti, la conoscenza umana sarebbe indietro di qualche secolo) ma rimane il fatto che la traduzione in Italia di un lavoro di Ehrman [4] è come un acquazzone dopo mesi di siccità. Con una pubblicistica sulla materia inquinata dalle periodiche marchette pagate al Vaticano dalla TV di Stato, con un’editoria che riuscì a fare scandalo persino con l’intervista di Augias a … un cristiano, l’arrivo di un testo divulgativo che smonta alla radice, autorevolmente e senza alcuna possibilità di appello, così tanti cavalli di battaglia dell’apologetica cristiana (la velocità della crescita del cristianesimo inspiegabile senza intervento divino, la scoperta della tomba vuota da parte delle donne, l’idea che Gesù sia stato subito deposto dalla croce, l’idea che non esistano allucinazioni di massa, il primato di Pietro, per fare solo qualche esempio) non può che essere salutato con entusiasmo da chi ancora pensa che «la verità vi farà liberi».

Franco Tommasi
Da L’Ateo n. 118

Note

[1] God’s Problem: How the Bible Fails to Answer Our Most Important Question – Why We Suffer, HarperOne 2008.

[2] Jesus, Interrupted: Revealing the Hidden Contradictions in the Bible, HarperOne 2009.

[3] Did Jesus Exist? The Historical Argument for Jesus of Nazareth, HarperOne 2012, p. 334.

[4] E si tratta di una traduzione finalmente ben fatta che, in qualche caso, migliora addirittura l’originale (emendando per esempio l’errata citazione di Ierocle a p. 16 del testo inglese).

Franco Tommasi è professore associato di Sistemi di Elaborazione delle Informazioni presso il Dipartimento di Ingegneria dell’Innovazione dell’Università del Salento e docente per la laurea magistrale internazionale Euromachs “European Heritage, Digital Media and the Information Society” presso lo stesso ateneo. Cultore di storia delle origini del cristianesimo, ha conseguito un diploma di master in Studi storico-religiosi presso L’Orientale di Napoli. È autore del volume “Non c’è Cristo che tenga. Silenzi, invenzioni e imbarazzi alle origini del Cristianesimo. Qual è il Gesù storico più credibile?” (Manni, 2014).